Testo e foto di Greta Contardo
Scena: siamo nel centro storico di Eboli e ci stiamo accomodando nella saletta dell’Alberto Ritrovo per un informalissimo pranzo tra un evento e l’altro de La Notte degli Osti. Giovanni versa un bicchiere del Sottofondo dell’azienda Tunia (in Val di Chiana), un rifermentato di trebbiano bello peperino che fa in fretta a sparire dal bicchiere. Ma Giovanni, lesto come un gatto, versa subito un altro bicchiere e questo gioco potrebbe anche proseguire all’infinito vista la spiccata empatia e generosità di Giovanni e la curiosità della sua cantina. Nel frattempo, Laura intavola un po’ di meraviglie da condivisione. Alberto Ritrovo è una vineria con piccola cucina in Piazza di Porta Dogana nel centro storico di Eboli. È fatta dell’anima e del cuore di Giovanni Sparano, l’oste, e di Laura Fantastico, la regina della piccola cucina. È un luogo dove ritrovarsi con l’atmosfera speciale che hanno le case degli amici, con l’ospitalità affabile degli anfitrioni, bevendo vino buono e sorprendente e mangiando cibo straordinario senza pretese, prodotti genuini, semplici nella loro essenza, prodigiosi nel raccontare storie importanti boccone dopo boccone.
Hummus di ceci con pinzimonio, Insalata di pomodori, cipolle e friggitelli, Rucola e finocchi, Melanzane alla parmigiana, Pane a pasta madre tiepido, Mozzarella di bufala e acciughe di Cetara, Bocconcini di bufala, Bonfiore (formaggio di bufala a crosta fiorita), Ricotta fresca di bufala e Carciofini mignon. Siamo ammaliati, passiamo da un piattino all’altro senza soluzione di continuità. Il pane, spiegano, è quello del Forno di San Vincenzo, il forno sociale distante qualche passo da Alberto Ritrovo, le verdure fresche della zona, i latticini di Barlotti e i Carciofini di Maida. Gli ultimi due produttori ci suonano familiari: le mozzarelle di Barlotti le abbiamo assaggiate in giro negli anni e a Lucca arrivano fresche tutti i giovedì nel nostro alimentari di fiducia e spesso non ce le facciamo mancare a pranzo in ufficio; i carciofini di Maida li abbiamo scoperti grazie agli amici di Gustiamo che importano queste chicche cilentane negli USA da parecchi anni. “Stanno proprio qui vicino, tra Capaccio e Paestum, dovreste andare a conoscerli” ci dicono Laura e Giovanni. Ci guardiamo, con un carciofino in una mano e un boccone di mozzarella nell’altra, e la mattina dopo partiamo in spedizione: direzione Capaccio-Paestum. Nel frattempo, Laura chiude il pranzo con un delizioso Spaghetto con mollica croccante e alici di Cetara.
Maida, l’arte di conservare ciò che di buono viene dalla terra
La mattina dopo in mezz’oretta di auto arriviamo a Giungano, paesino ai piedi del Monte Catenna, alle spalle della vasta Piana del Sele, a pochi chilometri dal Parco Archeologico di Paestum con i suoi famosi templi risalenti alla Magna Grecia. Qui sorge la nuova sede di Maida, l’azienda agricola di Francesco Vastola, “quella dei carciofini”. Ad accoglierci è Fabrizio, il figlio di Francesco, che ci catapulta nella storia aziendale. Entriamo dall’ordinatissimo magazzino, vediamo una signora intenta a mettere in vasetto le melanzane sott’olio, proseguiamo verso l’ingresso vero, quello con lo showroom espositivo di tutti i prodotti e una zona di accoglienza. È una storia di famiglia, racconta, legata alla coltivazione della terra e alla conservazione dei prodotti sott’olio per uso famigliare. Alla morte del padre, Francesco, che già lavora nel settore agricolo come intermediario, decide di dare una svolta. Inizia a coltivare quel poco di terreno che aveva interamente in biologico. Siamo negli anni 90, si trattava della prima azienda in zona a intraprendere questo percorso. Un atto pioneristico rivoluzionario che all’epoca sembrava un azzardo. “Sostenere la famiglia solo con il ricavato dell’azienda agricola, per di più biologica, era molto complicato – racconta Fabrizio – da qui papà ebbe l’idea di iniziare a fare le conserve, preservando in primis quella lunga e sentita tradizione famigliare, seguendo proprio le ricette storiche di famiglia. Creò quindi gli Antichi Sapori Cilentani, in orcetti con il centrino sopra”. Il nome Maida arrivò in seguito, al momento di un notevole investimento di rebranding che ha visto nascere l’attuale style della fasciatura in cartoncino nero che avvolge in verticale gli elegantissimi vasetti quadrati dal design inconfondibile. “Si voleva cambiare nome agli Antichi Sapori Cilentani e così si passò a Masseria Maida – la casa in via Tempa di Lepre da cui tutto è partito e che ancora è la sede legale – rimasto poi solo Maida”. Testimonianze narrano che la conservazione delle verdure era una pratica già conosciuta ai tempi degli Antichi Greci, che con queste terre hanno un legame decisamente speciale e anche Maida ce l’ha. L’anfora stilizzata che caratterizza il logo è ispirata all’anfora a punta che utilizzavano proprio gli Antichi Greci per il trasporto di olio e vino nelle imbarcazioni.
