Un Anno di René Redzepi in 2 Stagioni +1
Testo e foto di Lorenzo Sandano
“Ma allora vai un’altra volta a Copenaghen?” La domanda che mi è rimbalzata addosso più spesso quest’anno. Costante, come le imprecazioni investite al monitor del pc: fronteggiando la schizofrenia dei voli Ryanair (ora spiegatemi il senso della nuova tariffa plus, se ti ritrovi comunque a fare la fila). Sdrammatizzo. A ogni modo si. Sono stato 5 volte a Copenaghen in un anno. E non perché ho ceduto allo stereotipato appeal nordico della capitale danese. Il motivo primario era quello di provare i tre menu a rotazione stagionale del nuovo Noma. Non lo chiamerò 2.0, perché di questa definizione ne abbiamo davvero abbastanza (e gli va anche un po’ stretta, a esser sinceri). Come tanti – ma non proprio tutti – i tre menu me li sono sparati in sequenza (primavera, estate, autunno). Per comprendere uno sviluppo concettuale che andava metabolizzato nella sua interezza. E la sensazione, al termine di questa ambita collezione di piatti, è come quando da sbarbato finisci di leggere i tre libri del Signore degli Anelli di Tolkien (perdonate il parallelismo NERD). Scoprendo che ti mancano ancora – come minimo – il Silmarillion e i Racconti Incompiuti. Sarò più concreto: il Noma ti lascia un sacco di appendici da snocciolare. E io questo lo leggo in positivo.
Seasonal Switch: Vegetarian
Su queste pagine digitali ci eravamo imbarcati sul primo Nautilus del Noma. Con un Redzepi in versione Capitano Nemo: intento a navigare l’oceano del nord con un Seafood Menu che chiamava in gioco creature marine di ogni genere e costituzione. Poi, il cambio climatico drastico e violento, che ci ha catapultato nel mese di agosto dinnanzi a una Copenaghen pervasa da un caldo surreale. Che ha inevitabilmente condizionato lo sviluppo del menu vegetariano, collaudato in mesi di ricerche e sperimentazioni sul substrato ortofrutticolo del terroir danese. Ci agganciamo a questo tema, per scandire il primo punto evidente della cucina: è ormai chiaro che i piatti del Noma attuino uno storytelling su un territorio che non c’è. Un lavoro mastodontico su varietà, specie e tipologie di materie prime con un’appartenenza autoctona mai scardinata prima. Esprimendosi con un impatto gustativo quanto mai vergine e distante dalla nostra visione gastronomica e palatale. Il menu vegetariano è stato un ammirevole tentativo di propagare nuove percezioni su una gamma di ingredienti total green.
Rischiando e giocandosi il tutto per tutto, anche con una quota di peripezie esecutive non indifferenti. Il processo creativo ha suggellato un notevole exploit di suggestioni aromatiche, capaci di risvegliare in maniera possente l’olfatto ancor prima del gusto. Pensiamo all’esordio con crema/brodo di patate Magma: da sorseggiare ficcando la testa in un vaso da fiori, con le erbe officinali a contrassegnare in maniera determinante il livello dell’assaggio. O ancora il pungente Involtino (dal look Medio Orientale) con pelle di cetriolo e prezzemolo. Poi, a rincorrersi, una discesa ripida di acrobazie, guizzi estetici e qualche discreta concessione alla gola: le voluttuose Uova di quaglia con finto chorizo alle bacche; la sferzata acetica di pigne, spugnole, alghe e fiori conservati come Pickles; l’atavica Cipolla BBQ; il setoso Pancake erborinato a base di muffe nobili dalla texture eccentrica. L’esaltante Ceviche di asparagi, cetrioli, verdure estive e fragole acerbe.
Tanto presenti le contaminazioni (asiatiche, messicane, orientali), a tracciare provenienza ed esperienze culturali dei vari componenti della folta brigata: corroborante e devoluto l’ottimo Mole di frutta secca, con tofu ai semi di zucca e rose alla griglia. Seguito dallo scenografico Shawarma di sedano rapa, cotto allo spiedo con burro al tartufo e il suo fondo – incredibilmente carnivoro – da spazzolare con una sfrenata scarpetta finale. Un percorso che riempie lo spirito di cariche emotive, spianando la vista a un ecosistema straniero. Che può anche far discutere, lo concedo. Come sull’ipotesi di una ripetizione di ingredienti. Ma che in realtà racconta le fondamenta espressive del Noma. E ci arriveremo più avanti. O meglio, già ci scontriamo con il capitolo successivo. In cui il manto autunnale/invernale ha messo in scena un’accelerata saporosa, decisamente più possente e brutale.
Seasonal Switch: Game (Set – Match)
È stato necessario tornare qui bardati come eschimesi, per comprendere quanto l’asse creativo del Noma non solo cambi continuamente, con una frequenza mensile dettata dalle stagioni. Ma come sia in grado di evolversi e livellare la metrica dei piatti: accorciando le misure e mettendosi in discussione su propri mezzi e visioni. Con il Game Menu infatti, si passa senza indugi dalla levità ludica e sbarazzina del trip vegetariano, a una sostanziale virata sul fronte del gusto. Quello barbarico, succulento e pieno: che contempla cotture dirette, propulsioni selvatiche no filter e una graffiante solidità all’assaggio. Il territorio ignoto si denuda in veste inusuale, provocatoria. A tratti pulp. Sviscerando quasi ogni taglio edibile di animali insoliti: scioglievoli Animelle di renna fritte panate nel fieno, seguite da un fenomenale Spiedo alla brace di lingua della stessa (non era da meno la Tartare di cuore con intingolo di formiche o la Crepes di cervello).
