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Haute osteria
Osterie, la nuova avanguardia
Una delle più importanti case di moda francesi sceglie il Consorzio di Torino per la cena di fine anno. Ospiti i migliori clienti e amici della Maison che si sono lasciati sorprendere da una cucina con sapori decisi e veri.
Foto archivio Cook_inc. di
Davide Dutto
Foto evento cortesia de Il Consorzio
Osterie, la nuova avanguardia
5 minuti

Lo scorso novembre, una delle più antiche e celebri case di moda francesi ha organizzato (come ogni anno) la sua festa di fine anno per i migliori clienti e gli amici. Un grande evento che si svolge nella boutique, nonché quartier generale della maison, nel pieno centro di Parigi. Stavolta, però, le tre cucine professionali allestite per l’occasione tra borse, foulard e gioielli non sarebbero state affidate a un grande ristorante stellato francese, come l’istinto porterebbe a immaginare. La parte gastronomica dell’evento, infatti, era nelle mani di Valentina Chiaramonte, Pietro Vergano e Andrea Gherra, rispettivamente la cuoca e i fondatori del Consorzio di Torino, l’osteria torinese (che abbiamo raccontato sulle pagina di Cook_inc. 33), che ha dato un contributo fondamentale nel determinare i caratteri dell’osteria o trattoria contemporanea. Un luogo informale, dove il territorio e il prodotto contano più della tradizione, dove il vino è per lo più, se non esclusivamente naturale, e dove l’atmosfera è rilassata e la cucina brutale per immediatezza, impiego di tagli e ingredienti non comuni, cotture intense e condimenti profondi e spesso taglienti.

Che cucina e moda dialoghino non è certo una novità. Anzi, molti dei sodalizi di maggior successo degli ultimi anni hanno visto notissime case di haute couture legare il proprio nome ad altrettanto famosi chef – Gucci e Bottura, Bulgari e Romito, Chanel e Ducasse solo per citare i più noti – promuovendo così, anche fuori dal proprio ambito, valori quali l’eccellenza, la creatività, l’eleganza e l’esclusività. In questo caso, va detto che il rapporto con il Consorzio non riguarda un locale pubblico ma un evento privato, un dettaglio importante ma che non rende meno significativa la scelta.

Innanzitutto, per quel che riguarda il ruolo dell’osteria:

trent’anni fa sarebbe stato impensabile che il simbolo della ristorazione più semplice e immediata potesse affiancarsi a uno dei marchi più esclusivi al mondo.

Le osterie però in questo lungo periodo si sono emancipate dall’immagine che le aveva caratterizzate dal Dopoguerra in avanti; in alcuni casi scommettendo proprio su quegli elementi che per molto tempo erano stati considerati dei punti di debolezza – la semplicità, la tradizione, la località dei prodotti – in altri cambiando ed evolvendo pur mantenendo fede ai propri principi e, come ho avuto modo di dire già diverse volte, diventando così vere e proprie avanguardie in ambiti molto concreti quali l’informalità del servizio, la centralità delle materie prime o la scelta di produttori di vino meno noti ma non per questo meno importanti.

La scelta di un nome quale Consorzio, poi, porta con sé valori diversi da quelli che normalmente immaginiamo possano essere promossi dal mondo del lusso, ma che in tempi recenti sono diventati centrali: l’autenticità, la verticalità e la sostenibilità delle scelte, il rigore, il rischio di non piacere a tuttə, l’importanza della scoperta. Va notato che la casa di moda non ha chiesto una versione edulcorata della proposta del ristorante torinese, famoso per i suoi piatti a base di quinto quarto e per la sua carta dei vini intransigente, anzi: “a maggio dello scorso anno, non senza sorpresa, abbiamo ricevuto una mail da parte del brand francese – racconta Pietro Vergano – nella quale si diceva che un paio di settimane più tardi il direttore creativo delle vetrine e alcuni membri del suo staff sarebbero venuti a cena da noi per discutere di un’eventuale collaborazione. Ciò che ci veniva chiesto era coordinare, insieme al più importante catering parigino, una cena per 900-1000 persone che si sarebbe svolta a Parigi e durante la quale avremmo dovuto servire alcuni dei nostri piatti simbolo: trippa di agnello, l’agnolotto gobbo, l’insalata di cervella, il midollo con baccalà… l’obiettivo era molto chiaro: volevano proporre ai migliori clienti e amici una cucina che potesse sorprendere e stupire non con presentazioni millimetriche, ma con sapori decisi e veri”.

Un netto cambio di prospettiva.

Dove prima c’erano foie gras e caviale ora trionfavano filoni, peperoni arrosto e vitello tonnato, nei bicchieri abituati a brindare a chardonnay e pinot nero stavolta ci sarebbero stati barbera, nebbiolo e zibibbo. “Abbiamo fatto diverse prove prima della cena vera e propria. Le prime non erano andate come ci aspettavamo, il catering, infatti, aveva preso un po’ sottogamba i nostri piatti e il risultato dei primi assaggi era particolarmente deludente. Così – ricorda Pietro – io e Valentina avevamo fatto presente che senza un cambio netto non avremmo accettato di andare avanti, una posizione che aveva colpito molto positivamente chi ci aveva coinvolto in questa avventura”. Eccolo un altro elemento che per chi conosce da dentro le osterie è una conferma: la profonda conoscenza e competenza tecnica, la capacità di analisi, la passione per il dettaglio.

“Non abbiamo mai smesso di limare i 35 piatti che sarebbero stati serviti quella sera. Gli ospiti hanno iniziato a sedersi alle 20 e Valentina e io fino a un minuto prima giravamo tra le cucine per assaggiare che tutto fosse a posto. Quando i piatti hanno iniziato a uscire l’impressionante macchina che era stata predisposta per questa serata si è messa in moto e la festa è andata alla grande, al punto che per il Salone del mobile replicheremo l’esperienza a Milano, con una proposta diversa e più piccola, ma che, di nuovo, ci rende felici e orgogliosi”.

Si sono fatte tante analisi su dove stia andando la ristorazione, su quale sia il destino del fine dining e quale sia il ruolo dell’osteria. Questa festa di fine anno non segna certamente la fine di un’epoca o l’inizio di una nuova era, è però un segnale evidente che la percezione sta cambiando. L’informalità dell’accoglienza e il calore del palato stanno avendo la meglio su un servizio formale e freddo; lo stupore non passa più solo per architetture mirabolanti e barocche o per prodotti costosi e standardizzati, ma anche, e forse soprattutto, per sapori e gusti profondi e veri.

Posto
Italia/Piemonte/Torino
Consorzio

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