Testo di Letizia Gobio Casali
Foto cortesia di Iris
È (ri)nata una stella. Giacomo Sacchetto, trentottenne chef già insignito di una stella Michelin e di una stella verde a La Cru, nel complesso di Villa Balis Crema di Romagnano (VR), si è trasferito nel cuore di Verona in una location di altissimo livello. E tale è anche la sua cucina, che pare addirittura meglio che nel locale precedente, se con meglio si intende non un incremento di gusto e competenza culinaria, bensì più solidità, più decisione dell’abbinamento di sapori e consistenze, più impronta personale, con la sicurezza di chi – a giudizio di chi scrive – non ha più nulla da dimostrare. Mentre stava per concludere – in modo imprevisto – l’esperienza de La Cru, Sacchetto ha ricevuto la proposta di Bruno Soave, imprenditore veronese e cliente assiduo del ristorante in Val Pantena, che di recente si è aggiudicato alcuni dei “pezzi forti” della zona (tra cui un’altra sede prestigiosa a Verona e una a Peschiera del Garda) per farne templi di ospitalità d’élite.
Palazzo Soave è uno splendido edificio sorto nel 1470, già appartenuto alle famiglie Boldieri e Malaspina, con le vestigia romaniche, gli scavi archeologici di età romana, la statuaria originale e gli affreschi. “Il mandato era quello di fare un ristorante di rango, che avesse una sua autonomia e un suo equilibrio economico anche se legato a un grande hotel. Conoscendo la mia cucina il proprietario mi ha dato mano libera e io ho accettato prima ancora che il ristorante esistesse” ci ricorda lo chef. Infatti pochi mesi fa Iris, così si chiama il locale, era ancora in alto mare, e se la cantina (da 800 etichette), dove si consumano gli amuse bouche (un irresistibile Uovo con erba cipollina, setoso e godurioso, seguito da un esplosivo duo composto di Anguilla e cipolla rossa, da una Tartelletta con Monte Veronese e panna acida che scivola morbidamente verso l’Anello di pasta brick, crema cotogna e panna acida) è stata ultimata solo nell’aprile 2024, la spa e le suite per gli ospiti sono ancora in fase embrionale. Eppure il ristorante – che a marzo non aveva neppure il pavimento – ha inaugurato lo scorso novembre la sua grande sala luminosa e sontuosa e nel frattempo è già diventato una tappa da segnarsi in agenda.
Per quanto riguarda le proposte: “A pranzo, il menu degustazione comprende tre portate più il dessert, per andare incontro alla clientela business, mentre la sera proponiamo due menu, uno a base di pesce e uno di classici legati alle ricette del territorio, più alcuni piatti che fanno parte del menu ‘autentico’. In tutti però resta costante una grande valorizzazione degli ingredienti locali. “Non sono fissato con il chilometro zero – premette Sacchetto – ma se mi serve qualcosa prima cerco se lo posso trovare qui vicino. Dalla Pasta e fagioli, alla Pecora brogna fino al Cioccolatino all’olio, tutti i piatti nascono da una materia prima eccellente, che è un modo di raccontare il territorio e a volte anche di tenere in vita produzioni ormai rare”. La pecora brogna per esempio, quanti ricordano ancora cosa sia? Quella fornita a Iris proviene dall’allevamento di una ragazza di 24 anni che cresce gli animali liberi e a intervalli regolari consegna un esemplare e una fattura scritta a mano. “Noi la lasciamo una settimana in cella per asciugarne la carne senza alterarla e usiamo l’animale intero” racconta Sacchetto, precisando di avere “imparato al St Hubertus a non avere scarti, grazie a Norbert Niederkofler, che è uno dei pochi veri mentori, tra tanti chef”.
L’idea della cucina è che chi assaggia colga le differenze tra le portate servite e i piatti del passato, ma ritrovi anche il gusto di una volta. A proposito di “classici” nel menu autentico ricompare lo Spaghettone turanico con canocchie asparagine e liquirizia che è un signature dish da applauso dello chef sin dei tempi de La Cru, quando sui social ha spopolato. Rispetto ad allora però, come dicevamo, la cucina di Sacchetto pare aver raggiunto il perfetto equilibrio tra delicatezza e assertività: il sapore ti arriva chiaro, ma in punta di piedi e le tante invenzioni sono presentate con la tranquillità concentrata di un atleta che non sbaglia un colpo. Una dimostrazione inequivocabile la fornisce il Rombo, verbena, finocchio e zuppetta al burro nocciola, che viene accompagnato da un ottimo pinot nero borgognone di Marc Marchand Grillot del 2020. Perfetto nella sua apparente semplicità, in realtà il rombo è il risultato di tantissimi aggiustamenti di erbe e di varie elaborazioni della salsa, con e senza uovo, per esaltare la materia prima quasi in purezza. Verrebbe voglia di riordinarlo, appena terminato, così come avviene per il Toast con scampo dolce e salsa bernese, da mangiare con le mani, o con la citata Pecora brogna servita con sedano rapa glassato al miele. Per non parlare dell’Uovo del Garda in cui l’esterno di lavarello e l’interno di trota conditi alla gardesana fanno compiere un immediato e metaforico tuffo nel lago.“Oggi ho ridotto la tendenza a enfatizzare l’acidità o l’amaro in favore di risultati più confortevoli”, chiarisce lo chef. “Perché quando cucino penso: ma se dovessi mangiare io questo piatto mi piacerebbe o no? La golosità e la soddisfazione dell’ospite vengono prima del protagonismo dello chef. E poi perché devo alterare il gusto di qualcosa già buono così?”.
Questo fare un passo indietro rispetto alla ribalta, questa ritrosia accompagnata dal coraggio di guidare una location così fastosa, la grande attenzione al cliente pur coniugata con una presumibile ambizione probabilmente sono tratti costanti della personalità di Sacchetto. Ma, rispetto a prima, forse anche per l’esperienza in Val Pantena, lo chef ora si rivela estremamente consapevole dell’importanza anche del fattore umano tanto in sala quanto in cucina, dove Sacchetto vuole vedere i dipendenti felici. Quanto ai clienti, “probabilmente è stato Bottura a dire che una grande sala può salvare un errore di cucina, mentre quest’ultima non può salvare l’errore di una sala. Se mangi bene ma in un ristorante non ti sei sentito accolto e benvoluto fin dal saluto all’ingresso, dopo la prima volta ci torni?” riassume Sacchetto. Forse per questo da Iris tutto funziona benissimo, e, a compenso di una scenografia elegante, ma fredda, il servizio dai camerieri al sommelier è attento ma non rigido. Il cuore di Iris però ovviamente è il cibo, per il quale vale la pena di venire qui fin da subito, anche prima della nuova stella che (ci sbilanciamo con sprezzo del pericolo) arriverà. Sacchetto lavora con troppa dedizione e sapienza per non essere premiato. Ma è difficile immaginare che la sua irresistibile “forza tranquilla”, la maturità che ha raggiunto negli ultimi anni, ne verrà in qualche modo modificata.
Iris Ristorante
Palazzo Soave
Via Leoni, 10
37121 Verona (VR)
Tel: +39 045 415 8021
www.irisristorante.it