Testo di Raffaella Prandi
Foto di Brambilla Serrani
Qualcuno forse ricorderà il programma Avanzi condotto da Serena Dandini, con gli indimenticabili sketch di Lorenzo Skarz, alias Corrado Guzzanti, adolescente scioperato che, dovendo sostenere gli esami di maturità, veniva preparato alla prova dalla conduttrice. In uno di questi sketch, alla domanda parlami di Leopardi, il maturando Lorenzo rispondeva: “te dico ‘na parola sola: RE CA NA TI”.
Vuoi che Recanati non sia molto distante da Senigallia, vuoi che le associazioni mentali siano incontrollabili ma, se dopo la sosta alla Madonnina del Pescatore, mi fosse stato chiesto di parlare di Moreno Cedroni avrei risposto come lo studente Lorenzo: “te dico ‘na parola sola: CA RO TA”. E non perché Moreno abbia nulla a che vedere con l’impenitente Lorenzo. Se mai ha più a che vedere con Leopardi e la sua immensa poesia. Il fatto è che davvero quella Carota, maionese di cozze, piede di cornucopia e polvere di carota viola, passaggio del menu degustazione Luca e Moreno… Segnali di fumo è un gioiellino gastronomico tale da rivelare da solo lo stato di grazia dello chef e da ficcarsi per sempre in testa.
L’ispirazione del piatto viene dai paesi andini dove è pratica comune lasciare le verdure in acqua e calce per circa un’ora prima di cucinarle. Questa usanza è anche alla base di tacos e tortillas con l’impasto di mais messo a bagno per una notte in acqua di calce per renderlo malleabile e digeribile. Una pratica che i Conquistadores spagnoli dopo aver portato il cereale dalle Americhe al Vecchio Mondo si dimenticarono però di comunicare e trasmettere ai paesi dove il mais si era diffuso. Motivo per cui – accertato da studi postumi – le popolazioni europee che lo introdussero come base dell’alimentazione senza il necessario previo trattamento, finirono per morire di pellagra.
Ma torniamo alla carota. L’ortaggio è lasciato un’ora immerso in questo bagno, poi sciacquato e cotto con un dieci per cento di zucchero per un’ora e mezzo. Risultato: una carota croccante fuori come appena tolta dalla terra e cremosa all’interno. A fare il piatto sono poi la maionese di cozze, le molliche della panure realizzate con i sapori della classica grigliata del lungo mare Adriatico, la carota viola fermentata liofilizzata e sbriciolata che regala le tonalità acidule e infine il percebe o piede di cornucopia, un crostaceo pescato sulle coste spagnole (giusto per tornare alla Spagna), che dona sentori piacevolmente iodici e croccanti. Ma, colpo di raffinatezza, il fogliame con cui è disegnata la base del piatto tanto da sembrare il decoro stesso della ceramica: un inchiostro preparato emulsionando le barbe delle carote con spinaci e prezzemolo che, grazie a un apposito stampo, crea lo sfondo del piatto. Cosicché ogni piccolo pezzettino di carota va intinto nel fogliame e fogliolina dopo fogliolina l’incanto finisce.
Anzi, continua. Riavvolgiamo il filo del menu che scorre via con una leggerezza e digeribilità tali che neppure la più scondita delle insalate della pausa pranzo può lasciare. Il motto cedroniano che la bocca è come un flipper e i gusti sono le palline che bisogna far giocare, viene rispettato ed ecco che le palline si scatenano. Si inizia con quattro formidabili snack: la Stella marina con salsa alle vongole e mezcal cocktail: una pasta friabilissima a forma di stella marina di cui vorremmo tanto conoscere il segreto (se non abbiamo capito male, viene cotta come i taralli in acqua) con dei flash di un sughetto al pomodoro alle vongole come dai ricordi di infanzia di Moreno. E d’ora in poi anche dei nostri. Poi ecco che arriva, ancora come stuzzichino d’apertura, un sofficissimo Bao a forma di pesciolino ripieno di capesante e granchio, accompagnato da una salsina di yuzu e soia.
A seguire, un Crostino di ventresca di tonno e diaframma di manzo, un filo di burrata di Andria, tracce di caviale e tartufo nero. Qui urge aprire una piccola parentesi che in realtà potrebbe occupare pagine e pagine: il TUNNEL, ovvero il laboratorio di ricerca e sviluppo che affianca anche fisicamente il ristorante e dove, per almeno un mese l’anno a tempo pieno, lo chef sperimenta, supportato da un tecnologo alimentare, ogni sorta di tecniche e tecnologie. Il lavoro sulle fermentazioni sottovuoto (cavolo viola, piselli, zucca, topinambur, funghi porcini…) apre sempre nuovi fronti.
Una batteria di kombucha al tè verde, fiori di ciliegio e caffè è, per esempio, in pieno sviluppo. Come il lavoro sulle distillazioni: prossimo step uno studio mirato sulle alghe, compreso un distillato di alga spirulina per fare gin. Ma uno degli esperimenti più importanti riguarda la frollatura e la stagionatura di pesci di media taglia, dai 4 kg in su oltre che di carni molto delicate. Nelle celle a ozono che consentono di prolungare la frollatura di prodotti sensibili come rombi o quaglie, compaiono anche i diaframmi di manzo frollati per circa nove giorni. Inutile aggiungere che il monitoraggio è continuo, compresi i test sull’istamina.
