Reportage
Chaos, anarchy, anolini
Viva la domenica italiana piena di gaudio e bellezza
Ma anche il mercoledì al Belrespiro da Chiara Beretta e Fabio Delledonne
Da Cook_inc N. 41
Viva la domenica italiana piena di gaudio e bellezza
14 minuti

Se deste retta al navigatore potreste avventurarvi in un percorso decisamente affascinate attraverso una stradina dove però due veicoli insieme non sono compatibili. In compenso il profilo delle colline piacentine, i filari di gelsi, la campagna a perdita d’occhio portano a immaginare questi posti nel tempo remoto del condottiero cartaginese Annibale che qui in questi colli combatté la battaglia della Trebbia contro i romani durante la seconda guerra punica. Belrespiro è in questo teatro allargato della Val Luretta ma, come dice Chiara Beretta, “a Sarturano non abbiamo molto altro di cui gloriarci”. Per la verità non è così: il Belrespiro che lei conduce con il marito Fabio Delledonne è un’altra piccola gloria di cui il territorio può andare fiero. Lo stabile, qualche secolo fa, era probabilmente un annesso con stalle e magazzini di un castellozzo poco lontano. Era disabitato da vent’anni – ed era da sistemare – ed è stato restituito a nuovi usi – non solo il Belrespiro, ma anche casa loro – proprio grazie a questi due ragazzi di una vitalità contagiosa. Ad annunciarne il mood, gli arredi del giardino, sedie e tavoli recuperati e disposti in libertà quasi a dire agli ospiti “sentitevi a casa”. Stesso stile remix, tra l’incolto e il sofisticato, sotto al portico, con credenza cornici oggetti recuperati qui e là da Chiara che ha la passione del riciclo. “Solo appoggiando le cose Chiacchi crea magia”. Chiacchi, così la chiama il marito, “ma ogni giorno si cambia, ogni giorno creiamo delle lingue”. E anche solo a scorrere il menu fatto con un collage sopra vecchie pagine di vecchi libri vien da dargli ragione. 

Lei, laureata in Scienze Politiche, lui, un leader naturale, prima che cuoco, era meccanico di professione. Nessuno dei due aveva in mente di farsi ristoratore. Semplicemente cucinavano per gli amici. Senonché la vita è imprevedibile. Le cose sono andate così, punto. Senza strappi, lisce lisce. Decisioni normali. Non c’è una svolta, neppure a cercarla con meticolosità. Per l’appunto, a tutti e due piaceva fare cene con gli amici e cena dopo cena, perché no? C’era un circolo ricreativo in un vecchio affascinante casale poco distante dalla attuale destinazione con due anziane signore a gestire l’attività che avevano deciso di chiudere. “E così, per un anno e mezzo abbiamo mantenuto il nostro lavoro precedente (lei come responsabile della logistica a La Goutte, lui nell’officina di veicoli industriali), tenendoci la ristorazione per divertimento”. La curiosità li ha sempre guidati, a tutti e due piaceva viaggiare alla scoperta di nuovi posti. “Giravamo molto, siamo stati tre volte al Noma a Copenaghen”.

Fabio è totalmente autodidatta ma in famiglia ha sempre contato su ottimi esempi ai fornelli. Idem Chiara che ricorda quando i genitori cuocevano il maialino sottoterra alla maniera sarda e tutte le pizze preparate per gli amici. Ma anche la passione del padre per la filosofia del giapponese Masanobu Fukuoka e il suo metodo di coltivazione dell’orto. Un approccio che si basa su pratiche come la non aratura del terreno, la pacciamatura con paglia e il non utilizzo di pesticidi. Metodi naturali basati sul rispetto della natura con interventi, per l’appunto, ridotti al minimo. Rispetto inculcato di rimando alla loro cucina e a tutto ciò che la fa vivere.

“L’avanguardia oggi è togliere. Le vere avanguardie devono piuttosto elevare il livello dei servizi”, dice convinto Fabio sempre largo di massime, intuizioni e ispirazione.

