E il nostro bisogno di drammatizzare il tempo che passa
Testo di Virginia Dal Porto
Foto di cortesia di Petronilla – Cucina conviviale
È il 1986 e Daniela Petrone frequenta le medie. Quando torna a casa, per pranzo si prepara dei ravioli con la toma. Per l’impasto usa solo farina e acqua, senza uova, per non farsi beccare dalla madre che rientrerà dal lavoro più tardi. Quando me lo racconta fa spallucce. “Avevo voglia di impastare”, dice.
L’ho conosciuta appena arrivata a Torino. Dovevo trovarmi un lavoro e sono scesa nel ristorante sotto casa a chiedere se avessero bisogno di una cameriera. Una donna lunga, con occhi segnati da una matita nera pesante mi dice “Lasciami il tuo numero, facciamo un prova”. Ecco Daniela Petrone. Abbiamo lavorato insieme un anno, con gli alti e bassi che un rapporto di lavoro implica. Ma a me Daniela ha sempre incuriosito, anche nei momenti bassi. Quando arrivo da Petronilla – Cucina conviviale, i colleghi mi dicono che Daniela ha aperto il ristorante da soli quattro anni. Eppure, a me non sembra, sia da come lavora lei che da come lavora il ristorante, con il giardino sempre pieno, che arriva a fare due turni, quasi cento coperti. Poi mi dicono che Daniela fa la cuoca da meno di dieci anni.
Quando inizio a scrivere per Cook_inc. mi riprometto di fare un articolo su Daniela, perché le storie di sogni rimandati mi interessano e perché non immagino una vita facile per una donna sui quaranta che si butta nel mondo della ristorazione, mondo non particolarmente rinomato per la sua attenzione alle questioni di genere. Nella mia testa ci sono vari scenari drammatici, una conversazione di commozione e rimpianti.
Allora chiamo Daniela e le dico che vengo a sentire la sua storia, che la voglio sentire fin dall’inizio, per poterla scrivere. Entro da Petronilla – Cucina conviviale. Mi fa sempre uno strano effetto entrare nei posti dove ho lavorato. Non potere più andare dietro al bancone e non avere il grembiule, come se ci fosse una distanza emotiva. Non è molto diverso da vedere un ex e sapere che non puoi più condividere quel tipo di intimità, che ormai non c’è più quel rapporto. O forse sono io troppo nostalgica. Comunque.
Daniela mi racconta che voleva fare la cuoca da sempre, eppure non l’ha fatto. Finite le medie poteva fare l’alberghiero e invece ha fatto lo scientifico. Finito il liceo poteva andare in un ristorante e invece è andata all’università: matematica e poi ha cambiato a filosofia. Poi arriva il lavoro – anzi, i lavori – dove ancora la cucina non c’è. Lo dice senza rimorsi, mi pare e io non posso non pensare a quanto possa far male vedere il tempo passare. Dice che l’esperienza in Bolaffi (azienda leader in Italia nel settore del collezionismo filatelico e numismatico) l’ha cambiata davvero, perché ha visto come viene gestita un’azienda che funziona. Poi arriva nel mondo del food “dalla porta secondaria, anzi terziaria”. Verso la fine dei trent’anni inizia a lavorare in un’azienda di olio. All’inizio faceva la venditrice porta a porta, poi è diventata direttrice commerciale. E a me vengono in mente i sogni rimandati, mi viene in mente quando si è giovani e si pensa che si ha il privilegio di posticipare.
Dopo un po’ ecco la chiamata. Un amico dell’università le dice che sta aprendo un bistrot. “Perché non vieni a lavorare in cucina?”, le fa. Daniela non rimanda più. Questa volta lascia tutto e viene affiancata allo chef. Dice di averlo fatto perché sentiva la mancanza di qualcosa di suo, qualcosa “dove trasferire quello che credevo fosse giusto”. Ha 41 anni e inizia di nuovo. Provo a estorcere a Daniela una parola di paura, un senso di insicurezza nell’iniziare un mestiere così tardi. Ma lei ne parla con una certa serenità. Come se quel ricominciare avesse un che di inevitabile. Così, ricomincia. Mi racconta che rimaneva in cucina fuori orario per sperimentare, per prendere le misure con quella nuova vita.
Dopo l’esperienza dall’amico, va a lavorare da Laleo. Lì, la titolare le lascia in mano la cucina. È la prima volta e mi dice che di cazzate ne ha fatte. Mi racconta che si è trovata con cinque chili di sedano rapa che non sapeva dove mettere. Però impara e continua a imparare. Quando si sente abbastanza forte dice alla titolare che se ne sarebbe andata. La titolare le risponde che senza di lei avrebbe chiuso il locale e allora Daniela decide, questa volta, in maniera definitiva. Le dice: “Allora vendimelo”.
Adesso ha sei dipendenti e il ristorante è cresciuto tanto. Daniela ha clienti affezionati, che vengono per mangiare le sue zuppe, le sue Dorate (che sono tipo arancini, ma con l’interno risottato) e le sue Poche (tasche di pane, fatto dalla cucina di Petronilla tutte le mattine, con vari ripieni). Ma il menu ha tanto altro e cambia quasi ogni giorno. Daniela si sveglia alle sei per andare al mercato a comprare frutta e verdura di stagione e mi racconta che è fedelissima ai suoi fornitori. Petronilla è anche famosa per le torte e se si ha fortuna si trova in menu la Crostata miele e sale. Mi racconta che il lavoro da Bolaffi le ha fatto capire quanto sia importante la presenza del titolare. Il signor Alberto Bolaffi passava per tutti gli uffici a salutare un centinaio di dipendenti. Anche Daniela è sempre presente. Mi dice che lei non crede nel detto “nessuno è indispensabile”, per lei ogni dipendente è fondamentale. Però specifica: “ma non so se è uguale per tutti, io so che Petronilla non può funzionare altrimenti”.
Poi le faccio la domanda che volevo farle dall’inizio: come ci si sente a rimandare il sogno? Ma tutto il pathos che mi ero immaginata non c’è. Daniela non ha problemi con la sua vita, non ha il rimorso di aver rimandato. Ha un fiero senso di appagamento. La sento recitare quella frase, “Senza quelle esperienze Petronilla non sarebbe quello che è”. Sono delusa, ma anche sollevata. Non tutti guardano con terrore il tempo che passa, non tutti hanno l’ansia dell’ora o mai più. Forse siamo davvero troppo ossessionati con la fretta e tendiamo a drammatizzare la vita degli altri quando si dedicano ad altre esperienze prima di dedicarsi all’esperienza. Come se un sogno che non si avvera subito equivale a un sogno non avverato. Invece Daniela è tranquilla, forse un po’ stanca, ma felice.
Petronilla – Cucina conviviale
Corso Verona, 38/E,
10153 Torino (TO)
https://petronilla.kitchen