Foto di Paulo Barata per Cook_inc. 22
Traduzione di Flora Misitano
Circa due anni fa, quando ci siamo incontrati diverse volte per l’articolo che mi accingevo a scrivere per Cook_inc 22, ad António Galapito mancava quasi il tempo per respirare. Il Prado, il suo ristorante “farm to table” aperto meno di un anno prima a Lisbona, era in auge, sempre al completo com’è stato d’altronde fino alle prime cancellazioni dovute alla pandemia da Coronavirus, nel marzo scorso. Una brigata unita (di sala e cucina), impegnata con una certa regolarità in attività sul campo e che viveva a un ritmo accelerato, ha visto di punto in bianco la vita iniziare a muoversi a rallentatore fino all’arresto totale per motivi che l’hanno completamente sopraffatta. E nonostante tutto, in quel mese, pur con il turismo in ginocchio e molti clienti locali che iniziavano a restare a casa, il ristorante ha continuato a lavorare bene. Ma già qualche giorno prima che il governo portoghese dichiarasse lo stato d’emergenza, il 13 marzo, capivano di doversi fermare e comunicavano la chiusura temporanea a tutela della salute del personale e dei clienti stessi. António Galapito sognava di rallentare un po’, ma ovviamente non in questi termini. Le prime due settimane sono servite per cercare di capire cosa sarebbe successo e per fare un piano d’azione. Tra le varie misure, decidevano di iniziare a proporre un servizio da asporto e di consegna a domicilio. Non solo per cercare di ridurre il danno, ma anche per far sentire la propria presenza e mantenere un rapporto con i clienti. Diverse settimane dopo la decisione, ci siamo sentiti.
Come state vivendo questi tempi di pandemia?
Le prime due settimane sono state una sorta di apprendistato. Abbiamo cominciato a capire che il modo migliore per adeguarci era vivere alla giornata, facendo il punto settimana dopo settimana, per capire se fossero necessari dei cambiamenti e quali. Ogni settimana è completamente diversa dall’altra e l’attività deve giocoforza adeguarsi.
Avete messo il personale in cassa integrazione e iniziato a offrire un servizio da asporto e consegna a domicilio. Come sta andando?
La cosa più sensata è stata sfruttare tutte le misure di governo. Poi provare la consegna a domicilio e investire sulla vendita di prodotti (oltre al ristorante, esiste il Prado Mercearia, uno spazio con una proposta più semplice di pasti e una parte di alimentari/mercatino). Abbiamo dovuto anche immaginare cosa la gente avrebbe richiesto di più. Non facile. Non abbiamo ancora risposte certe. Va… Secondo l’ultima analisi dei numeri che abbiamo fatto, in pratica la decisione di continuare (con le consegne a domicilio) o meno era indifferente, perché non riuscivamo a fatturare abbastanza. Cioè, mettere il personale in cassa integrazione o restare aperti e pagare un po’ di più gli stipendi non cambiava sostanzialmente.
Ma avete deciso di restare aperti, come mai?
Perché dobbiamo mantenerci attivi. Se le perdite fossero state superiori non l’avremmo fatto. In questo caso è preferibile esserci.
Siete passati da una fase in cui lavoravate come pazzi a un arresto totale
Da un estremo all’altro. Ma si tratta di mantenere lo staff operativo, fare in modo che i clienti sappiano che ci siamo, che continuiamo a esserci. Abbiamo anche continuato a cucinare una volta la settimana una cinquantina di pasti per un’associazione di beneficienza. Loro ci mandano i prodotti e noi li prepariamo. Niente di ricercato, cose semplici. Abbiamo anche preso in considerazione nuove proposte per quando potremo riaprire.
Quali misure prevedete di adottare per la riapertura? Avete già definito qualcosa?
Dobbiamo aspettare di vedere cosa decreta il governo. Siamo fortunati perché abbiamo uno spazio relativamente ampio, un impianto di condizionamento che ci permette di far accomodare tutti i clienti su un solo lato della sala, in modo da non far circolare il virus. Abbiamo anche studiato il distanziamento tra i tavoli e valutato cos’altro possiamo fare. Vogliamo che i collaboratori si sentano sicuri con le decisioni che prenderemo a tempo debito. E che anche i clienti si sentano protetti. Ma come dice il mio collega José Avillez, ci vuole anche grande responsabilità da parte del cliente. E non sarà facile, perché sarà esattamente il contrario di tutto quello che abbiamo sempre difeso al Prado. L’esperienza dei ristoranti risentirà moltissimo delle norme che saranno imposte.
Ma non credi che queste norme siano importanti perché si riacquisti fiducia?
Credo che alcune lo siano, ma non si può esagerare. Perché sennò finirà per uccidere di più la cura che la malattia. Si era parlato di misurare la temperatura a personale e clienti all’ingresso, di tenere i prodotti in quarantena in un apposito spazio per quattro giorni, di cucinare tutto ad almeno 65°C. Fortunatamente non sono state misure confermate.
E cosa cambierete nella vostra proposta? Con il turismo fermo dovrete adattarvi al cliente locale. Dovrete ritoccare i prezzi, modificare il tipo di prodotti che servite?
Immagina di dover ridurre la capacità del locale a 1/3 e in più abbassare anche i prezzi. Se abbassi i prezzi drasticamente non vale neanche la pena riaprire. I costi sono talmente alti che il gioco non vale la candela. Se il ristorante poi non si riempisse neanche per un terzo, lasciamo perdere. Non abbiamo ancora affrontato la questione dei prezzi, se ridurli o meno. Probabilmente dovremo ridurre alcuni prodotti premium. Ma penso che in realtà siamo sempre stati equi. Facevamo pagare quello che c’era da far pagare. Uno, per il lavoro, e due, per la rarità di alcuni prodotti e per la difficoltà di reperimento.
Dopo questa chiacchierata e dopo che è stata fissata al 18 maggio la data di riapertura dei ristoranti, il governo portoghese ha pubblicato degli orientamenti per il settore della ristorazione. Sulla base di tali orientamenti (che prevedono la riduzione della capienza massima del locale e un distanziamento fisico di 2 metri tra le persone, privilegiando l’uso degli spazi all’aperto, il servizio da asporto e le prenotazioni) il Prado aprirà il 21 maggio, nella prima fase ancora con lo staff ridotto, solo tre giorni la settimana (giovedì, venerdì e sabato) e unicamente a cena, con un’occupazione di poco superiore al 50% della capienza massima. Se riusciranno a fare tra i 25 e i 30 coperti al giorno, probabilmente abbandoneranno il servizio di asporto e consegna a domicilio.
Foto di Miguel Pires