Testo di Cristina Ropa
Foto prese dal web
Si guarda intorno, continuamente, incapace di credere che gli alberi, suo rifugio, sua nutrizione, non ci siano più. È una scimmia, sola, in cima all’unico arbusto rimasto di quella che era una foresta. Sono tante, tantissime e ancora vivide nella mia mente le immagini che i più grandi documentari sulla natura ci stanno proponendo per risvegliarci al danno, alla sofferenza, alla profonda ferita che abbiamo arrecato al nostro Pianeta.
“Abbiamo bisogno di imparare a lavorare insieme alla natura piuttosto che contro di essa”. Sono le parole pronunciate nel suo ultimo capolavoro A Life on Our Planet da David Attenborough noto divulgatore scientifico e naturalista. Quello a cui stiamo assistendo sono gli effetti delle azioni da noi poste in questi anni, azioni che ignorano la potenza positiva o negativa che, ogni nostro singolo gesto, persino il più piccolo, porta con sé. La pandemia ci ha fatto comprendere con inevitabile brutalità quanto ogni cosa sia profondamente interconnessa. Durante il lockdown è stato interessante osservare questa verità nel mio giardino, l’ambiente a me più vicino. Suppergiù intorno alla stessa ora del mattino le api e altri insettoni percorrevano puntualmente più e più volte una traiettoria, invisibile ai miei occhi ma per loro ben tracciata, la via maestra per l’impollinazione.
Ronzavano vispi tra lavanda, timo, maggiorana, basilico, prugno selvatico, albicocco, ciliegio, popolando così quella che ho scoperto essere poi una piccola oasi di biodiversità, ottimale per il benessere non solo delle piante e degli insetti ma anche di noi umani. Mai avrei immaginato di mangiare l’anno scorso albicocche così gustose o di vedere una fioritura degli alberi così rigogliosa. Quello che da anni stavo già approfondendo teoricamente era sotto ai miei occhi e mi mostrava con estrema semplicità il concetto di interdipendenza, il focus da cui partire al fine di realizzare un reale sviluppo sostenibile. È in quest’ottica così lungimirante che le Nazioni Unite nel 2015 hanno istituito i 17 obiettivi dell’Agenda 2030.
C’è un aspetto che mi ha subito affascinato di questi goals: ognuno di essi non può realizzarsi separatamente dagli altri. Inoltre, esiste un elemento cruciale, lo scacco matto che se fatto si porta a casa tutta la partita: il cibo. Si legge nell’introduzione alla guida didattica redatta dal Barilla Center For Food & Nutrition: “Noi, il cibo e il nostro Pianeta: un legame profondo, da sempre connesso alla sopravvivenza e al benessere delle persone, è oggi un elemento chiave anche per la tutela dell’ambiente. Il cibo, infatti, è un fattore che unisce diversi elementi, come la nutrizione e l’ecologia, e interagisce con diversi equilibri a livello globale, come quelli economici e politici”.
Ne è una dimostrazione la tabella della Wedding Cake (“torta nuziale”) degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, elaborata dall’esperto di global sustainability, Joham Rockstrom e da Pavan Sukhdev, economista e Presidente internazionale del WWF. “La torta – si legge sul sito del wwf – dimostra chiaramente che gli Obiettivi ambientali dell’Agenda 2030 sono la garanzia per il raggiungimento degli altri. Dobbiamo tutti comprendere che non può esistere alcuno sviluppo e alcun benessere delle società umane se non è presente un ambiente sano e vitale in grado di offrire agli esseri umani i servizi essenziali per la loro esistenza”.
La filiera alimentare è ad oggi la causa della maggior parte dell’inquinamento. L’utilizzo di fertilizzanti nocivi per il suolo, le emissioni di metano dannose per l’equilibrio climatico, il sistema di trasporti e di riscaldamento responsabili delle emissioni di CO2 e di polveri sottili che minano la qualità dell’aria (www.asvis.it) per citarne solo alcuni, stanno generando forti squilibri a livello globale. Il cibo rappresenta infatti il 26% dell’impronta ecologica. Inoltre sono 821 milioni di persone che soffrono la fame a fronte di ben 2,1 miliardi di obesi o in sovrappeso.
Seppur siano tante le iniziative dedicate a un cambio di rotta, perché è ancora difficile per molte persone e molte imprese entrare nell’ottica dello sviluppo sostenibile? Un inizio di risposta mi è stata data da Sonia Massari, Phd, ricercatrice senior, consulente per aziende e fondazioni, professoressa di Food Design. “Se hai fatto palestra su una sola intelligenza invece che su dieci allora è il caso di portare in palestra anche tutto il resto” mi racconta descrivendo la necessità di pensare in modo sistemico. La sfida a oggi è dunque progettare, pensare in quest’ottica onnicomprensiva, senza rimanere aggrappati al passato. E partire proprio dalla filiera alimentare. Non ci sono alternative a un futuro sostenibile. O si fa o il futuro non ci sarà.
“Pensiamo all’ambiente – continua Sonia – la plastica, dunque, il packaging tante volte va nei mari e sulle coste. Se inquini le coste significa che i pesci non si avvicineranno e quindi i pescatori non potranno pescare cibo. Oppure i pesci si avvicineranno e mangeranno la plastica e a loro volta verranno mangiati da pesci grandi che mangeremo anche noi. Gli obiettivi sono tutti interrelati”.
Dobbiamo attivare quella parte addormentata della nostra intelligenza. Riflettere su cosa significhi davvero rispettare il Pianeta, qual è la storia che si cela dietro a ciò che ho di fronte che sia cibo o altro, metterci dunque in ascolto di noi stessi e di ciò che ci circonda. Dobbiamo cogliere quelle radici profonde che ci accomunano e divenire agenti attivi del cambiamento per costruire un futuro sostenibile. E in questo processo scoprire che in realtà l’obiettivo diviene la scintilla in grado di farci vivere un’esistenza di una bellezza mai sperimentata prima.
La versione integrale dell’intervista a Sonia Massari potete trovarla sul magazine femminile on line Bloom as you are dedicato al tema della sostenibilità.