Testo e foto di Barbara Marzano
“Fine dell’effetto Masterchef”. Lo sforzo di sintesi, con cui gioca un semplice titolo di giornale, innesca istantaneamente una riflessione: l’innamoramento per i fornelli, che qualche tempo fa dilagava, è oramai sulla via del tramonto. Come negarlo, ultimamente le difficoltà in campo gastronomico si sono fatte più dense, nonostante tanti abbiano provato a cambiare formula con proposte diverse, basti citare il Noma di Copenaghen che ha già annunciato la chiusura “imminente” prevista per il 2024. Diciamo che, dopo il terremoto pandemico, ora si sentono le prime scosse di assestamento, un’ennesima sfida che punta il dito sugli imprenditori della ristorazione. E se c’è bisogno di rassicurazione, allora è meglio affidarsi a uno dei “Marchesi Boys”, Davide Oldani, e a Enrico Bartolini, che del Maestro Gualtiero ha raccolto il testimone, riportando Milano nella galassia dei tristellati. Entrambi presenti a Fare ristorazione, l’appuntamento del martedì sera presso la Fondazione Gualtiero Marchesi di Milano, ci raccontano il loro punto di vista su questo mestiere. È un’arte che a quanto pare ha perso punti in classifica, tanto che anche la percentuale di iscritti alla scuola alberghiera di chef Oldani (Cornaredo), ne sta soffrendo:
Davide Oldani: “Inutile nascondersi dietro ai numeri: c’è da ammettere che negli ultimi 3 anni, noi siamo passati da 75 mila a 32 mila persone iscritte alla nostra scuola alberghiera. Il fattore umano è la materia prima di questo lavoro: può esserci tutta la tecnologia che vogliamo, quanto la tecnica, ma se mancano le risorse umane, poi viene a mancare anche la qualità nel servizio.”
Questo non è un mestiere che può essere scelto come palcoscenico per far spettacolo, o magari per tentare di entrare in tv e diventare una star dei talent show dribblati dal nostro zapping. È un settore che merita stima, un po’ di più di quello che oggi gli è concesso, perché quando si è seduti a tavola, nel bel ristornate stellato, il rispetto c’è, ma quando si parla del dietro le quinte, di chi ci vuole lavorare – per davvero – questo va a mancare.
Davide Oldani: “In questo campo c’è una marea di lavoro, che probabilmente però non è coerente e non va incontro a quello che vorrebbero i giovani. Ma è importante capire che non servono scuole “di recitazione”, dove oltre alla cucina si insegna anche lo show: attualmente, si può fare buona cucina e servizio, se c’è la voglia di avere uno sguardo visionario, di capire che serve del tempo, per un percorso graduale, con un passo ponderato, per crescere. È questa che permette di costruire un progetto.”
Se da un lato la cucina, per alcuni, si presenta come un mero palco su cui andare in scena, dall’altra parte è anche un ambito su cui i riflettori puntano con più insistenza e aspettativa, in quanto si dà oramai per scontato che debba perseguire la sua missione, ovvero essere portavoce di una missione, e quindi fare cultura.
Enrico Bartolini: “È vero, ci sono meno giovani iscritti, ma è anche vero che le persone che l’età media delle persone in brigata oggi è decisamente più bassa di una volta. Questo significa che essendo molto giovani, ed essendoci allo stesso tempo meno persone, chi ha scelto questo mestiere ha sicuramente più probabilità di riuscire a fare strada rapidamente. La difficoltà non è il giovane che con grande entusiasmo entra a lavorare, ma ciò che c’è da aspettarsi dopo, quando dopo i primi entusiasmi, vogliono misurarsi con qualcosa di più grande, generando un turn over, anziché fare carriera e misurarsi nello stesso posto.”
C’è da dire che negli ultimi tempi si è assistito anche a un fattore da non sottovalutare, ovvero la liberalizzazione delle licenze in campo ristorativo. Possibile che i contro siano stati al di sopra dei pro?
Enrico Bartolini: “È stato sicuramente un gesto che ha dato la possibilità a molte persone di mettersi in gioco, e che allo stesso tempo ha tolto quell’indelebile speculazione che c’era sul valore della licenza. C’è da ammettere però che la cosa ha anche i suoi aspetti negativi: oggi aprire un ristorante è abbastanza facile, ed è giusto che le persone portino avanti i loro sogni, ma bisogna anche saper riconoscere che se si è alle prime esperienze, si deve avere l’accortezza di rispettare la disciplina delle aperture, seguendo un percorso e, mattone dopo mattone, costruirsi un’esperienza.”
Stelle o cieli azzurri, percorsi degustazioni o porzioni da trattoria, l’esperienza rimane la materia prima immancabile, con più valore, che vale sempre la pena di pagare, che si stia seduti in sala o dall’altra parte del pass.
Trucioli e zafferano, abbinati a Salento di Cusumano