Vedremo che ripercussioni ci saranno nei prossimi mesi (se ce ne saranno), certo è che i The World’s 50 Best Restaurants, per la ristorazione torinese, sono stati preziosi. I cuochi, forse ancor più che i giornalisti, arrivati da ogni parte del mondo per partecipare alla premiazione svoltasi all’Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto hanno, infatti, riempito per tre giorni molti dei bistrot e dei ristoranti più noti della scena cittadina – Scannabue, Consorzio, Magazzino 52, Cambio… – portando entusiasmo, emozione e la consapevolezza che quel riconoscimento e quella stima che spesso arrivano per lo più a livello territoriale e nazionale possono espandersi e andare ben oltre le aspettative. Accanto a questi incontri spontanei, l’organizzazione dei (o della?) 50 Best ne aveva messi in calendario altri, strutturati in cene a quattro mani che vedevano coinvolti alcuni indirizzi torinesi e piemontesi e i cuochi giunti qui perché in una delle prime cento posizioni della lista.
Tra queste ho avuto modo di partecipare all’incontro tra il Ristorante Consorzio e il ristorante fiammingo Willem Hiele, dell’omonimo chef. Due luoghi che guardano alla materia prima e cercano di interpretarla, preservarla e valorizzarla anche nei suoi spigoli. Due cuochi che provengono dai confini sud e nord dell’Europa. Due sguardi abituati al mare come orizzonte: caldo e mutevole quello di Valentina, freddo e piatto quello di Willem. Valentina Chiaramonte lavora a Torino ormai da diversi anni, è siciliana e il suo tocco mediterraneo si fa costantemente sentire attraverso sottili acidità, un uso disinvolto e naturale della frutta a tagliare grassezze o a insistere sulle dolcezze (la sua Animella alla brace servita con frutta, che cambia con le stagioni, è diventato probabilmente il piatto più significativo dell’idea di cucina di Valentina e del Consorzio) e un impiego sapiente di erbe e spezie che aggiungono profondità e balsamicità al morso. Willem Hiele, proviene dai polder a sud di Ostenda e ha mano netta e diretta, straordinaria conoscenza dell’ingrediente e sensibilità nell’aggiungere accenti erbacei e vegetali, sfumature affumicate e graffianti note di brace.
Due cucine in continuità anche se separate da migliaia di chilometri e di tradizioni.
Willem si è presentato con due piatti che insistevano sull’idea di conservare, preservare, godere e nutrire: nature morte, un piatto a base di frutta caduta dagli alberi e alcuni vegetali della tenuta, essiccati e schiacciati in una sorta di salume servito con tocchi freschi, vinaigrette e qualche erba e poi il cappuccino di gamberi, burro e caffè, un piatto che preserva la tradizione dei pescatori dei gamberi a cavallo di Oostduinkerke e uno dei piatti più golosi e soddisfacenti che si possa immaginare, una colazione salata da ultra-campioni, una fetta di pane fritta nel burro, cosparsa di gamberi crudi (qui bianchi del Mediterraneo, nella versione originale grigi del Mare del Nord) da intingere in una ricca tazza di bisque arricchita con caffè.





Valentina, invece, ha da un lato omaggiato la tradizione piemontese con un mirabile vol au vent riempito con una finanziera da manuale, profumata, morbida e giustamente acida e con dei plin al tovagliolo degni delle insegne più storiche della regione e personalizzati da una pasta poco più callosa e spessa del solito che ne mettevano in risalto il ripieno. Dall’altro ha portato la sua capacità di accostare i migliori frutti del momento come in piselli, asparagi e pinoli, un ultimo omaggio alla primavera ormai sepolta dal caldo cocente, e con l’agnello con amarene, gelsi e fiori di finocchietto: cotto alla perfezione, rosa e succoso, completato dall’acidità dei piccoli frutti e dalla balsamicità dei fiori.
Un incontro sincero che ha mostrato, forse più di ogni altra cosa, lo straordinario livello di creatività, tecnica e piacevolezza raggiunto dai bistrot di questa città che ogni tanto si dimentica di essere così bella e così buona.
Infine, un piccolo commento alla lista. L’elemento più evidente è la perdita di centralità dell’Europa che cede posti al Sud America e all’Asia, con un dominio di alcune città, prima tra tutte Bangkok, che da sola conta 6 ristoranti nelle prime 50 posizioni (tanti quanti ne ha l’Italia, che è il Paese nel mondo ad avere più ristoranti in lista, proprio insieme alla Thailandia) e ha piazzato anche l’ingresso più alto in lista con il Potong di Pichaya ‘Pam’ Soontornyanakij (che si è presa anche il controverso premio come migliore chef donna). La vittoria del Maido di Lima (che lo scorso anno era quinto) ha finalmente interrotto l’automatismo che portava il secondo in classifica a vincere, una consuetudine che si era ripetuta nelle ultime cinque edizioni del premio e che aveva fortemente diminuito l’interesse verso la competizione. Chiunque sia stato una volta in prima posizione, è bene ricordarlo, dal 2019 esce dalla lista per entrare in una sorta di hall of fame: una scelta, a mio parere, scellerata che toglie molto alla competizione e cristallizza i primi in un’eterna grandezza che non giova nemmeno a loro.
L’Italia è tornata a farsi notare per quantità di nomi piazzati grazie al rientro in lista de Le Calandre e di Norbert Niederkofler, che è approdato direttamente alla posizione numero 20; tutti hanno guadagnato qualche posizione rispetto all’anno precedente, tranne il Lido 84, che pur confermandosi il più in alto in classifica (16) ha perso due posti. Oltre a questo aspetto più legato alla competizione è interessante notare come l’Italia sia l’unico Paese, insieme alla Spagna e alla Svezia, ad avere ristoranti sparsi in città minori e in piccoli comuni, un dettaglio laterale ma che racconta molto di quanto cambi la geografia della ristorazione a seconda di dove ci si trova.
Come ha notato qualcuno, i nomi dei giovani scarseggiano: un’annotazione giusta, che però, forse, richiederebbe alla 50 Best di fare qualcosa che nemmeno le altre guide, anche le più attente al rinnovamento, sono in grado di fare. Personalmente, infine, trovo che la classifica 50 Best abbia perso il suo senso originario che era non tanto premiare il migliore ristorante al mondo, ma certamente il più influente in quel momento e negli anni a venire.