Testo di Letizia Gobio Casali
Foto cortesia di Borgo Egnazia
“Il verosimile (materia dell’arte) è un vero, diversissimo dal reale, ma veduto dalla mente per sempre o, per parlar con più precisione, irrevocabilmente: è un oggetto che può bensì esserle trafugato dalla dimenticanza, ma che non può esser distrutto dal disinganno“. Frugando tra i “reperti” delle scuole superiori, molti ricordano queste parole con le quali il poeta Alessandro Manzoni esprimeva il senso del cosiddetto “vero poetico”: il potere di ricostruire una realtà non storica, ma più credibile ed emozionante di quella data dai nudi fatti. Borgo Egnazia sembra un po’ lo stesso: un falso storico più suggestivo e completo del reale nella sua perfetta evocazione della vita di un borgo pugliese. Perché altrove, nella stessa regione, un insieme così incantevole, eppure credibile, variato eppure semplice, non esiste. Merito della visione di Aldo Melpignano, il proprietario, degno figlio di quella Marisa, la cui geniale intuizione nel 1996 ha trasformato la masseria di famiglia in un hotel di alto livello e ha posto la Puglia nel radar del jet set internazionale. Per dare vita a un immaginario, ma verosimile, borgo pugliese, Borgo Egnazia ne ha ricreato tutte le specificità: dalla piazza centrale alle tipiche luminarie, dai numeri delle stanze non disposti in modo regolare (proprio come avviene per i numeri civici nelle vie), al decor rustico, ideato dallo scenografo Pino Brescia, che ha usato tutti i colori, tessuti, le piante, gli aromi del territorio per determinare una generale impressione di luxe calme et volupté che conquista al primo approccio.
All’interno di questo contesto già d’eccezione, la riproposizione del meglio della Puglia si declina in due modi distinti: da un lato c’è la proposta di esperienze locali “autentiche” tanto entro il borgo, con le feste tradizionali che vi si tengono periodicamente, quanto al suo esterno (nel ricchissimo carnet des adresses del borgo, che spazia dall’arte alla cucina, non manca neppure la visita all’esperta di scaramanzia locale che illustra i variegati riti apotropaici del passato). Dall’altro lato, la vocazione a raccontare il territorio si traduce in un’offerta gastronomica che seleziona il meglio della Puglia (il 95% delle materie prime è prodotto in zona e locale è anche il 98% del personale) e lo propone, in modo differenziato, nei vari ristoranti del complesso. Si va dalle ricette tipiche della Frasca, la trattoria pugliese, al pescato di Cala Maiola, il lido del borgo, di tale freschezza che sembra un “sacrilego” profanarlo. Ma noi siamo qui per la cucina d’alto rango di Domenico (detto Domingo) Schingaro, che coordina l’offerta ristorativa dell’intero borgo e cura il menu del Due Camini, stella Michelin dal 2019.
Nato in Puglia nel 1980, Schingaro vanta alcune esperienze a Londra e una determinante collaborazione con Andrea Ribaldone prima e dopo l’assegnazione della stella Michelin a I due Buoi di Alessandria. Sotto la guida di Schingaro il ristorante stellato di Borgo Egnazia, il citato Due Camini, presentava già un menu degustazione di 14 portate a prevalenza vegetale, accanto a un secondo di impronta pugliese e a un terzo più mediterraneo. “Il primo menu, sebbene meno richiesto dal punto di vista numerico, era quello preferito dai gourmet” ci racconta Domingo. Ora questa opzione, che in precedenza costituiva il cosiddetto menu Radici, è stata eliminata dal ristorante per trovare una nuova collocazione in L’Orto dei Due Camini, il nome dello spazio botanico speciale arricchito da gelsi ed erbe aromatiche tradizionali dove viene ora servito il menu Radici. Questo esaltante contesto campestre incornicia una social table, decorato con elementi di recupero e destinato a soli 12 ospiti che a qualunque ora possono consumare piatti dettati dalla stagionalità degli ingredienti e dall’estro di Angelo Convertini, il resident chef designato da Schingaro. Ci sono specie meno consuete come una varietà di minuscolo pomodoro messicano e il curioso basilico peperone, le cui foglie, se spezzate, sprigionano il sentore, appunto, di peperone verde.
Alcune delle portate previste, come Lattuga, alici e mandorla amara o Sedano rapa, lupini e prezzemolo, in realtà sono prese in prestito dal menu Radici, dove sono stati sperimentati e inseriti anni fa. Altre sono improvvisate a seconda dell’ispirazione oppure, come il Raviolo di zucchina, zafferano e acino pugliese (una sorta di timo), un piccolo capolavoro di intrecci in brodo di zucchine grigliate, sono stati concepite per abbinamenti specifici. In questo caso il pairing avviene con la Grande Dame 2012 di Veuve Clicquot, con cui L’Orto condivide l’idea della Garden Gastronomy, un’espressione che designa lo zeitgeist che unisce salubrità, sostenibilità e localismo alimentare. “Io sono figlio di pescatori e quindi ho imparato lontano da casa la bontà di ingredienti come le frattaglie bovine o ovine.
Una volta rientrato in Puglia, nel 2016, ho approfondito il mio interesse per le materie prime appassionandomi alla ricchissima vegetazione locale, che offre varietà sconosciute altrove e che è sufficiente a costituire un piatto. E così adesso anche se, per esaudire le aspettative della clientela, metto sempre nel piatto una parte di proteine, essa resta marginale rispetto all’insieme” ricorda lo chef.
La tenuta di simili dichiarazioni è attestata da una delle preparazioni che chi scrive ha apprezzato maggiormente: Sedano rapa cotto al forno e presentato a mo’ di ossobuco, sormontato da una crème brûlée al limone a simulare il midollo, con insalata di nervetti come contorno. Ma la stessa logica si rintraccia nel Risotto sfumato al Padre Peppe (un amaro della Murgia che bilancia la dolcezza della mantecatura fatta con burro ed estrazione di fico), in cui la parte proteica è limitata a un morbido fegato di rana pescatrice, che sormonta il risotto a mo’ di decorazione. Schingaro giustifica la sua impostazione ricordando come un tempo la dieta popolare pugliese consistesse principalmente di pasta e legumi. Proprio per questo lo chef definisce la sua cucina non povera, per quanto gli ingredienti siamo umili, bensì qualcosa di più radicale: primitiva. Un aggettivo che include tanto le materie prime quanto le tecniche di cottura, all’insegna della minore elaborazione possibile.
Tuttavia, ultimata l’intensa sequenza di otto portate abbinata a un pairing estremamente ricercato di etichette derivate da antiche varietà autoctone, chi scrive tende a pensare che la cucina di Schingaro sia autentica allo stesso modo di Borgo Egnazia. Una Puglia primitiva gustosa, raffinata, con accostamenti così perfetti e al contempo correlati a un territorio specifico. Il “vero poetico” che ci troviamo nel piatto è più emozionante e convincente del vero storico. Oltre che sicuramente molto, molto più buono.
Borgo Egnazia
Strada Comunale Egnazia
72015 Savelletri (BR)
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