La crescia self-made di Luca Donninelli come audace esempio di imprenditoria italiana all’estero
Testo di Lorenzo Sandano
Foto cortesia di Strutto
Attenzione: la storia di Luca Donninelli e Strutto inizia qui, non perdertela!
La fine del mercato & il nuovo locale
Arraffo la scusa di testare la qualità degli ingredienti assaporando con estasi una classica Crescia al crudo, stracchino e rucola fresca, “la più venduta” mi conferma Luca. Dal morso poi elaboro un drastico salto temporale: dopo quell’incontro estivo al mercato, citato a inizio articolo, ho lasciato Luca motivato verso nuovi traguardi in vista della sua cessione del chiosco di 2 metri quadri ottenuto a Broens Gadekøkken. Tra le motivazioni in campo, c’erano anche diverse perplessità rivolte al lavoro in quel contesto: dopo l’esordio promettente, infatti, la piazza danese si è rivelata poco aperta di vedute rispetto il suo fedele esempio di cibo da strada. Forse viziata dal divario culturale o da una sottile vena d’ignoranza sul reale concetto di italianità gastronomica.
“Abbiamo da poco concluso la nostra seconda stagione al mercato” ci confida Donninelli mesi dopo al telefono. “Devo ammettere che non è andata malissimo, specialmente quest’ultimo anno in cui abbiamo registrato un +25% sulle vendite. La crescia è stata molto ben recepita dal pubblico italiano che vive qui, ma ha anche creato scetticismo o poco interesse da parte del pubblico danese. Bisogna aggiungere che presso il food-market la concorrenza tra hamburger, fish & chips e altri generi etnici era talmente folta da risultare quasi sleale rispetto la nostra crescia. Un prodotto affatto mainstream e semi sconosciuto in città. La Danimarca vanta un gran turismo culinario, ma mi sono reso conto che il danese medio non coltiva una conoscenza approfondita in materia, finendo spesso per mangiare ciò che non dovrebbe sul tema di cibo fake-italiano spacciato per tale. Fa strano prenderne atto, ma Copenaghen intera sta cambiando e si trovano sempre più enormi catene e sempre meno piccoli ristoratori pronti a battersi per i loro sogni. Io voglio restare in quest’ultima categoria”.
Molti dei franchising menzionati da Donninelli sventolano colori italiani perché attirano la clientela sul filone del trend, ma se si scava neanche troppo a fondo emerge quanto siano distanti dall’autenticità e dal servire prodotti di livello. L’impavido “cresciaiolo” però, durante la nostra seconda intervista aveva già messo in atto la risposta alla fine dell’esperienza di Broens Gadekøkken. Tutelando audacia, schiettezza e laboriosità che l’hanno distinto nel suo percorso:
“Siamo testardi o soltanto folli forse – conclude Luca ridendo – abbiamo deciso di re-investire tutto e aprire un piccolo spazio autonomo di 50 metri quadri in centro. Mentre l’offerta al mercato era alquanto ristretta per le dimensioni concesse, nella nuova location vorremmo sbizzarrirci nelle proposte, introducendo anche i tipici cascioni ripieni (calzoni con impasto simil piadina, ndr), taglieri variegati e magari condimenti più particolari per le cresce rivalutando l’artigianato italiano o regionale. Una versione che ho appena lanciato prevede, ad esempio mortadella, burrata fresca e i paccasassi di Rinci, un finocchio selvatico autoctono del Conero. Il locale è intimo, raccolto e speriamo anche di renderlo accogliente, con una cucina aperta no-stop dalle 12:00 alle 21:00. Mi piacerebbe diventasse un punto di ritrovo per uno snack a tutte le ore, anche se il limite della licenza nel servire alcol ci ha vincolati a un beverage di sode classiche, Bitter Rosso, Chinotto o Cedrata. In compenso mi sono mobilitato per offrire selezioni di caffè sin dal mattino, appoggiando un altro progetto made in Italy quale Nudo di Nicolò Zorloni (ragazzo già operativo da RetroBottega e Forno Brisa, ndr). Visto che lo specialty esige tazze adeguate mi sono rivolto a una mia cara amica artigiana, Beatrice De Francheschi, che dopo anni di gavetta ha appena aperto il suo Studio Kefi qui in Danimarca.
Ci siam studiati da zero delle tazzine con un aspetto grezzo, ma molto raffinate nella manifattura, segnate da un interno rosso per giocare con gli altri due colori dominanti del locale, il bianco e verde del tricolore. Le regole dello stabile dove siamo vietano la frittura, smontando il mio desiderio di portare a Copenaghen un altro cult marchigiano come le olive all’ascolana. Ho preso questa mancata un’opportunità per spingere come sides le Patatas Nana del mio amico Michele Gilebbi di Nana Bistrot, che tra l’altro si sta riprendendo con le sue sole forze dal dramma dell’alluvione di Senigallia. Il nuovo locale sta diventando un po’ una vetrina della gastronomia italiana a cui tengo qui a Copenaghen. Ultimo tassello un po’ romantico e in tema, quello di farmi confezionare un grande quadro da un mio compagno dei tempi dell’alberghiero. Andrea Vincenzetti è un pezzo di vita, artigiano che durante il giorno fa il macellaio a Macerata, mentre la notte si diletta con talento nella pittura. Mi ero ripromesso di commissionargli un lavoro una volta aperto Strutto e finalmente ho potuto dargli carta bianca. Lui ci ha messo cuore e pennello creando l’opera Sacralità, che racconta tanto di noi, delle nostre origini, della crescia, delle Marche e del rituale di un prodotto genuino, fatto interamente a mano, in cui mi ostino a credere ogni giorno”.
La storia di Luca merita tanto: non solo per la bontà della crescia, per la sua perseveranza e le capacità di reinventarsi (smontando qualsiasi etichetta sugli operatori fine-dining), ma anche per l’impegno nel tramandare un alimento popolare in metrica coerente, onesta e non omologata quale simbolo del cibo nostrano all’estero. Un’occasione per augurargli il meglio nella nuova apertura e per intercettare altri profili italiani che stanno forgiando situazioni bellissime in città. Al prossimo capitolo…