Testo di Cristina Ropa
Foto cortesia
Quando varchi la soglia di un carcere, tra porte blindate e alte grigie mura di cemento, sono tante le emozioni che possono affiorare ma difficilmente immagineresti di provare una profonda speranza. Eppure, è emersa forte e luminosa, ascoltando tutti i progetti di reintegrazione sociale e lavorativa realizzati nella Casa Circondariale Sant’Anna di Modena, tra cui l’orto in coltivazione biologica, un progetto straordinario che lo chef Francesco Vincenzi, sulla scia di uno spirito volto al sociale ben radicato in casa Bottura, ha deciso di abbracciare due anni fa inserendo nel menu del ristorante Franceschetta58 a Modena questi prodotti. Nulla accade mai per caso. Il cibo ha un potere connettivo ineguagliabile. Ci riporta all’essenza della vita, alla terra, alla cura, all’origine di tutto, a sentirci parte in ugual modo di questo tutto ad annullare le differenze e alla possibilità di innescare una reazione di crescita a catena dove progetti virtuosi ne accendono altri.
“Sono venuto a conoscenza di questo progetto tramite il Teatro dei Venti di Modena con cui avevamo realizzato un corso di dizione e postura – racconta Vincenzi – Stavano realizzando dei laboratori di teatro con i detenuti e mi proposero di organizzare un banchetto in occasione di fine corso coinvolgendo i ragazzi che avevano fatto il corso di cucina nel carcere. Abbiamo realizzato il creme caramel con il miele delle loro arnie, le fragole maturate a dicembre nella serra… Sono rimasto attratto da questo progetto e Nicoletta Saporito, la coordinatrice, ha saputo trasmettermelo molto bene. Non mi vergogno a dire che non ero interessato a questo tipo di contesto, anzi, ho sempre avuto la tendenza a giudicare mentre da quando abbiamo avviato questo progetto ho cambiato totalmente approccio. Investire sul futuro del proprio territorio, fare in modo che queste persone possano rimettersi in gioco e che lo Stato possa aiutarli in questo percorso ad avere un futuro migliore, sento che adesso questo aspetto sociale per me è in primo piano e ne sono grato perché attraverso il loro lavoro posso esprimere anche me stesso nei vari piatti in cucina”. Osservo la Dottoressa Saporito e vedo nei suoi occhi una luce di profonda gioia e soddisfazione per quanto realizzato finora.
“Arrivano uomini tristi e dopo un anno che partecipano al progetto li vedi rifiorire. Prendersi cura di un seme, vederlo crescere e generare un qualcosa che poi raccoglieranno è un’epifania per loro. Vedono una trasformazione che dona speranza. Un ragazzo, scontata la pena, mi ha ringraziato tanto e ha condiviso il suo desiderio di continuare questa professione. Inoltre, il mercato che allestiamo al sabato dedicato alle persone esterne è diventato un punto di riferimento per il quartiere. Le signore anziane portano il caffè o scrivono lettere in cui elogiano i detenuti per il loro impegno. Sono progetti che ridanno la luce, aiutano le persone a riscoprirsi, a riconoscere le proprie capacità, i propri talenti nascosti”.
Sono sei, a rotazione, i detenuti coinvolti. La selezione avviene a cura di un’equipe istituzionale del carcere ed è determinata dalla buona condotta degli stessi. “Chi può accedere a questo progetto – continua – dovrà seguire una formazione di 150 ore come addetto all’agricoltura a seguito del quale riceverà un certificato di competenza spendibile anche fuori dal carcere. Essendo considerato un lavoro a tutti gli effetti viene quindi correttamente stipendiato e valutato come parte del trattamento di rieducazione per trasmettere il rispetto delle regole e il senso di responsabilità. Il primo elemento che vogliamo garantire al detenuto è la possibilità di essere autonomo e di fare scelte libere per ricreare il proprio futuro”.
Da qualche mese è stata data la possibilità anche alle donne, una sezione più piccola rispetto a quella maschile, di curare le piante per il progetto florovivaistico. La visita prosegue e dall’appezzamento di terra interno alle mura ci spostiamo a uno più esterno. Gli spazi sono ampi per un totale di 1,8 ettari di terreno. “Qui coltiviamo totalmente in biologico dal 2000 – racconta Giovanna Del Pupo, l’agronoma che segue i detenuti nella cura dell’orto – Lo possiamo riconoscere dalla presenza dei lombrichi e dalle erbe che crescono spontanee come la malva, la portulaca e l’asparago selvatico. In questa stagione abbiamo tutti gli ortaggi invernali come il cavolfiore, il broccoletto, il cavolo nero, il cavolo rapa, i carciofi. Mentre in estate gli alberi da frutto abbondano di prugne, susine, amarene, ciliegie, albicocche. Lo scopo è il recupero dell’ecosistema che c’è nel terreno quindi occorre rispettarlo, lasciarlo riposare per dei periodi, senza stressare la terra. Noi non raccogliamo per la conservazione o per la commercializzazione ma per il consumo quindi lasciamo che la natura ci doni con i suoi tempi e la sua spontaneità”.
