Testo di Letizia Gobio Casali
Foto di Jacopo Salvi
Diego Pani, a soli 29 anni, ha un grande compito per le mani: continuare il lavoro del padre e quindi di perpetuare nella cucina del Marco Polo di Ventimiglia – ristorante fondato da nonna Maria e poi gestito dai suoi genitori – un’eredità spirituale ma anche materiale, fatta di ricette tramandate da generazioni. Diego stesso, citando Novalis, dichiara: “sto sempre andando a casa”, per alludere al fatto che l’allontanamento dalla sua Liguria ha segnato la prima tappa di un percorso artistico che lo ha riportato al ristorante e ai piatti di famiglia.
Tuttavia, oggi, Pani non si limita a continuare la strada paterna: al contrario, sta operando una rivoluzione gentile in cui alle preparazioni familiari di cui si sente custode, e che spesso sono le portate per cui accorrono i clienti (come la Fricassea d’astice con tagliolini freschi e basilico che abbiamo visto ordinare più volte), si accostano piatti che portano un suo segno più personale. Questa trasformazione non impatta solo sul Marco Polo, bensì si ramifica in una serie di locali afferenti a quello che è il neonato brand Maison Pani. Così ecco un ventaglio di nuove opzioni di ristorazione all’interno del quale, ci racconta il giovane chef, il “Marco Polo è la gamma alta, ossia la haute couture”. Poi ci sono La locanda, la versione prêt-à-porter della cucina del territorio, la Trattoria, che è “il casual”, e Venti, locale di prossima apertura a Ventimiglia alta, che rappresenta forse, lo stile etnico, dato che si concentra sulla cucina mediterranea.
L’idea di soddisfare la più ampia gamma di richieste e di clienti, variando la propria offerta, è comunque replicata, in piccolo, nello stesso Marco Polo perché i 3 menu degustazione, dall’ottimo rapporto qualità-prezzo, tenendo conto delle materie prime, propongono combinazioni di crescente audacia adatte a un pubblico eterogeneo. Se a pranzo il menu è alla carta, “perché non tutti vogliono impegnarsi in una sequenza di piatti”, la sera si va dalle 4 portate di Musica Leggera, un’introduzione alla cucina di Pani, alle 6 dell’opzione preferita dai clienti,il menu Un’estate al mare. In questo caso si tratta rivisitazioni, con raffinatezza e ironia, delle pietanze che un tempo si consumavano in spiaggia, come l’Insalata con gamberi di Sanremo e pomodori, o gli Spaghetti freschi, un omaggio a quelli freddi di Marchesi, qui associati a un condimento alla rucola e finocchiona fujuta.
Infine, c’è l’opzione French Touch, caratterizzata da ingredienti importanti come caviale Asetra, tartufi, astice e foie gras. Per quanto sia il terzo menu a rivelare l’esperienza Oltralpe di Pani, che ha lavorato a Monte Carlo nel Restaurant du Métropole di Joël Robuchon e poi al Louis XV di Alain Ducasse, l’insegnamento di quest’ultimo traluce non solo in molti piatti, ma soprattutto nella concezione, perseguita da Pani, di cosa siano la buona cucina e un buon ristorante. Il riflesso di Ducasse si vede in cucina perché nelle sue ricette, come fa il Maestro, Diego Pani usa e sempre materie prime eccellenti e un numero ridotto di ingredienti; perché persegue una cucina “cucinata”, fatta solo di fiamma, forno e rame e aliena da abbattitori e spume; perché, come ha visto fare in Francia, usa rigorosamente peperoncino di Espellete (una località nei Paesi Baschi) e aceto di Xeres. In più, l’influsso di Ducasse si rintraccia nell’idea che il ristoratore, in quanto anche imprenditore, non possa né debba fare tutto. “Il suo mestiere è di selezionare chi fa le cose migliori per lui, dal casaro al fornaio al vinicoltore. Avere un orto non è un valore per me” spiega lo chef.
Durante i pasti consumati al Marco Polo, chi scrive ha assaggiato un mix tra vari menu: all’antipasto composto da Toast di cavolo nero amaro, tartelette come un pan bagnat e Finta cozza, Gamberi ed eucalipto, sono seguite le gustose le Trofie fredde alle alghe, caviale, salsa verde e finocchiona fujuta, per poi passare all’irresistibile Scalogno farcito alle mandorle, panatura al guanciale e salsa al caramello di champagne. Un piatto superbo, nato per una sottrazione che è arrivata addirittura alla “sparizione” dell’ingrediente principale. “Mio padre aveva in carta un rombo con panatura allo champagne e patate” ricorda lo chef. “Io prima ho provato ad abbinare il rombo al fiore di zucca, poi ho tolto anche quello ed è rimasto lo scalogno con crema di mandorle e la salsa al caramello” in cui acidità e dolcezza di bilanciano a puntino.
In seguito siamo passati alle ottime Balotine di bietole e Pescato, pecorino, pinoli e olive taggiasche, al Risotto pissaladiere, omaggio alla pizza bianca ricoperta da un generoso strato di cipolle confit, acciughe sott’olio e olive taggiasche – in cui il sapore è forse leggermente sbilanciato dalle acciughe – e un ottimo Branzino al sale, arrostito come in spiaggia e accompagnato da un olio “alla brace”, a mo’ di barbecue che, a parere di chi scrive, forse potrebbe beneficiare dall’accostamento con un vegetale. Sorvolando sui dolci (ma segnaliamo come notevole la Panna cotta al combawa e finocchietto) anche il giorno successivo, dedicato ai “classici” del ristorante non ha deluso: la Fricassea, un piatto del 1987, da allora è rimasto identico anche nell’impiattamento e da allora non ha mai smesso di conquistare chiunque (la scrivente inclusa). Idem per il Risotto con un mix di erbe la cui ricetta è tramandata dai tempi della nonna a un solo componente della famiglia Pani, e agli Gnocchi, aggiornati perché sono stati passati in padella, come Pani vedeva fare, durante il periodo da Guy Savoy, con le patate a contorno delle lepre alla Royal.
In sintesi, se, per trovare la sua strada, Pani ha innovato il menu del Marco Polo, l’effetto di questo ammodernamento è una cucina gustosa, ma anche raffinata e che, a giudizio di chi scrive, può spingersi ancora oltre. Tuttavia, se consideriamo come imprinting familiare non tanto i piatti quanto l’audacia con cui nonna Maria e i genitori di Pani sono stati capaci di fare di un semplice bar annesso un bagno un ristorante di tono, forse il fatto che Diego esca dalla cucina per gestire numerosi locali è una forma di fedeltà spirituale. In questo senso, però, Diego Pani prosegue la vocazione non solo dei propri avi, ma dello stesso Ducasse: uno chef-imprenditore da 18 stelle e 100 milioni di euro di fatturato che nel tempo ha differenziato la sua offerta, fino a produrre gelati, biscotti e cibo di strada. “Nutrire i nostri contemporanei, missione della nostra casa, esige che si inventino offerte diverse e adatte all’epoca”, ha dichiarato Ducasse. Un’evoluzione in cui non si rispetta la lettera delle ricette per rispettare invece lo spirito di Ducasse e in fondo anche del padre imprenditore. Sta forse qui, in questo doppio ruolo, da chef e da imprenditore, che è un po’ è un tradimento delle origini e un po’ no, la personale vocazione di Diego Pani. In fondo, adattando alla sua storia di famiglia e al successivo incontro con Ducasse una vecchia battuta sul tradimento, quando 2 si lasciano è sempre colpa di tutti e 3.
Marco Polo 1960
Passeggiata Cavallotti, 2
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