La piccola produzione di 2000/3000 vasetti l’anno degli Antichi Sapori Cilentani ora è ben cresciuta, ma non con l’aumento spropositato di mono-produzioni ma con il vastissimo assortimento che contempla le piccole produzioni stagionali che il territorio regala. Gli ettari coltivati sono sei e ospitano prodotti autoctoni come gli asparagini, friarielli, cicoria selvatica, cipolle ramate, fagiolini metro, melanzane, peperoncini, la zucca lunga di Napoli, una bella selezione di varietà di pomodori – tra cui il pomodoro giallo di Capaccio, tipologia a rischio di estinzione un decennio fa – e di carciofi – tra cui quelli di Paestum, piccolissimi e compatto – che risultano in una impressionante gamma di tipologie: mignon, piccoli, piccolissimi, carciofini, carciofini del re e, ancora, carciofini spaccati e carciofini grigliati. E poi ci sono gli altri prodotti (tutti provenienti da agricoltura affine alla filosofia aziendale e da produttori amici) che rendono onore al territorio circostante e che sono i protagonisti di confetture, come quella di albicocca ievulese e quella di fichi bianchi, sughi, creme e di legumi al naturale (come i ceci di Cicereale e i fagioli di Controne).
Nello showroom salta all’occhio la passata di pomodoro, sia giallo che rosso, imbottigliata in una bottiglia da metodo classico, trasparente e chiusa con tappo a corona. “Riprende la tradizione di conservare il sugo nelle bottiglie di birra, tipica di queste parti. Noi l’abbiamo esasperata ed esaltata”. E poi c’è un boccione formato famiglia di ordinatissimi carciofini mignon (che poi sono i più grandi della categoria carciofini), sembra un soprammobile di design. Invece è solo la riproduzione in grande del minuziosissimo lavoro artigianale e manuale che viene fatto in tutto il processo di lavorazione nel laboratorio all’avanguardia di casa Maida e che non sbava nemmeno di una virgola nemmeno nel momento di inserire i prodotti nei vasetti, con cura e ordine tanto da farle sembrare piccole opere d’arte, con un pizzico di visione da interior designer. È un’arte quella di Francesco Vastola, l’arte di conservare e valorizzare ciò che di buono viene dalla terra, per raccontare un territorio, senza aggiunta di conservanti o additivi, nel rispetto assoluto delle antiche ricette contadine.
Barlotti, 100% latte di bufala
Dopo una visita alle coltivazioni, Francesco ci accompagna a Paestum. Obiettivo: il Caseificio Barlotti. Costeggiamo la cinta muraria della città e giungiamo in quella che ha tutta l’aria di essere una piccola oasi multifunzionale del latte di bufala. Vediamo subito le bufale in splendida forma e ci accomodiamo nella veranda en plein air. Vincenzo Barlotti (proprietario dell’azienda) ci offre una colazione rinforzata: torta di ricotta (di bufala), yogurt (di bufala) con un filo di miele e succo di melograno (realizzato con l’azienda agricola Maida; infatti, c’è una bella sinergia tra le due aziende, e Francesco ne approfitta per sedersi con noi qualche minuto). Racconta Vincenzo: “Barlotti nasce nel 1908 con il mio bisnonno che coltivava solo foraggio e qualche pomodoro. Nel ’40 iniziò ad allevare le bufale e mio papà e suo fratello hanno continuato conferendo il latte a Battipaglia – cittadina che diventa nota per la bufala sebbene Battipaglia non ci siano tanti animali (oggi l’anagrafe bufalina non conta neanche un capo) – perché era la stazione ferroviaria di riferimento per il mercato del latte di bufala. Nel 1991 mio padre e mio zio iniziano a trasformare il latte con valori diciamo ‘quasi domestici’ – 200 litri di latte, 100 litri di latte – e andava bene perché con il turismo della zona archeologica in periodo estivo (ora la stagione turistica va dalla primavera a ottobre) chiaramente la mozzarella andava tanto nella vendita diretta, però d’inverno era troppo diverso, dovevamo trovare uno sbocco. Non essendo in una via di passaggio la nostra, abbiamo iniziato a cercare delle cremerie e delle gastronomie in Italia per ampliare la vendita, insomma, e man mano abbiamo iniziato a crescere l’azienda anche se la gestione del freddo, necessaria per il trasporto, era ed è un problema perché la bufala è nemica del freddo e quindi consigliamo sempre di “cacciarla” fuori qualche ora prima”.
