Testo di Barbara Marzano
Torino. Città esoterica, spesso ritratta con un’aria malinconica – a tratti bohemienne – è sempre riuscita a trattenere un’allure di mistero che ha influito, oltre che sul suo aspetto urbano, su piccoli elementi che l’hanno resa la madre patria di piccole prelibatezze enogastronomiche, dai grissini “torinesi” al gianduiotto, fino ad arrivare al vermouth. In passato, infatti, questo concentrato di erbe e spezie medicinali infuse direttamente nel vino, veniva utilizzato perlopiù come digestivo, trasformato presto in quella che fu poi la base dell’aperitivo moderno, di cui Arnaldo Strucchi fece tesoro.
Il vermouth protagonista, in questo caso si chiama Alla maniera di Strucchi. Paolo Dalla Mora, produttore di gin che ormai ha già fatto la sua entrata nel panorama degli spirits italiani con Sgrappa, Gin Engine e Contrattino, si è imbarcato nella sua “piccola missione”, ovvero quella di riportare in auge tutto il fascino del vermouth di Torino, quello autentico. Non è stato chiamato in causa un vermouth esistente da reinserire nel mercato, ma ne è stato creato uno che riporta alla luce la tradizione torinese, con ricette tramandate di generazione in generazione, pronte a meravigliare i palati più fini nella loro golden hour.
Ma facciamo un passo indietro nella vita di quest’uomo. Arnaldo Strucchi, enologo e direttore delle cantine Gancia, pur non avendo mai prodotto il suo vermouth, durante i primi anni di produzione delle aziende del settore, iniziò a mettere per iscritto il manuale sul vermouth di Torino, che riuscì poi a pubblicare nel 1907, manoscritto che divenne la linea guida per tutte le aziende dell’epoca, nonché base per quello che poi divenne il disciplinare del vermouth torinese – che oggi può vantare il fatto di essere l’unico prodotto a base vinicola ad avere un’indicazione di origine protetta.
Tanta strada per giungere fino a Paolo Dalla Mora che, studiando a fondo il libro di Strucchi, ha deciso di puntare soprattutto a posizionare questo vermouth in un settore di alta gamma, che va dall’hotellerie ai cocktail bar, con una gamma di prodotti ideale sia per i pairing, che per sfumare un piatto in cucina.
La tradizione non resta solo nel gusto, ma fuoriesce dalla bottiglia per vestirla con un’illustrazione altrettanto tradizionale. Durante l’evoluzione del vermouth, infatti, verso la seconda metà del 1800, tutte le aziende storiche dell’epoca, come Carpano, Cinzano, Cora, ingaggiarono alcuni artisti per creare le etichette più originali, declinate anche in poster pubblicitari – tra gli esempi più classici le stampe firmate dal torinese Armando Testa. Da qui l’idea di richiamare un artista piemontese, Riccardo Guasco, vignettista del Corriere della sera, che ha voluto rendere omaggio ad alcuni personaggi del mondo dello spettacolo, e non solo, della prima metà del 900, dedicando a ciascuna un’illustrazione propria, raccontata sull’etichetta della bottiglia. Mata Hari, ballerina e spia segreta durante la Prima Guerra Mondiale, è ad esempio la musa dello Strucchi Vermouth Rosso, intenso e complesso, che danza tra note di assenzio e spezie. Greta Garbo, inutile presentarla, riporta il suo profondo mistero e la sua innegabile bellezza nello Strucchi Bianco, che risale tutto il setto nasale consentori di salvia e timo, note agrumate di semi di coriandolo e un sottile finale amaro. I passi di un’altra ballerina, nota per le sue esibizioni al Moulin Rouge, riecheggiano invece nello Strucchi Dry: è Josephine Baker, che porta con sé le note erbacee di eucalipto e di assenzio, avvolte dalla freschezza del cardamomo, rosmarino, dittamo e alloro. Last, but not least, il leggendario Rodolfo Valentino, re del cinema muto, restituisce il suo legame con la città meneghina nel Bitter Strucchi, prodotto con 18 erbe, tra cui ginepro e genziana, con un finale persistente che rimane impresso nella memoria. Insomma, un bouquet di essenze di un tempo, che non aspetta altro che travolgerci.