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Gastronomika 2025: il mondo si ritrova a San Sebastián
Tre giorni di riflessioni sulla rigenerazione della cucina a partire dalla tradizione
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Gastronomika 2025: il mondo si ritrova a San Sebastián
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San Sebastián non ha bisogno di conferme: da sempre è una capitale gastronomica e, dal 6 all’8 ottobre, la città basca è tornata a essere ancora una volta il fulcro di una conversazione globale sulla cucina contemporanea. Tradizione e Rigenerazione è stato il tema di questa 27ª edizione di Gastronomika – il più longevo congresso gastronomico – che ha riunito chef da tutto il mondo per intrecciare memorie, territori e nuove visioni. Un’edizione che ha abbracciato mari, foreste e fiamme, parlando di sostenibilità, rigenerazione marina e tutela dell’ambiente, ma soprattutto ricordando che l’innovazione non nasce dal distacco, ma dal rispetto di ciò che c’è stato.

Lo ha raccontato con semplicità e forza il duo canario padre-figlio Pepe Simancas e Braulio Simancas (El Silbo Gomero, Tenerife), incarnando quella continuità generazionale che dà senso alla parola rigenerazione. Il padre, uomo di mare, ha trascorso la vita tra la pesca, le cucine delle navi da crociera e persino quelle delle petroliere; il figlio oggi prosegue quella tradizione culinaria con uno sguardo nuovo. Il loro intervento è diventato un omaggio da una generazione all’altra: stesse ricette, ricche e speziate, emblematiche della loro isola, ma con spiriti diversi. Piatti nati dalle mani del padre, e del territorio, e reinterpretati dal figlio, simbolo di una cucina che evolve senza mai tradire le proprie radici.

Di isola in isola, Maca de Castro ha parlato del suo ecosistema, quello maiorchino, sottolineando la necessità di rispettare i ritmi naturali, di ridare un senso al calendario culinario per garantire che la creatività culinaria sia sempre fondata sulla sostenibilità e sulla memoria del territorio.

Come ogni anno, gli spagnoli hanno giocato in casa – protagonisti attesi e centrali che non mancano mai come Albert Adrià, Pedro Subijana, o il trio di Disfrutar. Ma, tra loro, Jordi Roca ha firmato uno dei momenti più emotivi del congresso. Con voce flebile – conseguenza della disfonia con cui convive da tempo – ma presenza magnetica, il pasticcere di El Celler de Can Roca ha conquistato l’Auditorium con un viaggio sensoriale tra ricordo, colore ed emozione, evocando l’infanzia attraverso dessert che parlano di gioco e nostalgia: plastilina commestibile, piscine di palline, colori vivaci. Ha ricordato che “I dolci non si imparano, si vivono”.

Quest’anno, forse più che mai, la presenza internazionale è stata significativa. Molti dei cuochi saliti sul palco avevano già respirato l’aria dei Paesi Baschi, spesso passando dalle cucine del Mugaritz di Andoni Luis Aduriz – un vero crocevia di innovazione e formazione.

L’ex Mugaritz giapponese Katsuhito Inoue (Chef’s Table, Kyoto) ha raccontato la sua filosofia ispirata alle 72 stagioni del calendario giapponese, osservando come una pianta fiorisce o come il colore di un frutto cambia. Ha difeso il carbone vegetale, o binchō-tan, definendolo “un interprete spirituale dell’ingrediente”, capace di conferire armonia, consistenza e profondità. Del suo tempo accanto ad Aduriz ha ricordato: “I Paesi Baschi mi hanno insegnato ad apprezzare di più la mia cultura culinaria e a trasmettere la conoscenza”, motivo per cui ha deciso di reinterpretare piatti locali.

Sul medesimo filo si è mosso il brasiliano Rafa Costa e Silva (Lasai**, Rio de Janeiro), ex chef del Mugaritz per cinque anni – “sono venuto per tre mesi, sono rimasto cinque anni” – che ha sottolineato come “la cultura della cucina in Euskadi non si vive, ma si insegna”. Oggi coltiva personalmente ogni prodotto che porta in tavola, un’abitudine nata più di dieci anni fa proprio accanto ad Andoni.