Il menu si è creato pian piano come la loro identità. Parte di questa identità è data dal fuoco. In giardino, sullo sfondo delle colline piacentine, campeggia una struttura in ferro per il barbecue, opera del fabbro Matteo: è il Castelfoegh, così Fabio chiama il suo braciere. E mentre Chiara argomenta il fatto che è l’ennesima parola inventata dal compagno in lingua pseudo-svedese, Fabio non manca di farle notare che quella parola esiste – eccome! – nel loro dialetto piacentino. Sulle enormi griglie di questo “castello del fuoco” si può rosolare ogni ben di Dio, dalle carni alle verdure, dall’asado di pecora cotto nello stile cochinita, agli agnelli ai caciocavalli che colano sulla brace e persino i cotechini. E pure i grandi pesci come rombi o San Pietro. Fornitore di carni è Michele Varvara dell’Alta Murgia che procura piccioni anatre conigli destinati invece alle cotture nel forno a legna sempre in funzione. “Mi piace bruciare” afferma Fabio, mentre armeggia davanti alla bocca dell’enorme forno dentro cui borbottano le teglie da condividere nei pranzi della domenica come la pasta con cavolfiore e caciocavallo o quella con sugo d’anatra o le patate con cotechino e grappa, le cipolle fieno e sidro, la zuppa in zucca. Le anatre, tostate in forno vengono trasferite, secondo la sintetica ricetta, “nella big teglia con cipolla carota sedano, cover in water e te la dimentichi”. O prendi quel latte che, dopo tre ore in forno, quasi caramellato, diventa un formidabile condensato per la panna cotta.

“Benvenuti a casa nostra. A casa vostra. Navighiamo in un’epoca oscura, cerchiamo di essere empatici a vicenda che magari ci salviamo la vita. Viva sempre la domenica italiana”.

È uno dei tanti salvifici motti del passionale Fabio che adora il fuoco anche come momento di condivisione. “Ti tiene un sacco di compagnia, è visual, ogni lapillo è irripetibile. In greco il fuoco è il pyr”. E il piro, la bomba del piro, una delle specialità della casa, è una sorta di arancino ispirato alla tradizione della Bomba piacentina qui risolta nel boccone simbolo del ristorante. Per inciso la loro figlia da piccola storpiava il nome Belrespiro in… piro! Sempre per inciso, il nome è correlato alle guerre puniche in quanto Annibale considerava Pirro il più astuto dei suoi strateghi. Insomma, se si vuol procedere per associazioni, qui ci andiamo a nozze. “Procedo sempre per associazioni, anche in cucina” afferma Fabio con la solita irruenza al limite del caricaturale. Lo prendiamo in parola e anche noi allora assoceremo il suo volto a quello di due attori, protagonisti, l’uno, Bobby Cannavale della serie cult Vinyl (e i vinili sono per altro una sua immensa passione), e l’altro, Francisco Carril, protagonista dell’osannata serie Dieci Capodanni. Stessa massa indomabile di capelli scuri, occhi profondi, veemenza, foga, irruenza ma anche dolcezza acume e introspezione e quel tic tutto maschile di toccarsi spesso le parti intime che ha a che vedere con una precisa ragione, non sessuale, bensì con l’umore. Il gesto, decisamente molto diffuso, sarebbe una sorta di calmante antiansia. “Io voglio che esca fuori che sono un essere sanguigno”. Ci proviamo, per l’appunto. Lo dice mentre scodella da una grande padella gli Anolini col sugo di stracotto che qui “si mangiano solo a Natale ma in vostro onore… Così, brutale, senza impiattare, voglio che passi il concetto di brutalità. Noi siamo selvatici“. Lo stracotto è preparato con burro nocciola e cipolla caramellata (che viene prima tolta e poi ri-aggiunta) carne intera, spezie, sfumato con vino rosso e alla fine, ma solo alla fine, alloro.

Selvaticamente la filosofia del locale è stampata sulla maglietta nera che Fabio indossa: “Chaos anarchy e anolini… Sei in mezzo al caos e all’anarchia ma davanti hai un bel piatto di anolini. Il caos puoi solo abbracciarlo. Le cose continuano ad agire fermandoti”.

E per mettere un minimo d’ordine ecco le liste “perché il mondo è fatto di liste”. Il font di queste liste è la grafia del visual artist Daniele D’Orazi – che insegna digital marketing all’Istituto Marangoni a Milano – mentre il logo del Belrespiro è opera del Cristian Bongiorni di Due percento tattoo. “Ci sembrava giusto partire dalla selvaggina, iconica da queste parti. Dunque, un bel fagiano con il colletto mediceo e il copribecco è lo stemma del locale”. 

