Testo di Luca Sessa
Foto di Mary Di Lernia
Tra le tante storie gastronomiche legate alla terra, ce n’è una che saputo distinguersi sin dall’inizio per la sua autenticità reale, concreta, incontaminata. Parla di due fratelli che non sono mai scesi a compromessi, portando avanti con determinazione e coerenza un approccio alla terra e ai suoi frutti scevro dal condizionamento dei tempi moderni o delle mode, che non ricorre al supporto tecnologico per trasformare ingredienti le cui peculiarità sono valorizzate da idee e conoscenza, passione e creatività. Francesco e Vincenzo Montaruli sono i protagonisti di una storia che fonde gusto e romanticismo, riscoprendo il valore di gesti ancestrali e che trova nell’unicità dei prodotti il filo conduttore di un progetto gastronomico puro nella teoria e nella pratica. Dal centro di Ruvo di Puglia alle sue campagne, da una piccola locanda da 20 posti a una villa del 1870, dai panini al percorso di degustazione: il processo di evoluzione sviluppatosi in quasi dieci anni ha trasformato Mezza Pagnotta (che vi abbiamo raccontato su Cook_inc. 24) in Cucina Villa, un vero e proprio manifesto agricolo che attraverso il connubio tra creatività e conoscenza riesce a costruire un racconto culinario inedito e sorprendente.
“Il nostro concetto di cucina vegetale è nato con Mezza Pagnotta, con l’obiettivo di coinvolgere la clientela più giovane puntando su panini da farcire con condimenti inediti, per mostrare il lato goloso dei prodotti della terra” racconta Vincenzo, il cuoco di Cucina Villana. “Nel primo periodo utilizzavamo anche salumi e formaggi, ma i veri protagonisti erano il cardo della Murgia, i fichi, il vincotto, i carciofi sott’olio oltre a varie preparazioni che andavano a valorizzare la stagionalità della terra. Capitava però, soprattutto nel weekend, che l’anima culturale della provincia prendesse il sopravvento facendo aumentare la richiesta di panini con abbinamenti classici, pur riuscendo comunque a vendere quelli più originali. Nel 2015 decidemmo poi di ampliare il menu con delle proposte al piatto e nel giro di poco tempo notammo come la clientela preferisse venire da noi per la degustazione e non più per i panini”. Un menu senza l’impiego di pasta con 5-6 portate interamente vegetali, servite nel piccolo locale a Ruvo di Puglia che poteva ospitare poco più di 20 coperti. “Nel 2020 le restrizioni dovute al Covid ci hanno letteralmente tagliato le gambe, costringendoci a ridurre la capienza a 12 coperti, e proprio in quel periodo è giunta la proposta di Federica che ci ha permesso di far evolvere il nostro progetto. Ci ha scoperti da cliente, veniva qui con la sua famiglia, e dall’estate del 2022 ci siamo trasferiti negli spazi di Villa Fenicia per dare una chiara identità gastronomica a quella dimora storica”.
Federica Fenicia ha nel cognome di famiglia l’indelebile legame con la suggestiva dimora: nel 1600 venne costruita la masseria fortificata Gigliano, la cui struttura è ancora oggi il cuore della Villa, che con la sua produzione agricola era un’importante area rurale, assegnata all’architetto Giulio Cesare Fenicia, nobile di Ravello per il governo di Ruvo di Puglia. Nel 1870 la masseria Gigliano venne trasformata dall’architetto De Judicibus, incaricato da Michele Fenicia, nell’elegante struttura odierna, caratterizzata in modo unico dai colori della costiera amalfitana – come le tinte gialle e il rosso pompeiano della facciata – uniti al vivo della chianca di Trani. Oggi, grazie all’importante opera di restauro di Antonio Fenicia, padre di Federica, rappresenta una delle più suggestive architetture della zona. Iniziato nel 1970 e durato per oltre vent’anni il restauro ha ridato alla Villa tutta la sua vitalità. I mobili originali sono stati recuperati insieme ai decori, mantenendo intatti i tanti affreschi delle sale. Per renderla un luogo accogliente sono stati aggiunti tutti i comfort necessari, fra cui il Giardino d’Inverno e la moderna cucina che oggi accoglie Francesco e Vincenzo. Le tre camere per gli ospiti e gli spazi per gli eventi animano la Villa e il giardino circostante, oggi caratterizzato dalla numerosa presenza di pappagalli. “Villa Fenicia è stata la casa di famiglia fino a quando ho avuto 15-16 anni, poi mi sono trasferita a Milano e dopo 10 anni sono tornata per darle una nuova veste con il B&b e la scelta coraggiosa, ma coerente con lo spirito del luogo, di portare qui la cucina dei ragazzi. Mi piaceva l’idea di poter proporre qualcosa di nuovo, una realtà sicuramente ancora di nicchia, ma anche di prospettiva” confida Federica.