Per tornare al menu, il diaframma del crostino è cotto shabu shabu, immerso cioè in un brodo e poi tuffato in una salsa ponzu. Mentre la ventresca di tonno, maturata sotto sale grosso per tre mesi a temperatura e umidità controllate, ha l’avvolgenza di un velluto. E ancora, sempre per la serie snack, il ricordo di un viaggio in Vietnam: un’Ostrica alla griglia (grigliata al Green Egg che ne intrappola sentori e profumi) con olio al prezzemolo, salsa nappata al cavolo viola e la croccantezza della mela Pink Lady.
Si passa alla sequenza dei piatti veri e propri: il Ceviche di ricciola con leche de tigre (una marinata a base di lime, peperoncino, aglio, cipolla, coriandolo) è servito in una deliziosa ciotola realizzata con cera d’api, come pure il cucchiaino. Stoviglie non commestibili, solo da ammirare, ma appetitose quanto il contenuto (da centellinare). La consistenza del pesce viene rinforzata da patate, papaya e mango e foglie disidratate di amaranto. Piccola magia di sapore: delle api bianche da sbriciolare sul piatto come fosse Parmigiano. Sono realizzate con la liofilizzazione di succo di ananas, miele e leche de tigre. L’essicazione dei liquidi si fa a freddo: prima vengono congelati cosicché l’acqua evapori direttamente dallo stato solido concentrandone il sapore. Passiamo al Cannellone di capasanta ripieno di zucca affumicata, latte di sesamo e salsa di anacardi.
E poi alle Conchiglie Verrigni cotte 9 minuti in acqua come fanno i comuni mortali, per poi finire gli ultimi tre minuti in un brodo affumicato di pelli di pomodoro. Le conchiglie sono farcite con una salsa di ceci, pastinaca, levistico, cocochas (le guance di baccala cotte a pil pil), burro acido affumicato e una spolverata di peperoni cruschi. Altra splendida portata, il Moro oceanico. Nient’altro che una spigola cilena pescata a 1000/1500 metri di profondità e stagionata nelle celle a ozono. Le carni sono toste e sode e anche piuttosto grasse perché per vivere a quelle profondità il grasso è utile. Moreno vi applica una doppia cottura, prima alla griglia e poi in olio cottura a 70°C per arrivare a 50°C al cuore. Quello che avverti al palato sono i sentori dolci di cocco delle carni. Narra la leggenda che a quelle profondità ci siano piantagioni di cocco, sappiamo tutti che è una bufala però l’importante è sapere che questi pesci si nutrono soprattutto di crostacei, per questo le loro carni hanno questa dolcezza particolare. A farla ulteriormente fruttare una salsa di spinaci, rucola e acetosa, un olio al salmoriglio, il daikon, la radice asiatica cotta nel latte di cocco, germogli e foglie dell’orto marino che sta proprio lì sulla spiaggia di fronte al ristorante. L’orto, è vero, lo fanno un po’ tutti gli chef, ma questo di Moreno è coltivato proprio nella sabbia e riprende quelle essenze che già sua nonna raccoglieva in tempi non sospetti.
Prima di passare definitivamente ai dessert, un Polpo cotto in forno a vapore e poi ripassato in griglia con bacche di senape, salsa agrumata con collagene e olio, ficoide glaciale – che ha la funzione di idratare il palato – carota julienne e salsa di friggitelli. Non c’è tappo di sughero che possa regalare al polpo questa impareggiabile tenerezza.
Ed eccoli in fila i cinque dolci: graficamente suggestiva l’icona di Corto Maltese riprodotto con una polvere di cioccolato da spazzolare e distruggere. In un altro dessert i Ricci di mare, disidratati, si reidratano sprigionando tutta la loro essenza mescolandosi al cioccolato e a una fresca granita di mandarino preparata con succo fermentato. Da ultimo uno Sweet tribute, un omaggio a cinque grandi chef del pianeta, a cominciare da Nadia Santini, Virgilio Martinez, Angel Léon, René Redzepi e Paul Pairet.
Confida Moreno: “Siamo una generazione – noi tra i 45 e i 65 anni – che ha ancora molto da dare. Personalmente mi sento in un momento felice, più che mai concentrato con la voglia di fare sempre meglio, ma senza più le ansie del passato”. Si aprono insomma gli anni della pienezza, con tanti obiettivi già raggiunti, dal Clandestino di Porto Novo ad Anikò, lo street food di Senigallia (Moreno è stato il primo a inventarsi il panino gourmet), imprese che hanno occupato a lungo la sua mente. Sempre sostenute da donna Mariella, iconica presenza in sala. “Ora è tutto a posto, tutto funziona, posso, possiamo solo divertirci a fare quel che facciamo”.
Madonnina del Pescatore
Via Lungomare Italia, 11
60019 Senigallia (AN)
www.morenocedroni.it/la-madonnina-del-pescatore/