Testo di Letizia Gobio Casali
Foto cortesia Alto Adige
“I nostri genitori erano gelosi dei loro segreti. Noi invece collaboriamo: tra noi non c’è competizione perché abbiamo un obiettivo comune: far conoscere il vino prodotto nei nostri territori”. Così la giovane Veronika Pfeifer, ottava generazione di Pfannenstielhof, riassume il diverso approccio tra la generazione dei 30-40enni che oggi conducono molte delle cantine dell’Alto Adige e quella dei rispettivi genitori. Veronika fa parte di un raggruppamento specifico: quello che produce il Santa Maddalena, un vino composto per almeno l’80% da schiava, il vitigno locale (in dialetto chiamato vernatsch, la cui traduzione sarebbe vernaccia, benché le vernacce siano a frutto bianco e questo sia rosso) e per il resto da Lagrein, il cui consorzio risale al 1923, un anno prima di quello del Chianti Classico. “Lavoriamo insieme e a stretto contatto l’uno con l’altro. Ci incontriamo regolarmente, confrontiamo, degustiamo i vini e ci scambiamo consigli sul lavoro in vigna o in cantina per elevare la qualità del prodotto. Però ognuno mantiene il suo stile” aggiunge Lukas Mumelter della Cantina Griesbauerhof, che ha studiato a Geisenheim insieme a Josef, il figlio di Josephus Mayr, il presidente del Consorzio di Tutela del Santa Maddalena, che ora guida l’azienda familiare della Tenuta Mayr-Unterganzner. Il “club” under 40 dei produttori di Santa Maddalena ha anche ideato un evento sul Renon, un altopiano sopra Bolzano: Maddalena on the Rocks, per far conoscere questo vino ai turisti estivi. Ma le idee e la voglia di impegnarsi non mancano nemmeno ai giovani che producono altre tipologie di vino in una regione che rappresenta solo l’1% della produzione vinicola nazionale, con una prevalenza di bianchi. “Quaranta milioni di bottiglie l’anno, di cui il 64% bianchi e il 36% rossi” precisa Andreas Kofler, presidente del Consorzio Vini Alto Adige.
Tra i giovani produttori emergenti, Johann Rottensteiner, 25 anni, produce Gewürztraminer in modo biologico da vent’anni, su terreni acquistati dal nonno negli anni 80 a Brunnenhof Mazon e ha la certificazione Bioland dal 2010. Karoline Walsh, parte della quinta generazione di produttori di Gewürztraminer, fa invecchiare parte della produzione in una ex miniera d’argento in Val Ridanna, sfruttando l’oscurità e l’umidità al 95% per conferire al vino caratteristiche uniche. Dopo aver studiato economia a Graz e lavorato all’estero, Karoline è tornata per portare innovazione nell’azienda di famiglia. E come lei hanno fatto quasi tutti i giovani colleghi che oggi guidano una azienda vinicola. Per questo Simon Pliger di Kuen Hof, uno dei giovani protagonisti della locale viticoltura eroica, che pure ha un passato di lavori manuali, sottolinea l’importanza della formazione.
“La competenza e la professionalità sono fondamentali quanto la conoscenza del marketing e delle relazioni internazionali”. Questo vale tanto nelle aziende private quanto nei consorzi, come dimostrano le figure emergenti: Jakob Gasser, entrato alla Cantina San Michele Appiano come stagionale, ha meritatamente scalato tutti i gradini gerarchici; Manfred Bernard, enologo, è il direttore della produzione vinicola di terreni di proprietà ecclesiastica, la Tenuta Cantina Convento Muri-Gries, E a loro si aggiunge Matthias Messner direttore della Cantina Bolzano, che spiega come il consorzio da lui guidato, per attrarre la Generazione Z, abbia creato Rosa, un vino a basso tenore alcolico (9% vol), che richiede spiegazioni per essere apprezzato, ma che sta conquistando fette di mercato. Altrettanto innovativa è la proposta di Armin Gratl, direttore della Cantina Valle Isarco, coadiuvato dal giovane enologo Stefano Donà: Granit 960, un kerner che matura in un contenitore di granito unico al mondo, mentre allo studio c’è uno spumante a base di sylvaner. Il passaggio generazionale al timone di aziende vinicole è facilitato dalla vecchia gestione, che invece di condividere il potere, spesso preferisce concentrarsi sulla vigna o dedicarsi ad altre attività. Tra le giovani leve dell’Alto Adige ci sono anche alcune figlie d’arte come Ines Giovanett di Castelfeder, che dirige l’azienda insieme al fratello enologo, ed Eva Kaneppele, presidente di Giovane Economia dell’Alto Adige. Entrambe equilibrano innovazione e vita familiare, attenzione al sapore del vino, ma anche all’aspetto estetico di bottiglie ed etichette, dimostrando abilità nel portare avanti le tradizioni con un tocco di modernità.
“Qui c’è una nuova generazione di vignaioli che sta facendo davvero ‘rumore’ con l’intenzione di farsi sentire e di portare avanti i progetti iniziati dai loro nonni e genitori. Sono giovani con grande entusiasmo e competenza, che hanno alle spalle importanti percorsi di formazione ed esperienze in tutto il mondo, tutti fattori che consentono loro di portare una nuova energia nelle cantine. È bello vedere come si confrontano e fanno squadra, ognuno con le proprie peculiarità, andando tutti nella stessa direzione: quella della qualità” conclude Andreas Kofler. E così non resta che lasciarli lavorare per aspettarsi (legittimamente) grandi risultati.