Non manca qualche passaggio dal colpo d’occhio goliardico, come il Finto scarabeo di aglio nero e blackcurrant; l’esuberante Zucca con prugne fermentate e pomodori in conserva; o il delizioso Brodo gelificato di fagiano con crème fraîche e caviale. Per poi salire in volata, con il padellotto di Funghi selvatici (clamoroso) e la monumentale serie di servizi dell’Anatra: petto bbq; cervello (estraibile dalla testa del volatile come in un film di Indiana Jones); zampa con pelle croccante e salumi d’anatra homemade. A chiudere, la strepitosa – quanto cruenta alla vista – Ala di anatra: che rivela in realtà un magnifico filetto al burro montato di alghe e spezie fritto come una cotoletta in simil tempura. Tra gli scanzonati dessert, vi ritroverete a sgranocchiare una finta Zampa d’anatra fatta di grasso filtrato (del pennuto) modellato come una caramella toffee. In spensierata allegria. Ma non state solo giocando: perché nell’estremizzare tecniche, ingredienti e sperimentazioni qui si gode. Si gode tanto.
Cucina delle opportunità
Sul dinamico tris di menu se ne sono sentite tante. Come è giusto che sia. Io mi sono fatto un’opinione, sobbarcandomi i margini d’errore di un’interpretazione personale. Al Noma non si mangiano piatti finiti – chiusi – nell’accezione più affine al concetto ordinario di ristorazione. Qui si mangia un’idea. Per lo più lasciata aperta e in sospensione. Una filosofia che trova brillante significato nell’eredità creativa trasmessa all’armata di ragazzi in cucina (provenienti da tutto il mondo). Profili portentosi e ricettivi, che gravitano in questa pazzesca palestra di sperimentazione mai statica. Apportano linfa al progetto di Redzepi. Ne sono artefici e vettori, ma spesso perseguono una via tutta loro. Per protrarre il verbo delle nozioni apprese, anche all’esterno delle mura del Noma. Continuando ad alimentare un battito creativo, in linea con quanto immagazzinato e condiviso sotto dalla guida del cuoco macedone.
Una cucina delle opportunità. Associabile a un concetto tanto antico quanto meravigliosamente attuale e frastagliato di atelier culinario. Sistema lodevole.Che funziona, cresce, si auto-sostiene e attrae un’impressionante attenzione mediatica. Anche grazie a un espediente tutt’altro che superficiale come quello dei tre menu stagionali. E non parlo di uno stratagemma pubblicitario fine a se stesso. L’approdo all’ultimo capitolo ne ha dato dimostrazione lampante. In slancio patriottico, citiamo l’esempio del talentuoso Riccardo Canella: ragazzo dotato di invidiabile sensibilità e cultura, che atterrato qui dalla corte di Alajmo, è riuscito in punta di piedi a ritagliarsi un ruolo da sous-chef e da caposquadra del reparto lab-ricerca. Imprimendo il suo marchio identitario nella genesi tecnica e concettuale dei piatti. Il suo excursus al Noma non è ancora concluso, ma se si affaccia una sottile prospettiva di avventura individuale, di certo il bagaglio racimolato sarà in grado di agevolare qualsiasi esperienza futura.
Agnostic Point: oltre le aspettative
Il punto sul Noma, dunque. Felicemente agnostico, perché questa realtà è capace di rivolgersi all’ospite in un’ottica non etichettabile. Che cela una manodopera inverosimile diretta alla perfezione strutturale di ogni assaggio. Smarcando un senso di appagamento finito, dettato solo dalla degustazione dei singoli piatti. Basta una visita nelle diverse aule di lavorazione del ristorante (dalla stanza delle fermentazioni, a quella della ricerca sui prodotti, le conserve, passando al lab vero e proprio), per esser travolti da un lavoro in continuo movimento. Il moto stagionale, ne ha scandito una variabile importante: con il mutare delle materie prime, si sussegue un’alternanza di sfumature pressoché infinita e cangiante. Un organismo culinario che invita a prendere la distanza di sicurezza da qualsiasi sterile aspettativa.
Immergendosi in un frenetico e incessante turbinio di stimoli, pareri dissonanti, confronti e riflessioni. Tutto ciò è già sbalorditivo di suo. Perché in un periodo storico in cui il termine avanguardia comincia a vacillare, forse è questo un modello valido su cui spostare il punto di attenzione. Trai i pochi capaci di investire e rigenerarsi con piglio imprenditoriale, centrando sempre il bersaglio: citiamo i pop-up itineranti dopo la chiusura del primo locale, sino alla struttura di oggi. Ciclicamente full booked, con la clausola di menu pre-pagato alla prenotazione(fantascienza qui in Italia). Senza contare un altro aspetto cruciale:ritrovarsi per la terza volta a distanza ravvicinata – seduto allo stesso tavolo, con la curiosità rinnovata di un bimbo – lascia comprendere facilmente come René abbia vinto, a modo suo, anche questa sfida. Lasciando spalancata l’ennesima feritoia di successo per lo sviluppo dei prossimi inediti menu. Fattori che la dicono lunga sulla genialità acuta di questo cuoco. Sulle potenzialità di questo atipico ristorante nordico. E su quali rotte ancora possa arrivare a solcare.
Noma
Refshalevej 96
1432 Copenaghen K
Danimarca