Testo di Eugenio Signoroni
Foto cortesia di Buonissima
Come ormai tradizione di questo periodo, ieri sera a Torino, alla Nuvola Lavazza è stata inaugurata Buonissima con la consegna del premio Bob Noto. La manifestazione, che è iniziata martedì sera con una cena a quattro mani con protagonisti Matteo Baronetto e Niko Romito, andrà avanti fino a domenica con diverse cene ed eventi in città. Ma torniamo al premio. Edizione dopo edizione il premio Bob Noto ripercorre alcuni tratti della molteplice personalità di Bob. Si è partiti con l’irriverenza del 2021 assegnata ad Andoni Luis Aduriz, poi è stata la volta dell’ironia dello scorso anno che ha, invece, trovato il suo interprete in Massimiliano Alajmo. Quest’anno invece a guidare la giuria (composta da Antonella Fassio, Luca Iaccarino, Stefano Cavallito, Sara Peirone, Ferran Adrià, Paolo Griffa, Matteo Baronetto e Davide Scabin) è stata la creatività, un tema che, come ha sottolineato Antonella Fassio “è solo apparentemente più semplice degli altri e rappresenta invece una delle questioni centrali per la cucina contemporanea”. Il premio è andato a René Redzepi: la creatività che questo riconoscimento ha voluto evidenziare, è quella di chi ha saputo creare non solo piatti innovativi, ma un percorso inedito per la cucina mondiale.
Redzepi ricevendo la statuina che raffigura Bob – forse potremmo chiamarlo definitivamente il Bob, un po’ come l’Oscar – oltre a dirsi emozionato, ha sottolineato come per lui essere creativo significhi essere vivo proprio come lo è stato per Bob attraverso la sua creatività. Ha inoltre ricordato la prima volta in cui Bob Noto andò a mangiare da lui: non fu mai così intimorito dal giudizio di un ospite.
La presentazione è continuata con un lungo dibattito – che avremmo desiderato più dibattuto e molto meno monologante – sulla creatività in cucina. Una discussione che ha visto confrontarsi la visione di una creatività scientifica e ingegnerizzata di Ferran Adrià con una più romantica e meno desiderosa di incasellamenti e schematizzazione, ma non per questo meno interessante, di Massimiliano Alajmo e con quella di René Redzepi che è fatta invece di dialogo e ascolto della natura, delle sue variazioni ma anche della sua ripetitività. L’inaugurazione è stata anche l’occasione per presentare due progetti dedicati a Bob Noto: un libro edito da Maretti Edizioni e un documentario prodotto da Pandora e scritto da Fransceso Catanirolo, che uscirà prossimamente.
A conclusione della giornata la cena presso il Ristorante Del Cambio dove Massimiliano Alajmo ha interpretato il tema dell’ironia in un menu intitolato A Bob, fatto di portate golose e ricche, ironiche e ricercate nei nomi, che hanno messo in mostra il lato più pop di Alajmo. Un menu che mi è parso volesse anche contrapporsi a distanza, in un gioco delle parti più che in una vera e propria tenzone, a quanto proposto lo scorso anno da Andoni.
Il benvenuto chiamato Carne in vitro era composto da un bicchierino di vermut alla cui base era appiccicato un disco di carne cruda solo leggermente condita per metterne in risalto gusto e fibre (proprio il contrario di quella artificiosità promessa dal titolo). Assalti in bocca era invece un piatto quasi totalmente vegetale e costruito su toni intensamente sapidi e acetici e su consistenze ora croccanti del cavolo verza ora soffici della salsa tonnata.
Dopo un intermezzo baronettiano con il suo classico, iconico e avvolgente Coniglio e salmone,è stata la volta del Bob-spoon un cucchiaio palindromo (come BOB) sul quale stavano da una parte un purè alla foglia di fico con caviale e dall’altra una piccola mozzarella ripiena di romesco. A seguire forse il piatto più ironico Chateau Bouillon 2023 con crocchetta piemontese uno straordinario e profondissimo brodo servito da una bottiglia che imitava un importante vino borgognone ad accompagnare un’intensa crocchetta.
Conserva all’italiana erano invece delle ruote pazze servite in barattolo di vetro con una spessa e concentrata salsa di pomodoro e una spolverata di caffè ad allungare il boccone e a renderlo più complesso. La Trippa di bosco, funghi ostrica cotti in umido come fossero una trippa e serviti con polenta e tartufo bianco, sembrava, invece, uscita da un’osteriaccia di provincia. In contrasto sia con la magniloquenza del luogo sia con l’eleganza della cucina di Massimiliano Alajmo che, come ha detto presentandolo lo scorso anno Bolasco, è grande anche “perché ha fatto cose serissime senza mai prendersi troppo sul serio”.