Testo di Letizia Gobio Casali
Foto cortesia di Hotel Laurin
A Bolzano la montagna non esiste. È così che paradossalmente viene percepito il capoluogo altoatesino dalla maggior parte dei viaggiatori. Perché quando i turisti visitano l’Alto Adige, come ci spiega Franz Staffer (proprietario dell’Hotel Laurin di Bolzano), non lo considerano una meta di vacanza. “La gente ha in mente le valli e trascura la città, che pure culturalmente è molto vivace ed è stata un centro di scambi dal 1400 in poi”. Proprio per questo l’imprenditore – che negli anni 90 ha promosso una rispettosissima ristrutturazione, firmata da Boris Podrecca e Albert Mascotti, dell’edificio appartenuto ai suoi nonni – ha pensato a un nuovo modo di suscitare l’attenzione del pubblico: ConTanima, ristorante fine dining il cui nome gioca sull’idea della contaminazione, per richiamare i molteplici influssi culturali che si sono intrecciati nei secoli a Bolzano, ma suggerisce anche che dai piatti emerga l’anima cosmopolita dell’hotel.
Ecco allora che Staffer e lo chef Matteo Taccini, 30 anni – con esperienze blasonate al Pagliaccio di Roma, a Enigma e Ticket a Barcellona e al Noma a Copenaghen – hanno deciso di utilizzare materie prime di Alto Adige, Toscana, Austria, Veneto, in modo da richiamare gli intrecci storici confluiti a Bolzano. I due inoltre hanno concordato di imperniare la cucina su alcuni principi generali: semplicità del risultato nel piatto, sostenibilità, riduzione degli sprechi, utilizzo del quinto quarto e cottura alla brace. Queste le premesse.
E invece: a ripensare al ristorante, allestito in una incantevole serra all’interno del giardino dell’Hotel Laurin, con il senno di poi si colgono dettagli rivelatori di quello che l’esperienza gastronomica trasmette, a dispetto delle premesse e delle promesse. Da un lato, infatti, l’ambiente della Glasshouse, pur se arricchito da notevoli opere d’artista, non trascura di riutilizzare elementi di recupero, come i vecchi sacchi usati per rivestire le panche laterali. Dall’altro lato, una delle sale imbandisce un banchetto sul soffitto, che è sì un’installazione artistica, ma anche un modo di sfidare le aspettative degli astanti.
Ecco, l’approccio alla cucina di Taccini richiama un po’ il decor, innanzitutto nel senso di recuperare tutto il possibile. Nella sua cucina, essenziale, tutto quello che finisce nel piatto è funzionale a comporre il sapore finale; l’autosufficienza della ricetta giustifica la scelta di non contemplare talora un side dish o finanche una parte vegetale e tutte le parti di un alimento vengono utilizzate per fare riduzioni, fermentati, schiume o ridotte in sali o elementi zuccherini.
In più, a ribaltare le aspettative della cucina, c’è il virtuosismo con cui Matteo compone piatti sontuosi con pochissimi ingredienti; mai più di 3, spesso 2. Ma la semplicità non è facilità, perché al contrario le fasi di lavorazione sono numerose e le tecniche basiche a dispetto dell’esito complesso. Perfino quando semina indizi, lo chef sembra giocare con il commensale al gioco delle 3 carte: in pratica, sai che un ingrediente ci deve essere, ma non sai dov’è. Capita immancabilmente con L’asparago e la sua essenza, in cui nessuno dei presenti in sala riesce a intuire che la spuma che accompagna il vegetale sia composta di… asparagi: o quando i Tagliolini ai funghi vengono smascherati dai camerieri – ma dopo che il piatto è stato divorato – come tagliolini ai funghi, una prelibatezza in cui i funghi si associano alle nocciole e al tartufo come se fossero nati per questo connubio.
Anche il pairing fa leva sui contrasti e sui paradossi: con il piatto di mare, composto da Veli di seppia e puntarelle, con un side di puntarelle alla brace in salsa di fegato di seppia, viene proposto un vino “di alta montagna”: il Solaris Sichlburg – Baron Longo le cui vigne crescono sopra i mille metri di altezza. Il piatto di Ceci rosa di Regello, con ceci in più consistenze, è abbinato a una birra artigianale prodotta con scarti di pane: la Bröseljäger – la birra Cacciatori di Briciole. A proposito di consumo “circolare”: ad aprire è chiudere il pasto è la rarissima Corniola, prima spacciata come “oliva” (dato che appare come tale) e poi presentata, in chiusura del menu degustazione, in forma di bon bon di gelatina.
In mezzo, una successione di piatti certamente originali, ma anche sostanziosi, con un’esuberanza creativa temperata dal desiderio di sfidare le aspettative del cliente, ma al contempo di ingolosirlo tanto con i piatti quanto con un paring all’altezza. Per indicarne la varietà (oltre alle bevande già citate) quest’ultimo include un vermouth di gewürztraminer, un koji kombucha & tonic e uno special Bloody Mary a base di gin, pomodoro e bollicine che rende sublime l’inventivo Salmerino e patate, fatto di due ingredienti e una decina di preparazioni diverse.
Per questo motivo, anche se lo chef accenna al remoto obiettivo di realizzare un menu con piatti tutti a base di un mono ingrediente, per ora lo scopo di Taccini pare quello di offrire un’esperienza di alto interesse in una città (ritenuta) di basso appeal, di conquistare i più gaudenti con una cucina intellettuale, di preparare pietanze lussuose con ingredienti poveri. Chissà se basterà l’unicità di ConTanima a far comparire Bolzano sui radar dei viaggiatori più curiosi e aperti. Magari ci troveranno anche le montagne.
ConTanima
presso Hotel Laurin
Via Laurin, 4
39100 Bolzano (BZ)
Tel: +39 0471 311133
www.laurin.it/it/ristoranti/contanima/78-0.html