Testo e foto di Amelia De Francesco
Il Calamaio, a pochi km dalla città di Lucca e sulle colline che tendono al mare, era un tempo di proprietà di tre fratelli, che conducevano l’azienda agricola per ragioni di mera sussistenza: un pollaio, l’orticello e qualche filare di vigna. I tre fratelli, nella loro semplicità, erano assai moderni, tanto che la leggenda narra che fossero i primi ad avere in casa la vasca da bagno, che mettevano a disposizione dei compaesani proprio come il forno a legna per cuocere il pane.
Lo stesso spirito di gioviale convivialità anima adesso la collinetta, messa a nuovo (o quasi) da Samuele Bianchi, classe ’71, ingegnere civile che la passione per il vino ha in parte rubato alle costruzioni.
Sommelier Ais ed eno-appassionato da tempo immemore, Samuele nel 2006 ha acquistato il terreno del Calamaio, con meno di due ettari di vigneto incolto e lasciato in pasto ai rovi, e dal 2011 ha iniziato a imbottigliare il vino che produce. In realtà il progetto iniziale era recuperare innanzitutto il grande casolare che svetta fiero sulla sommità del terreno e poi in un secondo tempo, magari perché no, i filari. Ma si sa, la vita procede per le sue vie in parte imprevedibili e così, a oggi, la casa attende di essere ristrutturata (“entro un paio di anni dovrei terminare i lavori e ricavare alcuni appartamenti per l’agriturismo e la sala degustazioni”, dice Samuele) mentre le vigne… be’, le vigne prosperano e aumentano di anno in anno, barbatella dopo barbatella. Nonostante, ci racconti il nostro vigneron, l’esasperante burocrazia vinicola che complica la vita ai piccoli e piccolissimi produttori (ma questa sarebbe un’altra storia…).
Tra i filari del Calamaio, in totale poco meno di due ettari per circa 8mila bottiglie, si affacciano molti vitigni, alcuni dei quali autoctoni (come Buonamico, Colorino, Ciliegiolo e Aleatico), altri invece voluti e piantati da Samuele: Sangiovese, Merlot, Chardonnay e Petit Manseng. L’azienda è certificata bio dalla vendemmia 2016, aiutata, racconta Samuele, dal vento che proviene dal mare tutti i giorni, prima del tramonto, portando freschezza e riequilibrando l’abbondante rugiada mattutina che si forma regolarmente in vigna, proteggendo quindi le piante dai rischi di malattie dovute all’umidità. La conduzione è rigorosamente familiare, con Samuele una sorta di “one man show” in vigna e cantina (“poto soltanto io, sono quasi geloso delle mie piante, non voglio che nessun altro le tocchi!”) e il padre a sostegno nei momenti cruciali dell’anno.
Ogni visita come si deve, termina con l’assaggio dei vini, naturalmente. Ed ecco le nuove annate:
Poiana 2015 – 100% Sangiovese 2015 (che andrà in bottiglia a breve). Deve il suo nome alle poiane che sorvolano il bosco che circonda la collinetta del Calamaio. Il vino matura per il 50% in legno (in barrique usate e tonneaux) e il restante 50% passa solo dall’acciaio; dopo un anno Samuele assembla le due masse per trasferirle in acciaio un altro anno e infine in bottiglia per l’ultimo affinamento. Un vino schietto, senza filtri concettuali benché tutt’altro che semplice, lungo in bocca, assai mangereccio. Quasi 4mila bottiglie, la metà della produzione aziendale.
Soffio 2017 – Un bianco strutturato, il cui incontro (ormai alcuni anni fa) fu una vera rivelazione. In circa mille bottiglie all’anno (quest’annata sarà imbottigliata verso aprile), trascorre circa 24 h sulle bucce e fa solo acciaio. Base Chardonnay, vitigno scelto per la spalla e la bella struttura, e Petite Manseng come omaggio alla Francia e ai vini dolci francesi, dotati di una spiccata acidità che li rende piacevoli. È il racconto della collina esposta a est, con il sole la mattina, il lato più fresco del Calamaio e chiaramente vocato per i bianchi.
Antenato 2016 (in bottiglia da metà febbraio) – Vecchi cloni di varietà locali (soprattutto Buonamico al 60%) cui si aggiungono poco Merlot e Sangiovese. Un vino balsamico, aromatico e di annata calda stavolta, sintesi di vitigni diversi con maturazioni differenti. Interessante lo studio ampelografico (non ancora concluso) che ha avvinto Samuele convincendolo da subito a dare vita all’Antenato. Niente legno, solo acciaio.
Iolai – Il nome, nota esclamazione lucchese che indica stupore, è tutto un programma. Un vino giocoso, questo Merlot in purezza, che troverete solo in magnum. Che berrete tutta senza nemmeno fiatare.
Chiudiamo con l’ultimo progetto, un Rosato da vendemmia di Sangiovese, che ancora un nome non ce l’ha. Assaggiamo dalla vasca il 2017, che andrà in bottiglia ad aprile 2018, e già pregustiamo (ma non possiamo dirlo nemmeno sotto tortura!) altre novità.
Novità che sulla collinetta del Calamaio, lo avrete capito, non mancano mai…