“Quando siamo arrivati qui abbiamo cercato di creare un compromesso tra la superbia e l’eleganza del luogo e la nostra ruralità: siamo ruspanti, con le scarpe sporche di terra e siamo fieri del nostro modo d’essere. Scegliere di restare coerenti e autentici ci ha permesso di creare una sintonia reale con una mise en place più curata, un modo per rispettare la Villa senza modificare però le idee che mettiamo nel piatto” evidenzia Francesco, che quotidianamente incontra i contadini per scoprire i prodotti disponibili. Il papà dei fratelli Montaruli è nato e cresciuto nelle campagne, lavorando come bracciante agricolo per una famiglia latifondista che all’epoca, con i Fenicia, si divideva i terreni della zona della Murgia. “Raccoglieva erbe selvatiche con il suo amico Ciccillo, a 10 anni – pur essendo solo un bambino – era il più esperto in materia. È incredibile pensare che oggi, a distanza di tanto tempo, Vincenzo e io siamo ora nella proprietà di un altro latifondista dell’epoca, a proporre cucina vegetale in un vecchio casino di caccia, una sorta di riscatto culturale legato alla contemporaneità dei tempi che viviamo. Non siamo come altre realtà ristorative che scelgono il menu vegetale come opzione, lo proponiamo perché è questo ciò che sappiamo fare e che rappresenta il nostro modo d’essere e di pensare” aggiunge Francesco. Lo scorso anno i Montaruli hanno sperimentato una parentesi onnivora coinvolgendo nel progetto Antonio Bufi: la necessità di introdurre nei tanti banchetti in programma nella Villa anche piatti a base di carne e di pesce li ha convinti a provare questa sinergia gastronomica. “Sono stati i clienti stessi però a convincerci a tornare indietro, a ricercare la coerenza iniziale. Ci avevano conosciuti e li avevamo stupiti con la cucina vegetale ed era quella che volevano ritrovare nel ristorante”.
Il punto di forza di Cucina Villana è rappresentato dalla varietà e dalla qualità delle materie prime praticamente senza eguali. Ogni giorno Francesco si incontra con Ciccillo – il vecchio amico del padre, ora prezioso “consulente” nella ricerca di erbe spontanee selvatiche – con i contadini di zona per scegliere tra olive dolci, fichi d’India, cardi della Murgia, melanzane, peperoni e pesche. Un momento di incontro e confronto così denso di sapori e colori da essere stato ribattezzato “Porto di Terra”, definizione che descrive appieno quanto la capacità agricola dei contadini della Murgia consenta ai terreni di regalare prodotti incredibili. “Ci riforniamo dai coltivatori locali perché non è possibile gestire in prima persona un nostro orto, l’idea del cosiddetto agrichef non è sostenibile nella quotidianità dal punto di vista umano. Abbiamo quindi strutturato una sorta di orto complementare, nel quale inserire tutto ciò di cui abbiamo bisogno e che sappiamo di non poter trovare altrove”. Il cibo giornaliero delle famiglie ruvesi diviene quindi speciale per gli ospiti che giungono da ogni angolo del mondo, alla ricerca di sapori inediti. “Crediamo ancora nella nostra idea vegetale così ostinata, al punto da proporre un menu a sorpresa di 6-7 pietanze. I nostri ospiti devono fidarsi e affidarsi, sapendo che portiamo in tavolo il dialogo che abbiamo con la natura in cui viviamo: nulla di sofisticato, nessun artificio, ma solo prodotti raccolti, preparati e serviti al massimo nell’arco di 48 ore” commenta Francesco.
