In un’ex lavanderia convivono armoniosamente due anime distinte e connesse: un cocktail bar evoluto e una cucina tutto gusto e concretezza.
Testo di Andrea D’Aloia
Foto cortesia di Indaco
Passiamo vite intere a cercare un senso da poggiare sulle cose – una certa illogica leggerezza, diresti. È una di quelle cose che non ti viene in mente fin quando, con una certa meraviglia…ti viene in mente. Lo fa con una precisione e una nitidezza che in altre circostanze non ha mai ritenuto necessarie, e da lì inizia a scavarti il cervello: osservare qualcuno mentre sta realizzando il proprio sogno, un pezzetto per volta, è un privilegio. Oscillazioni dello spazio, destini che si allineano, lampi di splendore circoscritti, la magia la trovi lì. Perché in un momento dove tutti cercano scorciatoie, inventano scuse, adorano le cose facili, fare le cose per bene può essere ancora considerato l’ultimo guizzo di resistenza.
Indaco è un luogo che mette in sequenza pensieri e gesti. Quelli di tre giovani e volenterosi soci: la chef Cinzia Battarra, suo marito Luca Gallucci, restaurant manager, e l’esperto mixologist Francesco Ricci. Il loro sogno se lo sono immaginato maledettamente bene, mettendo insieme un sacco di dettagli e una gran fiducia nelle cose, perché il futuro non è un teorema da risolvere ma una storia da inventare, guardandoti attorno e correndo dietro a tutto quello che ti meraviglia. Loro sono diventati il quadrante di un cerchio, l’incontro di geometrie perfette, e implacabili. Due anime che convivono armoniosamente, distinte e connesse, in quelle che erano le sale lavanderia dell’ex Grand Hotel, a qualche passo da viale Ceccarini. Da un lato il ristorante, dall’altro il cocktail bar. Non può funzionare davvero se il primo a emozionarsi non sei tu, e infatti da Indaco tutto è dove dovrebbe essere: al suo posto, ammantato da una miriade di attenzioni.
Importanti e oculati lavori di ristrutturazione hanno restituito luoghi elegantissimi, confortevoli, e un’atmosfera in cui è un piacere mettersi a proprio agio e passare del tempo, dall’aperitivo a tarda notte, tra gli elementi di design industriale delle sale, il dehor con vista sulla cucina o magari immersi nello stupendo giardino, da cui davvero non andresti mai via. Perché se è vero che il piacere dipende quasi interamente dallo stato d’animo con cui lo vivi, da dove sei, chi è con te, dalla luce che c’è, dai rumori tutti attorno, qui hanno creato un modo di disporre vibrazioni una accanto all’altra che ne testimonia la vocazione a un senso, e a una particolare bellezza.
Poi le donne hanno questa forza irragionevole, nessuno saprebbe dire da dove arrivi: Cinzia asseconda le sfumature, le piccole cose tra le loro pieghe, e attraverso quel guardarle acquisisce riverberi che la portano lontano, stando sempre attenta che tutto sia allineato. Ha dei modi che ricordano la cautela, un po’ di bellezza fragile, e una smisurata passione per ciò che fa. Lo vedi da come lo fa: misura i gesti come se tenesse in mano delle bolle di sapone, e con quella delicatezza compone la sua musica, e ci balla sopra. La verità è che cucina per scalare il proprio talento e la felicità dei clienti, che è l’unica maniera intelligente di fare le cose.
I suoi sembrano piatti che conosci abbastanza bene, lei invece inizia a lavorare sulle minuzie e ti sorprende. Prodotti della terra, del mare, e dell’orto (ne hanno uno di proprietà a Montefiore Conca da cui arrivano la maggior parte dei vegetali e delle erbe) trattati con rispetto e creatività (la chef ha trascorsi con Igles Corelli, Raffaele Liuzzi e Alberto Faccani, oltre che esperienze in Brasile), che ritrovi nei golosi appetizer e nei piatti tutto gusto e concretezza: mirabolanti i i fagottini di pasta fillo ripieni di rapa rossa e adagiati su una crema di zucca, sedano rapa e uva Sangiovese; il sardoncino marinato, pan brioche, salsa verde e bufala; o il polpo cbt (con paprika affumicata), agretti al limone e pesto di olive taggiasche. Due le menzioni speciali: la prima va al signature Tonno scottato, guarnito con dell’ananas saltato al pepe verde, sale nero di Cipro, rosmarino e nocciole, (è un piatto complesso e interessante per come mette in equilibrio i sapori); la seconda va al cestino del pane, davvero ricco: ben sette i tipi di lievitati che arrivano a tavola, dal cracker piccante ai grissini al sesamo, la focaccia e i pani di semola, portulaca (buonissimo), uvetta e cipolla, cereali, zucca, tutti da intingere nell’olio extravergine che arriva dalla piccolissima produzione dei loro settanta olivi.
Il cocktail pairing è ovviamente una possibilità stra-consigliata per accompagnare la cena, ma si può attingere dalla drinklist – lunghissima, siamo sugli 80 miscelati – per l’aperitivo o il l’aster dinner. Questo è il terreno in cui si muove Francesco Ricci, una lunghissima gavetta alle spalle, che per le sue creazioni ha conoscenze profonde, gran senso estetico e una gran cura: una specie di continua meraviglia negli occhi e nel palato. Nei bicchieri crea legami sofisticati e decisamente interessanti tra cucina e bancone, utilizzando ingredienti gastronomici (nel cocktail Black Jellyfish – ad esempio – aggiunge del nero di seppia), e fa un racconto del territorio con prodotti di eccellenza locali come vini fermi, bollicine o botaniche romagnole, il sale di Cervia, o un gin che autoproducono (e fa anche un Oyster Martini da urlo).
Il risultato è entusiasmante, da qualunque prospettiva lo guardi. Allora vieni assalito dall’idea che Indaco sia proprio il tipo di posto felice dove puoi star bene e vuoi provare a recuperare il tuo pezzetto di felicità. Uno spettacolo che vedi disporsi ordinatamente sotto i tuoi occhi, l’enunciazione luminosa di un accostarsi alle cose, rispettoso della realtà ma ostinatamente fedele all’immaginazione. Quello è l’attimo in cui t’accorgi della meraviglia che è.
Indaco
Viale Antonio Gramsci 33
47838 Riccione (RN)
www.indacoriccione.it