Costa e Silva ha rappresentato il Brasile in questa 27ª edizione insieme a Felipe Bronze (Oro**) e Thomas Troisgros (Oseille*), in qualità di Paese ospite. I Carioca – come si chiamano gli abitanti di Rio de Janeiro – hanno portato la loro anima popolare e festosa con assaggi di pão de queijo, feijoada, picadinho, chuchu con gamberi… Tra samba e sorrisi, hanno ricordato a tutti che la gastronomia è anche festa, condivisione e vita.

C’è stato anche un ritorno carico di significato, ancora dall’America Latina: quello di Mitsuharu “Micha” Tsumura, del ristorante Maido (Lima), oggi numero uno nella classifica The World’s 50 Best Restaurants. Dopo circa quattordici anni, Micha è tornato a San Sebastián – che lui stesso definisce “il tempio della cucina mondiale” – in una veste nuova, più consapevole e matura. Di origini giapponesi, ha difeso il valore della tradizione Nikkei e dell’Amazzonia come pilastri della sua cucina, rendendo omaggio alle cuoche tradizionali di Arequipa e Ayacucho e ricordando che “l’innovazione ha senso solo quando si nutre della memoria”. Anche da “numero uno”, ha lasciato due messaggi importanti: il valore della famiglia – emblema del suo ristorante, ma anche metafora della squadra con cui lavora ogni giorno – e l’idea che non si è mai arrivati. “Il cerchio del nostro logo non si chiude”, ha spiegato, “perché ci sono ancora tante cose da fare.”

Dal Giappone al Brasile, dal Messico alla Svezia, la parola fuoco è tornata più volte, come simbolo di una cucina che guarda avanti restando ancorata all’essenziale. Niklas Ekstedt (Ekstedt*, Stoccolma) ha raccontato del suo locale a Stoccolma, dove cucina a fuoco vivo, sulle orme dei Baschi che ben conosciamo. “Il fuoco non è solo una tecnica,  è un modo di pensare la cucina e di riconnetterci con l’essenziale”. Da undici anni lavora così, da quando, diventato padre, si è trovato a prendersi cura del figlio appena nato. Studioso appassionato, attinge all’archivio letterario di Stoccolma per reinterpretare la tradizione nordica, creando una cucina profondamente territoriale e poetica.

Dal Messico è arrivata la voce della giovanissima Thalía Barrios (Levadura de Olla* e Cocina de Humo, Oaxaca). Originaria di un piccolo villaggio della Sierra Sur con appena ottocento abitanti, Thalía porta con sé la ricchezza delle cucine popolari. Cresciuta accanto al focolare, imparando da bambina a maneggiare la legna e cucinare con le donne della famiglia, è poi partita per studiare cucina – una scelta radicale per la sua comunità – seguendo con determinazione il desiderio di diventare imprenditrice. A soli ventiquattro anni ha aperto il suo primo ristorante, Levadura de Olla, oggi riferimento della nuova cucina oaxaqueña e premiato con una stella Michelin nel 2024.

Come Niklas, per lei il fuoco non serve solo a scaldare, ma a connettere origine ed emozione. Nel suo progetto, il sapere non è proprietà di chi cucina ma patrimonio collettivo: “Non bisogna custodire le ricette, ma trasmetterle”, afferma con determinazione, adottando un principio che nel mondo tech chiamerebbero open source. “Non stiamo cercando di salvare la nostra cucina,” sottolinea, “perché non si è ancora persa.” I suoi piatti, essenziali negli ingredienti, parlano di lentezza e rispetto (basta pensare che solo per scaldare il forno a legna servono cinque ore).

Tra gli italiani, Viviana Varese, ormai di casa a San Sebastián, ha portato sul palco la sua personale rilettura dell’alta cucina aristocratica tra XVI e XVIII secolo, frutto di un’approfondita ricerca storica che oggi riversa nei suoi piatti al ristorante di Passalacqua, sul Lago di Como. Mentre Luigi Pomata ha chiuso il congresso con una riflessione sulla Transumanza e sostenibilità. Figura di riferimento per il tonno rosso nel Mediterraneo, Pomata ha difeso il ritorno a modelli gastronomici fondati su rispetto e riuso, ricordando che la sostenibilità non è una moda, ma una tradizione. “Quando avevamo poco, si valorizzava il meglio; quella lezione oggi è imprescindibile.”

Tradizione e rigenerazione, ancora una volta, non come opposti ma come forze che si alimentano. Gastronomika 2025 lo ha ribadito con lucidità e calore: la cucina è un linguaggio vivo, che unisce tecnica e sostenibilità, radici e futuro.


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