C’è chi raccoglie scorte alimentari, chi dona dalla distanza, e chi si mette ai fornelli per “diffondere la cultura del dono”. Ne abbiamo parlato con Roma Modesta e Cuochi ma Buoni.
Testo di Elisa Teneggi
Foto cortesia
C’è quel modo di dire che fa: “pochi, ma buoni”. Difficilmente si incontra oggigiorno sulle tavole italiane, dove le porzioni tendono ad abbondare e le portate a gonfiarsi come nuvole. Se viene difficile applicarlo al mangiare che la maggior parte di noi reputa ordinario, è anche vero che esiste un nutrirsi extra-ordinario: fatto di piatti che diventano altro e cibo emergenziale quando la tavola non esiste; ma anche di dono e solidarietà. E che si diffonde a partire dal basso attraverso la società.
“Siamo nati un anno fa con un obiettivo: cucinare la domenica, quando non si lavora, e portare la cena al gruppo di migranti alla stazione Termini di Roma, senza fissa dimora, o comunque a persone in difficoltà che vi gravitano attorno”. Lei è Fabia Fleri. È una story editor e, con altri colleghi dell’industria creativa e cinematografica, il fine settimana prepara chili di pasta per riempire gli spazi sociali dove manca il presidio di realtà più grandi, strutturate o istituzionali. La sua organizzazione si chiama Roma Modesta ed è un esempio di questo bene che si radica nel sottosuolo.
“Siamo nati come spin off di un altro gruppo equiparabile, Mama Termini. È un caso che il nostro crocchio di volontari sia composto dallo stesso genere di persone, diciamo. A volte torna utile, conosciamo persone più in vista di noi che possono aiutare la causa e far circolare la notizia delle nostre attività. Ci sono registi, montatori, doppiatori, sceneggiatori… Un giorno ci potremmo letteralmente fare un film”.
Riso, cous cous, pasta al sugo, al pesto, zuppe; e poi chi ci dà giù di lenticchie, chi porta la frutta, le bevande o le merendine; chi favorisce gli avanzi di una bisboccia del weekend. “Stiamo sempre attenti, però. Di preferenza prepariamo piatti vegetariani o comunque senza carne di maiale. Molte delle persone che serviamo sono musulmane e cerchiamo sempre di scrivere chiaramente gli ingredienti e di creare una sezione a parte”. E, se proprio il tempo di spignattare non lo si ha, be’, serve anche chi distribuisca i piatti, chi riempia i bicchieri e controlli il flusso di chi arriva.
“Le persone che riceviamo sono eterogenee, capita anche che siano ubriache o molto affamate, e che davanti al cibo o ad altre persone che li servono non sappiano mantenere la pazienza”. Roma Modesta non ha contatti con il Comune, ma un gruppo WhatsApp di coordinamento: alle 19:30 dell’ultimo giorno della settimana, tutti in Piazza dei Cinquecento. Dove, sottolinea Fabia, spesso rimangono al buio e tutto deve essere portato da loro: lampade, tavolini, eccetera.
Roma Modesta
“Accogliamo dalle 100 alle 200 persone per volta, poi c’è il giorno in cui siamo più pieni, quello in cui lo siamo di meno e allora cominciamo a girare attorno alla stazione per raggiungere altri punti di distribuzione”. Roma Modesta prende il nome da Modesta Valenti, donna senza fissa dimora morta nel 1983 dopo aver accusato un malore senza aver ricevuto soccorso. Ed è attorno alle persone che l’associazione si articola: tanto quelle che incontra, naturalmente, quanto quelle che si posizionano dietro ai fornelli.
“In fila trovi chiunque: dalla famiglia peruviana con una mamma incinta e una figlia piccola che sta dormendo per strada, all’anziano signore italiano che dice che ha una casa ma non ci può vivere, fa l’artista di strada e racconta di aver conosciuto tutti i grandi, da Mariangela Melato ad Alessandro Michele. Sappiamo che lì forse il bisogno non è economico ma sociale. Va bene così. Come va bene che, se abbiamo disponibilità sufficiente, si faccia il bis o il tris”.
A Milano le persone sono il fulcro anche di un altro progetto dal basso: Cuochi ma Buoni, fondato dalla food writer Sara Porro e dalla cuoca e food writer Myriam Sabolla. La scintilla avviene circa tre anni fa: le truppe russe di Vladimir Putin invadono l’Ucraina e in Europa i privati e le associazioni si mobilitano. Porro viene contattata dalla deputata Lia Quartapelle: vuole organizzare una cena di raccolta fondi da destinare all’Ucraina. “Allora scrivo su un gruppo Telegram che avevo creato, dedicato alle ricette e alla cucina di Yotam Ottolenghi, Mutuo Soccorso Ottolenghi. Ho chiesto se qualcuno fosse disponibile a mettere le mani in pasta per cucinare. Ecco, i Cuochi ma Buoni sono nati così”.
Che poi sarebbe più corretto dire Cuochi, ma Buoni, per riprendere il nostro detto di partenza. Anche se pochi non sono mica (o meglio, poche, più un Ludovico): 14, di cui solo una “cuoca di cucina”, Luna Ferrari, sous chef del ristorante Lafa. “Per gli standard delle cucine professionali siamo la metà di mille. Ma non essendo appunto professionisti dobbiamo stare attenti a tante cose. Scegliamo ricette semplici, con passaggi poco faticosi e a ognuna assegniamo un referente. Tutti le proviamo prima a casa e facciamo sopralluoghi in cucina, per minimizzare il rischio che qualcosa vada storto. Poi c’è il bello della diretta”.