E per tornare alle liste, ecco quella “di un sabato qualunque”:
– Madeleines, fumogeni, zabajone
– Pisarei, peperoni, burrata
– Pane, cotechino, cipolla
– Coppa, giardiniera, apocalisse
– Delirio, cotiche, Champagna
– Sex, drugs e pisarei

Piatti che nascono rigorosamente per associazione. Piatti che contengano anima sapere, ma immediati senza mai essere banali. In ognuno è racchiuso un piccolo mistero, come una piccola perla dentro un’ostrica. Esempi a non finire, eccoli. Gli asparagi alla brace sono completati da una salsa di foie gras e uova di pesce (il foie gras è emulsionato con panna al 38 per cento… “ah la panna dei francesi, un’altra cosa. Sì, ho un debole per la Francia, ho il mal di Francia”). La zuppa di morchelle e asparagi è legata con paté di fegato e uova. Le capesante sono flambate con grasso di rognone. La canasta passata sulla brace è condita con olio all’aglione, olio all’erba cipollina e fiore di sambuco in giardiniera. I porri alla brace (“porro tutta la vita, i nostri vengono da Cervere in Piemonte”) sono completati da un “Chimichurri de noantri” con dragoncello menta salvia origano timo e emulsione di acciuga. Anche i friggitelli si esaltano con una salsa al foie gras panna e scamorza. “Miseria e nobiltà, bisogna solo associare. Questa cosa delle consistenze non mi torna. Nel caso gli dai due morsi in più. Come per le persone, devi solo capirle, capirne il carattere, questo è il suo bello”. 

E il bello qui è la mancanza di formalismi. Il locale è piccolo, i tavoli pochi, massimo 12/15 persone, si fa in fretta a socializzare. Intorno al fuoco poi. In questa logica è stata creata la serata del mercoledì: all’ora del tramonto, senza prenotazione, un happy hour a 7 euro. “C’è così tanta bellezza, soprattutto nell’ora magica del tramonto, perché non condividerla? Alla fine, era però talmente condivisa che abbiamo dovuto mettere l’eliminacode come all’Esselunga. Si era venuta a creare questa situazione del mercoledì. Se continui a sognare, ogni giorno è mercoledì. Buon mercoledì, come a mandarsi gli auguri di Natale”. Marketing inconsapevole lo definirebbero i guru. Creare un’abitudine, in questo caso il rituale del mercoledì, per ritrovarsi al tramonto intorno a un falò, un modo per riconnettersi con la natura. 

Chiara e Fabio regalano ciò di cui tutti abbiamo bisogno, la semplicità.

E non è forse vero che la prima regola del marketing è dare alle persone ciò che desiderano nel profondo, saper vedere qualcosa che gli altri non vedono? Una narrazione che funziona. E qui ci siamo. Loro per istinto lo sentono. Le persone hanno bisogno di riconoscersi in un linguaggio, in un gergo, solo così capiscono di far parte di una comunità. A questo in fondo (e inconsapevolmente) servono le liste. A questo servono i tanti oggetti simboli memorie sparsi con sapienza nel locale. Piccole cose che accendono l’anima, come dire, sì, cavolo, è proprio vero, questo mi appartiene. È la community che dà significato all’esperienza.

Anche con il destino Fabio se l’è giocata inconsapevolmente. “Tu sei un cuoco prima di sapere di essere un cuoco”. A fargli questo complimento era stato Diego Rossi, l’inventore di Trippa a Milano. “Non ci conoscevamo ma dopo una cena nel suo ristorante ci siamo messi a chiacchierare e a un certo punto mi ha proposto di fare uno stage. Non vorresti stare un po’ in cucina da me? Chiara all’epoca era mooolto incinta e difficilmente prendo decisioni senza il suo parere. Ma lei era d’accordo e così è andata. Diego ha evidentemente intuito delle potenzialità, è una delle persone più appassionate che conosca. È stato il mio primo maestro, dopo mia moglie, quello che mi ha aperto una visione”. (Chiara’s version: “Aveva bisogno di manodopera”.)

