La cucina di Francesco Vincenzi e un team da sogno nel side-project di Massimo Bottura
Testo di Lorenzo Sandano
Foto cortesia de La Franceschetta 58
Il sentiero sfugge ai reticoli del centro città sino a una giga-vetrofania che ti rammenta con affetto che non ti sei perso, anzi: “I LOVE MODENA”, con tanto di cuore, anticipa e demarca l’insegna. La Franceschetta 58 – bistrot dell’Osteria Francescana, recita il sottotitolo – ti riceve al suo interno con un prospetto energetico fibrillante. Disteso con educazione in tutta la superficie lunga e affusolata che ne descrive gli spazi. Una ex-officina ristrutturata e arredata alternando un efficace mix di elementi vintage e pop-metropolitani, adagiati su scale cromatiche celeri nel ben disporre l’ospite.
La tua ultima visita forse è un po’ datata e rimani colpito da quel bancone laterale (c’è sempre stato?) ove clienti giocondi assaporano le vivande in un contesto di rilassatezza inebriante. Si impone un clima da frequenze internazionali. Vero che siamo in zona un po’ decentrata, ma forse stai correndo troppo con la testa (mi dico). Colpa della musica in sottofondo: i Beach Boys mi strattonano a cavallo di tavole da surf con quell’inconfondibile timbro ondeggiante. Troppo tardi. La mente insiste e traccia un link tutto suo, sino al termine del pranzo, tra il valore di questo bel ristoro e quello della band californiana. Provo a farla breve. In quanti conoscono il repertorio virtuoso e sperimentale di quei cinque “ragazzi da spiaggia”? Non parlo di hit dalle vibes balneari che li hanno resi famosi. Piuttosto dell’album/gioiellino chiamato Pet Sounds: capace di miscelare influenze orientali, sonorità psichedeliche e strumenti inusuali (molto innovativi) per l’epoca. Esempio prezioso di generi e sonorità contaminate alla grande tra loro e che – tanto per darvi un’idea del retaggio del disco – un quartetto “a caso” come I Beatles affermò di aver preso come fonte d’ispirazione. Metto in pausa la musica e torno sul cibo.
Impronta stilistica extra-territoriale
Ciò che smuove il parallelo con il gruppo di Brian Wilson, deriva dall’impressione che il calibro della Franceschetta rimanga fin troppo in sottotraccia rispetto al potenziale che realmente esprime. Certo, i riconoscimenti ci sono stati, ci sono e ci saranno, ma al termine di un pasto galvanizzante come quello vissuto, mi prendo la bega di asserire che questi ragazzi meritano di brutto. Anche qualcosa in più. In cucina c’è Francesco Vincenzi: battezzato da tutti Vinz, un giovanotto che preferisce far scorrere idee, assoli talentuosi e minuzia esecutiva invece di parole vacue. Non trascurabile umiltà, atta a comporre un profilo da cuoco di assoluta caratura, insieme all’attitudine gastronomica che trasmette. Una personalissima orchestra di interessi, ardore e intuizioni, riassunte nel linguaggio che poi magistralmente imprime nei piatti.
Se infatti i suoi primi vagiti formativi li ha spesi proprio nel ventre della Francescana (per diverso tempo) è riuscito, in sincro, ad assimilare cenni stilistici e tecnico/gustativi dai viaggi intrapresi all’estero. Brillante nel sovrascrivere culture lontane in uno spartito imperniato sul territorio modenese: come d’altronde la mission stessa della Franceschetta si propone di intonare in menu. Alla base parliamo di una ricerca affinata e incessante tra eroici produttori del circondario, con l’intento di rispolverare tradizioni, ricettari, movenze e ingredienti remoti per poi trasporli in metrica attuale. Permane l’impronta di Bottura naturalmente – come non potrebbe? – ma il carattere sguainato dalla playlist di portate risuona con una sua fulgida autonomia creativa.