I Cuochi ma Buoni sono ancora fedeli a quell’idea semplice: fare cene a costo zero – “e se c’è da sborsare lo facciamo di tasca nostra”, dice Porro – con l’aiuto di alcuni partner che condividono i valori del progetto, per devolvere l’intero ricavato in beneficenza. “Abbiamo una partnership con Fondazione di Comunità Milano per garantire la trasparenza nella gestione dei fondi che riceviamo. O, per meglio dire, che non riceviamo noi: infatti i commensali versano la quota direttamente al nostro fondo presso la Fondazione. Li destiniamo sempre a Onlus, mai a cause portate avanti da privati”. Altro valore promosso fin dalla prima cena (organizzata il 20 marzo 2022 a favore di Refugees Welcome) è l’inclusività, a cominciare da quella economica: le cene dei Cuochi ma Buoni costano 50 euro per cinque portate, dolci e bevande inclusi. Per gli aperitivi si parla invece di 25 euro. “E poi tutte le nostre ricette sono vegetariane con opzioni vegane. Altro punto: tanti di noi hanno famiglie e quindi per ogni evento una volontaria apre uno spazio bimbi. A volte sembra che fare beneficenza possa solo essere appannaggio degli iper-benestanti. Noi vogliamo mostrare che non è così. Vogliamo promuovere la cultura del dono”.
Sara Porro e i Cuochi ma Buoni
Qualche numero: finora, i Cuochi ma Buoni hanno organizzato dieci eventi (di cui sei solo quest’anno) e raccolto più di 51.000 euro. E l’anno prossimo, aggiunge Porro, vorrebbero interfacciarsi con le carceri, per esempio con il minorile Beccaria di Milano.
Altre cifre, questa volta da Roma Modesta. Secondo le rilevazioni di fio.PSD, la Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora, nel 2023 in Italia sono morte almeno 415 persone senza fissa dimora, con punte di decessi durante le stagioni di temperature più estreme (estate e inverno). Il Lazio si posiziona secondo nella classifica delle regioni con più morti (74, dietro alle 86 della Lombardia), ma a livello di città il triste primato è staccato da Roma: 44. “È una dimensione di cui ci si accorge”, spiega Fleri. Per questo “tanti ci chiedono se possono unirsi e aiutare. La volontà c’è, ma finché non si trova un’associazione a cui agganciarsi sembra un’idea da pazzi mettersi a cucinare della pasta e portarla in strada a chi ne ha bisogno”.
Anche perché “cucinare tanto cibo è difficile, che lo sbagli è un attimo. E le persone che serviamo sono molto attente, giustamente se una cosa poteva venire meglio te lo fanno notare. A volte è la pasta un attimo scotta, oppure ti chiedono di fare un piatto delle loro zone, ma ti correggono. Altri arrivano aggressivi, ti insultano e ti dicono solo di sbrigarsi. La forza del gruppo sta anche nel gestire queste dimensioni, nel sapere chi servire per primo o per necessità, o così da avere un decorso più facile”.
Roma Modesta
Ecco, il gruppo: perché dove il pubblico non arriva, a volte per carenze strutturali, il privato si fa avanti. Attorno alla stazione Termini, per esempio, sta avvenendo un’imponente ristrutturazione dello spazio urbano in vista dell’imminente Giubileo. “Il nuovo piano è molto bello – commenta Fleri – ma non prende in considerazione l’umanità che popola quella zona. Intanto noi agiamo seguendo le nostre motivazioni: che a volte sono puramente di mutuo soccorso, ma per alcuni soddisfa parimenti un bisogno di socialità. Qualcuno dice addirittura che gli cura la depressione, fanno nuovi amici, si sentono meno soli. Ma tutte queste motivazioni si concretizzano in atti pratici. Ti fa sentire più ancorato alla realtà, alla verità. Le conversazioni brillanti poi le avrai con gli amici al bar quando stacchi. Ma l’emozione di una Roma Modesta è maggiore, davvero”.
Si ferma e ragiona: “So che parlare di queste cose chiama subito il buonismo e la retorica. Da fuori lo può sembrare. Poi ti cali in quella dimensione e capisci che è tutt’altro: stai lì a incazzarti, loro si incazzano con te, è una fatica, non una gioia semplice. Non c’è nulla di adorabile. I primi dieci minuti di servizio la tensione è alle stelle, tutti sono affamati, si accalcano, prendono un piatto ma poi ne vedono uno che piace di più e vogliono fare a cambio… Poi tutto comincia a filare”.
Temi che sono al centro anche dell’azione di Sara Porro e del suo gruppo. “Milano ha una vocazione solidale, da sempre in città ci si adopera per le cause in cui si crede. Se c’è una cosa che si percepisce come problema, ce lo si intesta per cercare di migliorarlo. Forse anche perché il supporto statale è basso, se penso ad altri Paesi in cui queste questioni sono lasciate al privato, immagino il Regno Unito, ci si accorge che lo Stato si è un po’ levato da queste incombenze. con questo non voglio dire che le istituzioni milanesi non facciano nulla, intendimi. Però c’è di sicuro una collaborazione fruttuosa con il privato”.
Che poi non è nient’altro che un passo piccolo, però buono. E chissà che non sia proprio da questo sottosuolo fertile che potremo ristrutturare la nostra idea di cucina e di fruizione del cibo.