Il sorriso, l’affiatamento, l’acquisto di un mezzo agricolo chiamato dai detenuti Marcello, è segnale della rete umana forte, della capacità di questo progetto di rigenerare le persone dall’interno attraverso un sentire simbiotico con la terra. Oltre alle serre interne dove sorge il vivaio e quindi la prima fase di crescita delle piante, tra cui anche le erbe aromatiche, c’è una serra esterna al cui ingresso divampa un genuino odore di letame. Lo chef Vincenzi si avvicina alle piantine di fragola da cui spuntano già i primi frutti. Le osserva, le studia. Come se vedesse già i piatti da comporre con questa fresca materia prima, risultato di un processo circolare in cui non c’è discontinuità tra valorizzazione della natura, delle persone e del territorio. Una filosofia presente anche in altri progetti dentro il carcere come Manigolde Circondariale, un laboratorio di sartoria dedicato alla sezione femminile proposto dalla sartoria Mani Tese il cui scopo è ridare una nuova vita agli scarti dei tessuti industriali cucendo a mano bellissime borse, grembiuli, pochette e tanto altro, sempre con un’attenzione rivolta a un possibile inserimento lavorativo. In ambito culinario troviamo inoltre la cooperativa sociale Eortè con un laboratorio gastronomico per la produzione di pasta fresca e prodotti da forno come grissini e biscotti. Altro progetto di grande valore è quello delle arnie, presenti sempre nella zona esterna del carcere, seguite dall’apicoltore Zeid Nebulsi e che producono (in loco) un delicato e ambrato miele Millefiori.
Dopo una così ricca full immersion di vibrante vivacità rivolta al sociale e alla natura non ci resta che assaggiare i piatti dello chef al ristorante Franceschetta58 nel centro di Modena. I piattini colorati appesi alle pareti donano un elegante tocco di fusione tra artigianato e contemporaneità. E poiché l’ambiente esterno è un riflesso dell’anima, anche i piatti proposti dallo chef nel menu degustazione sprigionano l’attitudine a far convivere passato e presente con un’attenzione particolare alla valorizzazione delle verdure provenienti dalla Casa Circondariale. L’antipasto simboleggia appieno questo spirito. I Cavoletti di Bruxelles con crema di caprino e una foglia di rapa a crudo condita con pesto di uvetta, acciughe, capperi con olio all’aglio e polvere di the nero affumicato Lapsang Souchong, danno quel tocco green di forte connessione con l’esperienza appena vissuta. Sperimentiamo poi una Zuppa di seppia “cruda”, passata solo leggermente alla brace e servita con un brodo di seppia dal sapore – intenso e deciso ricavato dai ritagli arrostiti e cipolle – e finita con bergamotto, salicornia e prezzemolo. Zero scarti, armonia magistrale di sapori. Sempre in coerenza con l’intento di utilizzare materie prime sostenibili presenti sul territorio regionale, il pesce utilizzato dallo chef viene garantito dalla collaborazione con Ecopesce, azienda di Cesenatico; un’alta qualità e freschezza sempre più evidenti mentre addento un morbido pezzo di storione, la terza portata, un piatto rappresentativo della filosofia del menu di valorizzare le materie prime animali con parti vegetali aromatiche. Qui svettano delle deliziose Bietole bruciate, salvia e polvere di agrumi. Ci viene poi proposto un piatto inteso, caldo, avvolgente: una Pasta tubetto e cavolo nero, utilizzato in ogni sua parte, centrifugato per ottenere la base e il cui gambo viene messo sotto sale per 24 ore portatore di salinità al piatto. Le foglie croccanti finale donano quel tocco crunchy finale divertente e gustoso. Un altro emblema della collaborazione con il carcere è il Raviolo di sedano rapa. Il ripieno morbido contrasta con la presenza della noce che lo rende più coinvolgente sia nel sapore che nella consistenza, mentre per il fondo vengono utilizzati tutti gli scarti di questo prezioso ortaggio e per il tocco finale l’erba levistico.
Dopo una successiva portata con Manzo e il suo grasso di erbe amare, dove la Vacca Parmigiana viene scottata in padella finita con un fondo fatto di ossa e midollo e servita con un battuto del suo grasso cotto ed erbe bruciate portatrici di sensazioni grasse tanniche ed erbacee, arriva la portata principale: i fagioli all’uccelletto. I fagioli borlotti, legati alla tradizione emiliana, vengono cotti a vapore e serviti su un fondo di volatili arrosto. La corposità del fagiolo si incontra e danza con l’intensità del fondo da cui emerge l’inconfondibile sapore della faraona. La pelle croccante posta in cima dona quella nota finale ruspante davvero eccezionale. Il Dolce Bosco chiude questo virtuoso e gustoso menu accompagnandoti nello scoprire una struttura fuori dagli schemi ispirata al tiramisù al cui interno troviamo savoiardo imbevuto nel caffè, marron glacé, salsa di cacao, tartufo, pinoli caramellati, una sfoglia al cacao molto sottile, uno strato di spuma al topinambur e polvere al cacao. Un bosco da favola gustativa.
Ogni portata è stata presentata dal sommelier Zack Labib con un accompagnamento di vini eccezionali, tra cui spicca Popcorn Sauvignon Blanc 2023 dalle strepitose note fruttate e floreali con sentori di ananas, fiori di sambuco ed erba fresca in linea con l’inno ai vegetali di questo menu e un Bianco Dedalo realizzato da Luca Pizzetti nei poderi di Franchina e Giarone a Castelvetro di Modena dai profumi di ginestra, pesca e aromi erbacei. Divino. Tante luci, tanto splendore scaturisce da progetti virtuosi sempre più in connessione tra loro per diffondere bellezza e speranza attraverso l’amore per la natura, tradizioni culinarie intramontabili e uno sguardo fisso sulla società rivolto a non lasciare indietro nessuno. Pura poesia.