La storia di Paestum sembra essersi intrecciata con quella delle bufale intorno al XII secolo. Era arrivata nel X secolo, in epoca normanna, con i Mori in Sicilia che poi iniziarono a risalire e a Paestum trovarono l’habitat ideale per questi animali per via della palude. Così inizia la storia della bufala e di Paestum prima come animale per i lavori nel campo poi man mano capendo i benefici di quel latte molto ricco – bello grasso – che era bevuto dai lavoratori. La lavorazione di quel latte è iniziata nel XIV secolo con i monaci benedettini di Capua che regalavano queste formaggi filati agli ospiti del convento: è nata la mozzarella, ma era affumicata. Via via il prodotto è stato sempre più apprezzato al di fuori del territorio. La Bufala Campana ora racchiude 4 regioni: la Campania principalmente con le province di Caserta e di Salerno e parte della provincia di Napoli e di quella di Benevento; il Lazio con parte delle province di Latina, Frosinone e Roma; la Puglia e il Molise con parte della provincia di Foggia e Comune di Venafro.
Le bufale di Barlotti sono belle, pulite, trasmettono un’idea di benessere. Tutta la loro alimentazione viene prodotta in azienda, nei campi aziendali e la mozzarella dipende tantissimo da cosa mangiano gli animali chiaramente. Racconta Vincenzo: “visto che l’allevamento costa, c’era chi dava bucce di pomodoro o scarti di lavorazione della birra che rendono il latte acido. Oggi abbiamo un disciplinare che indica la razione di mais, soia, legumi, cereali, fave erba, medica ebraica per circa 30 chili di prodotto al giorno per capo”.
Il latte bianco delle bufale è oro ed è tutto per questa azienda in notevolissima crescita. La lavorazione si è diversificata producendo – oltre a tutti i formati di Mozzarella di Bufala Campana DOP, a latte crudo e filata a mano – anche una ricca e interessante serie di prodotti a base di latte di bufala. Dai freschissimi yogurt, al Pirano a crosta semidura passando per il Bonfiore a crosta fiorita. In simbiosi con l’ambiente circostante, l’azienda ha sviluppato tutta una serie di progetti laterali che mettono al centro ed elevano quel latte tanto speciale. C’è lo spaccio-punto vendita con tutti i prodotti e qualche chicca del territorio di produttori amici; a fianco c’è la Degusteria, il ristorantino “di casa” aperto dalla colazione alla merenda per mangiare tutti i prodotti Barlotti con la vista bucolica dell’ordinato giardino con le bufale in lontananza e per mangiare anche piatti veri e propri, cucinati secondo stagione, dalla pasta fresca alle verdure dell’orto sinergico a forma circolare a 20 metri dalla Degusteria. Viene servita anche carne di bufale (comprata da altre aziende locali) per sensibilizzare sul consumo consapevole di questa carne eccezionale. Insomma, vale un passaggio obbligato questa piccola oasi del latte di bufala.
E non è finita qui: dal latte di bufala nasce anche la skincare di Biancamore (con punto vendita a pochi metri dal Parco Archeologico di Paestum). È il progetto di Daniela Senatore. moglie di Vincenzo, e di suo fratello Pasquale che dà una nuova e inaspettata vita a quell’oro bianco. Le coccole di Biancamore si prendono cura di capelli, viso, mani, corpo con un’azione idratante, ristrutturante e protettiva che grazie all’acido lattobionico preserva l’equilibrio della pelle e la protegge dai radicali liberi. Tutti i prodotti sono naturali, neanche a dirlo. Che il latte di bufala potesse diventare anche abbigliamento è stata una scoperta strabiliante. Nei progetti di Biancamore, infatti, c’è anche una linea di outfit total white di uno dei tessuti forse più morbidi mai toccati: realizzato in fibra di latte. “La fibra di latte è un innovativo tessuto ottenuto dalla caseina di latte, trasformata in fibra grazie a innovative tecniche di bioingegneria e a un processo di riciclo sostenibile ed eco-friendly. A partire dalle eccedenze industriali del settore alimentare – leggi: latte scaduto – la caseina viene separata dal siero, isolata, denaturata e successivamente trasformata in fibra. La fibra viene filata e il filo così ottenuto trasformato in tessuto. Il risultato è un tessuto innovativo e resistente ma anche morbido e leggero, in grado di prendersi cura della pelle donandole una piacevole sensazione di freschezza e benessere. Sarà amore a fior di pelle!” leggiamo sul sito.
Quante sono le sfumature del bianco–latte di bufala ce lo dimostra Barlotti, quante quelle del territorio cilentano lo si vede dai barattoli di Maida. Alberto Ritrovo le mette in tavola tutte, insieme, per una nuova gamma di colori, buonissimi.