Roberta Pezzella (la sua storia è su Cook_inc. n. 29) gli ha aperto invece la visione del pane. “Il mio primo approccio con la cucina è stato decidere di fare il pane seguendo dei libri che mi aveva regalato Chiara. Il pane non è una cosa scontata, gli devi voler bene, il pane non è forse un fermentato? È la madre di tutti i fermentati. Ricordo Sankt Peders Bageri a Copenaghen una panetteria incredibile. Il mio cuore è un pane. Sto male se in un ristorante non vedo che il pane è fatto in casa. Casser la croûte, rompere la crosta, è un piacere assoluto”. Ed è un piacere assoluto per gli ospiti spalmare su una fetta di pane caldo il paté di fegatini di Fabio, (i fegatini di anatra e coniglio sono messi a crudo in un vaso con aglio timo scalogno, riduzione di vino Nino 2002 di Martina Lusenti, cioccolato Bagai, burro uova, il tutto cotto a bagnomaria e poi frullato) oppure accompagnarlo agli affettati, dalla coppa piacentina (preparata con spezie pugliesi), alla pancetta steccata, al salame, tuti salumi preparati sempre da Varvara ma su una concia stabilita dalla casa. 

Fabio ha un concetto chiaro della sostenibilità. “Deve essere tutto sostenibile ma in primis a livello umano e non perché recuperi i gambi di prezzemolo”. È polemico con la Stella Verde della Michelin: “Le bucce di carota, ma perché?”. L’apertura del sabato e della domenica sera per esempio non sono sostenibili. “Prima viene la famiglia. È una scelta eversiva, queste serate voglio passarle con i miei. Viva la domenica italiana che celebra gaudio e lentezza”. Il lunedì di solito invita gli amici chef a cucinare (un rituale!), “ci smezziamo la roba”. Questo lunedì sarà il turno dell’Agriturismo Il Colmetto in Franciacorta. “La cucina – dice Fabio – è come decidere di entrare in seminario, devi essere consapevole che questa è la tua vita. La vita del ristorante è una vita di merda, da pirati, passa la stessa differenza tra avere o non avere figli, c’è un prima e un dopo. Quando hai fatto un figlio, è possibile che parli solo di bambini. Idem con la cucina: un prima e un dopo. È drammatico, è un viaggio, ma dopo la fatica c’è la magia l’incanto. Tutto si gioca sull’empatia e sull’entusiasmo e sul lavoro di tre persone”. 

E sull’onda di questo richiamo Fabio si fa coinvolgere in tante iniziative. Eccolo a caricare il furgone con la struttura per il barbecue e approdare magari in Francia per dar seguito a un qualche evento intorno al fuoco. “Il mio amico Antoine Isenbrandt di Mare Nostrum (e compagno di Athénaïs di Château de Béru nel cuore dello Chablis), mi aveva invitato a partecipare a Vigneron au potager, un importante salone sui vini naturali, perché serviva una grande griglia. L’evento coinvolge ogni anno chef da tutto il mondo, pizzaioli da Brooklyn, un giro internazionale, tra le robe più hipster che ci siano in giro, e si tiene a Le Doyenné (di cui potete leggere su questo numero) a Saint Vrain, a un’ora a sud di Parigi. Ci torno a grigliare da due anni. Da lì sono stato coinvolto da James e Shaun (gli chef de Le Doyenné, ndr) per cucinare a un matrimonio in uno château in Borgogna. Ho allestito il mio barbecue sotto una pioggia battente, perché non c’è vento o tempesta che possa fermarmi. Ho arrostito tre agnelloni sotto l’acqua. Me la sono cavata alzando il fuoco e usando meno acqua di Lourdes (semplice acqua che di solito usa per inumidire la carne, ndr). È finita con un applauso degli ospiti a questo coglione (io) che è rimasto sei sette ore sotto la pioggia, fumando per l’umidità e con una bottiglia d’acqua a scarpa”.

“Sui vini – spiega Chiara – abbiamo imparato tutto sul campo, proprio attraverso questi contatti e relazioni. Siamo fieri della nostra cantina. Prima avevamo solo vini base piacentini”. Ora la selezione è decisamente più ampia, curata e personale. Ci sono le etichette che non possono mancare, ma anche delle piccole grandi scoperte. E Chiara ha ricevuto i complimenti anche dai più imperturbabili ristoratori. Continua: “Un conoscente francese, tra i più importanti affinatori di formaggi che ha il talento di anticipare le tendenze, ci sta ora preparando una lista di vini sulla Borgogna”. Intanto stappiamo il Lolita di Marco Cordani, un’eccellenza del mondo del vino piacentino (“un personaggio molto riservato ma i suoi vini sono speciali, come il suo Barbera rifermentato”).

Viva la domenica italiana, anzi, in questo caso il mercoledì, pieno di gaudio e leggerezza!

Posto
Italia/Emilia-Romagna/Piacenza
Belrespiro

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