La sala non resta indietro. Briosa morbidezza e competenza a palate irradiano il servizio capitanato dalla restaurant manager Giulia Venturelli. Stoffa rara nell’accoglienza, freschezza informale nell’interazione con l’ospite. Mood che si impenna ancora – se possibile – attraverso la dialettica ipnotica e la passione straripante riflessa dal sommelier Marcello Righi. Un autentico prodigio nell’arte del wine-pairing e nella narrazione di ogni singola etichetta stappata. Non esagero.
Il menu di Francesco Vincenzi
In tavola queste virtù traspaiono limpide. Spalancando le sinapsi palatali con un’entrée di Topinambur caramellato al rosmarino e una radice amara di soncino permeata da miele all’arancia, tè nero Lapsang Souchong e timo. Terrosità folte e ammalianti. Un ruggito vegetale ripreso con grinta dal regale Carciofo arrosto, la cui possente natura ferrosa si glorifica in un fraseggio a base di cardamomo, menta, nasturzio, uova di trota e fondo di verdure (trattate come carne) dalla persistenza iperbolica.
Le Animelle di vitello fritte sono accudite languidamente da un intingolo a base di funghi galletti, uovo, aglio nero e tartufo rilasciando corroboranti tinture nipponiche. Integrate con classe estrema agli spigoli d’humus condensati nei vapori della ciotola. Il termometro del godimento già scalpita parecchio. Non viene tradito dalle cremosità scultoree – molto più autoctone – di un eccezionale Paté al fegato di faraona, glassato con riduzione di Albana passita romagnola, panure di noci tostate e un nucleo emolliente di marmellata alle cipolle. Quando il pregio della materia prima (faraone da un allevamento iper-etico) e la sensibilità del gesto dialogano così bene il risultato è tanto ovvio quanto rincuorante da verificare.
Come attestato di queste fresche considerazioni, Vinz sfodera anche un suo “ormai-signature dish”, ovvero il Risotto mantecato con anguilla affumicata, rafano a crudo e un pungente seminato di giardiniera e saba celate sul fondo del piatto.
Trionfo preannunciato che si assesta non solo quale sunto delle doti di questa squadra, ma anche come un passe-partout concettuale Made in Franceschetta: tutti ingredienti prettamente locali – e derivati dall’immaginario tradizionale – si verticalizzano in un climax di contrappunti dal sapore cosmopolita e dalla vibrante modernità. Si riaffaccia il link con le contaminazioni pionieristiche dei Beach Boys.
Seduti qui pare però risulti vietato stilare conclusioni definitive. Perché approda prima una maestosa Coppa di mora Romagnola con aringa, cicoria e melograno – in esaltante abbinamento col rosso in anfora di Villa Venti scelto da Marcello – poi la stratosferica Tartelletta al foie gras, mandarino cinese candito, meringa al bergamotto e una colata avvolgente di caramello mou.
Alta maestranza tecnica di pasticceria (dal balance compositivo impressionante) che funge quale transizione idilliaca per la visione dolce non dolce del fine pasto. Vivanda conclusiva decantata in rima col detto modenese (ma diffuso anche in altre lande italiche): “Da la tela an t’alver mai se la bàcca l’an sa ed furmai”.
Non ci si alza dal tavolo se la bocca non sa di formaggio, dunque, così in brigata risolvono questo folclore legislativo raccogliendo in un raviolo dalle fattezze “salate” una farcia alla ricotta di capra fresca, cardamomo e camomilla. In cima ai bocconi di pasta – puntuale contrasto – una purea di pera cotogna, ricotta salata, erbe aromatiche e un tonificante brodo di kefir versato in chiusura, che delinea l’ennesimo raccordo (vittorioso) tra registri culinari passati e presenti. Quel che poi, in chiosa, è stato sin dagli esordi uno dei pilastri filosofici promossi dall’organico intero di Bottura. Raggiungendo in questo evolutivo bistrot emiliano ulteriori (e sfavillanti) forme applicative. Sempre nuove, sempre meglio, sempre avanti.
Franceschetta 58
Via Vignolese, 58
41124 Modena (MO)
Tel: +39 059 3091008
www.franceschetta.it