Cronache di una cena irripetibile di Giacinto Rossetti e il culto di un convivio senza tempo
Testo di Lorenzo Sandano
Foto di Callo Albanese
Un simposio memorabile presso il Podere di Marchesi di Ravarino, ricamato tra valori affini e un eco lirico dell’antica Roma. Chi scrive non trattiene un sottile orgoglio viste le proprie origini capitoline, ma romanità a parte il banchetto che mi appresto a descrivere ha riassunto e amplificato la caratura degli animi dei commensali coinvolti e dell’essenza di vini/vivande che ne hanno scandito lo svolgimento.
Storie di enoica bellezza
Il ritrovo, già citato, è appunto quel luogo intriso di storia che Angelo Marchesi (dell’omonima cantina) scelse di rilevare in un colpo di fulmine nel 2010, approfondendone in divenire la rilevanza culturale e geologica che lo rende tutt’ora un unicum territoriale: appezzamento di circa 16 ettari nell’alveo del fiume Panaro che custodisce le tracce di un antico accampamento romano con relativa ripartizione in “centurie”, ovvero campi quadrati divisi in multipli di cento metri che i romani usavano quale sistema di misurazione.
Mosso da un fulgido desiderio rivolto alla bellezza per un podere risalente al 1200 (ancor prima della nascita effettiva del paese di Ravarino), Angelo ha assecondato la propria indole da mecenate portando alla luce il potenziale vitivinicolo dell’humus circostante alla struttura: un terroir elettivo per la produzione del nettare di Bacco come pochi altri nel circondario. Caratteristiche appurate sulle vigne che ora compongono l’ecosistema aziendale e che, in un romantico passaggio di testimone, hanno concesso nel tempo al figlio Nicola Marchesi (giovane enologo e viticoltore) di sperimentare/affinare etichette biologiche frutto dei più iconici vitigni indigeni. Lambrusco di Sorbara, Trebbiano di Spagna, Grechetto Gentile, vinificati nature con l’ausilio di rispettose tecniche moderne e metodologie ancestrali, apprezzabili in etichette di indiscutibile finezza.
Poetica eno-gastronomica in convivio
in questo toccante ritratto familiare, emerge un ulteriore collegamento romano suggerito dall’introduzione alla cena a cura di Marco Belforti & Giorgio De Mitri (eclettico gourmand modenese, anch’egli alfiere del mecenatismo che ha contribuito alla genesi della serata): una citazione dell’elogio al desiderio del poeta Orazio diviene infatti l’incipit tematico dell’incontro. Un rimando spirituale alla necessità di rifugiarsi in un luogo lontano dai centri urbanizzati – tra orti, viti, boschi e campagna – per dedicarsi a momenti meditativi e moderate contemplazioni epicuree. Questo il filone che ha raccolto prodi ristoratori, cultori del vino, appassionati e buongustai lungo una tavolata all’interno del Podere.
Parliamo di una vera “falange oplitica” (assecondando il fil rouge romanico) di alcuni tra i più autorevoli interpreti eno-gastronomici emiliani: Mariella e Guido della già narrata Locanda Mariella di Fragno con al seguito chef Kuni & Joyce (in ordine, sfoglino nipponico per antonomasia e giovane mastro pasticcere della bassa reggiana); Giancarlo Tavani quale ambasciatore del prezioso ritrovo tradizionale dei Due Platani di Coloreto; Filippo Marchi del Teatro del Vino (erudito divulgatore, importatore e distributore enoico sull’intero suolo italico); Antonio Previdi della Trattoria Entrà di Finale Emilia (oste emblematico di uno micro-cosmo ristorativo fatto di saperi e gusti reconditi custoditi in un fazzoletto di terra a Nord di Modena); Niccolò Righi, (talent-scout carpigiano per eccellenza di prodotti e produttori remoti, selezionati nel solco improrogabile della qualità).
Caccia alla leggenda del Trigabolo
L’ospite più atteso però – nonché demiurgo e mastro di cerimonie della cena – si rivela un ristoratore/cuciniere mitologico quale Giacinto Rossetti del leggendario Trigabolo di Argenta: ex-pizzeria di paese nella Bassa Ferrarese tramutata da egli stesso nel 1975 in una fucina irripetibile di sapori veritieri, pensieri illuminanti e in una ponderata anarchia creativa. Accompagnato nell’impresa dalla sfoglina Gianna e dai giovanissimi (all’epoca) Bruno Barbieri, Igles Corelli e il pasticcere Mauro Gualandi, Rossetti ha reso tale l’insegna un fulcro di idee e gesti inestimabili apprezzati in tutto il mondo, capaci di indirizzare il linguaggio della ristorazione italiana sino a oggi.