Due ragazzi colti e preparati che non hanno mai avuto tentennamenti riguardo la valenza di un progetto che li rappresenta appieno. L’assenza di un indottrinamento classico derivante da eventuali esperienze in altre cucine ha fatto sì che la cucina vegetale di Francesco e Vincenzo sia scevra da mode e condizionamenti. “Cerchiamo di stupire con ogni piatto tirando letteralmente fuori il sangue dalle rape. Gli ingredienti devono essere protagonisti grazie a equilibri di estrema piacevolezza. Siamo partiti da noi stessi, dalla terra, dalla voglia di portare ciò che avevamo a disposizione restando sempre coerenti e mostrandoci per come siamo: persone che vivono la terra. Ancora oggi mi capita di addormentarmi leggendo la storia dell’azzeruolo”. E quindi dall’affettare un pomodoro da condire semplicemente con olio e origano si è passati alla ricerca di tutti gli sviluppi possibili nell’utilizzo di un ortaggio. “Ogni anno pur lavorando le stesse materie prime cerchiamo di rielaborare i nostri pensieri mettendo in discussione l’ingrediente giorno dopo giorno, assecondandone le peculiarità del momento, senza accettare compromessi. È un discorso simile a quello relativo alla produzione del vino: ogni anno si ottiene un prodotto diverso, anche se si può sempre ricorrere alla chimica che ingessa tutto per standardizzare la produzione. In cucina questo ‘aiuto’ è rappresentato da abbattitore e congelatore, strumenti che appiattiscono i sapori, vanno a omologarli riducendo la componente viva e naturale che per noi è fondamentale”.
Il lavoro in cucina oggi è praticamente giunto allo scarto zero, utilizza ogni componente degli ingredienti creando da ciò che solo in apparenza andrebbe buttato altre variazioni sul tema, dagli aceti alle colature, operando sempre in prima persona, senza ricorrere alle tecniche sviluppate da altri chef per non perdere autenticità e passando per sorprendenti soluzioni contemporanee nate dall’interazione con alcuni clienti. “Una nostra ospite messicana, produttrice di Mezcal, assaggiando un piatto con l’acqua di peperone arrostito ci ha suggerito di miscelarla con il distillato, permettendoci di realizzare un cocktail davvero incredibile”. Raccontare gli assaggi potrebbe sembrare superfluo, ma pur avendo ascoltato la storia dei ragazzi e avendo osservato in prima persona il lavoro in cucina, il riscontro in tavola è stato incredibile dal punto di vista gustativo. Soluzioni cromatiche e olfattive di rilievo, sapori di rara intensità, consistenze inedite per proposte quali la Zuppa fredda di fico d’india con aceto di melone Cantalupo, melone bianco, anguria e barbabietola gialla, dove l’unione tra la polpa del fico e l’aceto crea una salsa dal sapore simile a quello del pomodoro. La Barbabietola al fumo di ciliegio, marinata con kombucha di fragola, con kefir di latte di pecora, foglie di vite e alga wakame ricorda al palato un carpaccio di bresaola per la consistenza e conquista per il calibrato equilibrio tra affumicatura e sentore del frutto. La golosa Melanzana viola arrostita e fritta in salsa di gelsi rossi, foglie di gelso e foglie di tulbaghia (dal profumo di aglio) non ha nulla da invidiare ai classici piatti a base di carne, e la chiusura con la Pesca marinata con acqua di peperone arrosto e origano cubano e la Salsa di fichi rossi, ricotta di capra, prugna, azzeruoli, meringa alla mandorla ci porta ad augurarci che la coerenza possa restare l’elemento distintivo del processo creativo di Cucina Villana.
Cucina Villana
Villa Fenicia
SP 86 Ruvo – Bisceglie, km 2
70037 Ruvo di Puglia (BA)
Tel: +39 340 736 4832
www.villafenicia.com