La cattiva notizia è che per ora è chiuso. La buona che Patascoss riaprirà a breve per tutta l’estate, con l’obiettivo di offrire un’alternativa sensata e variegata a chi frequenta le piste (e d’estate i percorsi escursionistici) di Madonna di Campiglio. Patascoss è l’evoluzione di uno storico rifugio, da oltre 50 anni punto di sosta per escursionisti e sciatori, ma la sua storia va ricercata molto più indietro nel tempo: le prime testimonianze con questo nome risalgono addirittura al 1600. Da allora, chi ha percorso la montagna in località Patascoss (inclusa l’imperatrice Elisabetta di Baviera, meglio nota come Sissi), ha trovato ristoro in questa struttura, simbolo del panorama trentino. Oggi il rifugio, a pochi passi dalla celebre pista la 3Tre, continua ad accogliere ospiti secondo un concetto concepito da Paolo Ferretti, fondatore dell’agenzia Uebe e già socio di Mo-food con lo chef Norbert Niederkofler: quello di Balance 4 All, dove i quattro pilastri che reggono l’equilibrio sono la cucina, il design, l’ospitalità e l’esperienza complessiva.
Poiché però, a vincere la concessione di sette anni dello storico rifugio, sono stati suo figlio Francesco Ferretti e altri quattro under 35 di varie competenze (Alessandro Coser, Ivan Fonsatti e Andrea Buselli, già creatori del format di cucina itinerante Nunu’s e gestori di diversi locali in zona) di recente sono stati sperimentati alcuni temporanei cambi di rotta. Sono finalizzati a fidelizzare la clientela locale (e quindi aprire alla destagionalizzazione) prima ancora che a distinguersi dall’offerta gastronomica classica dei locali di montagna. E che si differenziano, rispetto all’imprinting di Paolo Ferretti, che ha tra i suoi capisaldi le materie prime locali. Così, durante la stagione turistica, la proposta di Patascoss si declinerà in Look & Eat, un self-service; in Slope Food, una proposta di street food, in una Macelleria, che è una classica griglieria e in una proposta più raffinata nel ristorante Di Sopra, la cui declinazione dipenderà anche dallo chef che al momento in cui scriviamo ancora non è noto. Al contrario, in attesa dell’apertura estiva, è stato proposto un appuntamento con un’ospite che, lungi dal basarsi su materie prima autoctone, vanta una lunga conoscenza della cucina orientale: Peter Brunel, chef dell’omonimo ristorante stellato di Arco e ambassador del marchio Porsche. Lo scorso 4 aprile, in collaborazione appunto con il Centro Porsche di Trento, lo chef ha fatto incontrare il Trentino con il Giappone e preparato per un centinaio di fortunati avventori un menu degustazione appositamente pensato per l’evento.


La proposta ha incluso alcuni dei piatti signature, che saranno inseriti a rotazione nel menu “best of” che dal prossimo 28 agosto, in occasione del suo cinquantesimo compleanno, Brunel offrirà nel suo ristorante. La successione dei piatti si è articolata in un aperitivo e quattro portate, accompagnate da una selezione di cinque vini scelti dalla carta di Michele Bontempi, wine consultant di Patascoss, che ha creato un apposito libretto rosso per i vini naturali, con etichette importanti.
Gli aperitivi Trentino Nikkei hanno visto succedersi (in sequenza) un cevice di montagna di trota rosa abbinata alle sue uova, cococha e tartufo (una zuppa di pomodoro con gola di merluzzo, taccole e tartufo), una tartare di manzo alla soia, con olio di sesamo uova di tobico, un’irresistibile brulè di foie gras e un quadrotto di pane con farina di mandorle dolce, burro e acciughe “che crea assuefazione, si unisce a una parte acida per abbassare il pH e aprire lo stomaco, ma con leggerezza” ha sintetizzato lo chef. E dato che effettivamente gli stomaci si sono aperti, ecco la prima portata. Ops, no, fermi tutti: il debordante (quanto a generosità) Brunel aggiunge un Nigiri foie (gras) e Pisco sour che completa al tavolo (come farà con quasi tutte le portate) accompagnato da un kombucha al tè nero.





Poi si parte davvero con una Cipolla caramellata con fonduta di Parmigiano Reggiano che sembra il negativo di una pepita, spiccando nel suo nero totale al centro di una ciotola dorata, accompagnata da un Pinot Grigio Fuoripista 2023 di Foradori. Il primo si chiama Patata & Sake: si tratta di spaghetti di patate che Brunel ha brevettato, dopo aver risolto la sua personale curiosità di capire il punto di rottura delle fibre delle patate. Gi spaghetti di patata gialla vengono lasciati in una salamoia bilanciata e cotti per 30 minuti a 85 gradi: “da 100 grammi passata al tornio nasce un unico filo di 2 metri di spaghetto” spiega l’inventivo Brunel. In questo caso gli spaghetti sono stati poi abbinati a una salsa ai tre pomodori di Toscana, Sicilia e Sardegna e a fiocchi di tonno fermentato, a conferire a necessaria sapidità.
A chi non sa nulla di chimica, come chi scrive, a questo punto è stato propizio un teroldego Indulgente di Redondel del 2020 per meditare sulle proprie lacune scientifiche, finché a distrarre i commensali ha provveduto il Piccione all’oro, sedano, kefir e tè-postfermentato. In questo caso lo chef si è ispirato alla marinatura degli antichi romani che intenerivano la carne con una salamoia di sale, miele, latte, che qui è sostituito con succo di mela. Un piatto bellissimo, oltre che gustoso, perfettamente abbinato con un Gruccione 2021 di Il querciolo, seguito dal dessert: yuzu, shiso rosso e tè post fermentato. Benché le vette, come è il caso di dire in un simile contesto, di questa cena non verranno replicate durante la stagione turistica, le premesse per creare un nuovo punto di riferimento gourmet in montagna ci sono tutte. Anche il numero medio di soste a Patascoss, stimato in 80.000 passaggi l’anno, incoraggia a sviluppare nuove progettualità e a provare a lasciare la cucina aperta anche la sera, per ospitare il dopo sci o il dopo passeggiata.
Quanto a Brunel, chi scrive pensa che, di là di questa singola serata, la complessità della sua cucina richieda modalità di fruizione più concentrate di quelle offerte da uno chalet di montagna, che deve necessariamente aprirsi a un pubblico eterogeneo e giustamente desideroso di svagarsi, anziché di impegnarsi a decifrare una cucina molto di pensiero per quanto assai gradevole. Non che al ristorante di Arco i clienti non siano a loro agio: al contrario, passando di piacere in piacere, si rilassano parecchio. Al punto che nel suo ristorante, racconta lo chef, “il tempo di sosta medio è sulle tre ore, ma non mancano casi in cui si è saliti fino a undici ore”. Succedesse a Campiglio, sarebbe praticamente un affitto breve.