Un autentico baluardo di provincia (fregiato delle 3 stelle Michelin ad honorem post-chiusura) che ha suscitato tra i tanti l’ammirazione di Veronelli, dei grandi cuochi francesi e di artisti del calibro di Andy Warhol. Oltre a tutto ciò, Giacinto ha saputo edificare una cantina di rara varietà e sapienza, stipulando passioni reciproche con gli anfitrioni di Marchesi di Ravarino. Non solo questo accomuna gli artefici della serata, perché l’amore condiviso da Rossetti, Angelo e Nicola verso la cacciagione ha fornito l’espediente materico al cuoco per comporre un menu imperniato sulla “caccia” a dir poco strabiliante.
Osservare la liturgia pacata e minuziosa con cui ha monitorato lo spiedo degli arrosticini di germano serviti per aperitivo (locati sul camino del salone principale) detiene già un sunto struggente della sua sopraelevata sensibilità. La sfilata epocale di piatti concepiti da Giacinto ha delineato inoltre un florido parterre per degustare una verticale di Magnum ’19-’20-’21 + la Baby Magnum della cantina ospitante: Lambrusco di Sorbara secondo metodo ancestrale di straordinaria beva, maturità e eleganza.
Fluttuando beati tra una Tartare di canapiglie (volatili del ceppo degli anatidi) e dijionnaise con carotine fermentate, un voluttuoso Uovo al tartufo bianco con ganache di Parmigiano Reggiano e fondo di alzavole al mandarino, o l’estatico Riso di folaga (pennuto della famiglia dei rallidi) al pepe selvatico; gli ospiti votati al culto del vino (quali Filippo, Antonio, Giancarlo, Guido e Mariella) si sono alternati nell’omaggiare la tavolata con alcune perle enologiche in una sequenza di degustazione affine alla razionale follia che rese celebre la cucina del Trigabolo.
Dall’elettrizzante Tribolo (Trebbiano di Spagna) dei Marchesi di Ravarino versato quale esordio del pasto, ha preso poi snodo una festosa baldanza di bottiglie prestigiose e calici rotanti che hanno spaziato agilmente tra Loira, Slovenia, Jura, Piemonte, Campania, Spagna e molto altro ancora. Rimarcando la libertà espressiva quale perno insostituibile nel dialogo cibo/vino, spalleggiando in sincro altri piatti monumentali di Rossetti quali la Beccaccia lardellata allo spiedo ripiena di fegato grasso e il Tordo al tegame con pane “cunzato” alla brace.
L’intero pasto si è dimostrato in effetti un trampolino per compartire vissuti intimisti, aneddoti personali, rimandi antropologici e tessuti affettivi in una radiosa modalità spigliata: rafforzando rapporti preesistenti e codificandone dei nuovi al tempo stesso.
Un’ode alla curiosità umana, al piacere collettivo, sino all’atto conclusivo – coccolati dal panettone di Mauro Gualandi con zabaione all’Armagnac – in cui un tenero e (ancora) immenso Giacinto ha speso poche ma risolutive parole sull’importanza di cucinare per chi si ama in un luogo dai tepori domestici, dispensando lodi per il suo sous-chef (nonché pupillo) Simone Finetti: chef che ha da poco inaugurato – con la compagna Veronica – il locale Villa Albertina proprio nei pressi di Argenta.
Un delicato quanto sommo pensiero che si riallaccia al sentito scambio padre-figlio avvenuto tra Angelo e Nicola Marchesi, poi sapientemente riprodotto nella realtà che ha fatto da palcoscenico all’evento. Una chiosa perfetta per quell’elogio al desidero menzionato all’inizio: la gratitudine nel poter godere dell’ospitalità intercambiabile di chi si ha vicino, condividendo e gustando sia la pienezza dello spirito che la vivacità della carne. In un luogo traboccante bellezza, lontano dalla frenesia cittadina e circondati da quella gamma di sentimenti che avrebbero rallegrato di sicuro anche il poeta Orazio.
Marchesi di Ravarino
Via Viazzola
41017 Ravarino (MO)
www.marchesidiravarino.it