
Uno degli eventi più memorabili del 2022 è stato sicuramente l’European Food Summit a Lubiana in Slovenia tenutosi il primo weekend di novembre. Alla terza edizione – e la mia prima presenza – in pochi riescono a organizzare e soprattutto mettere in scena un evento con la stessa impeccabile organizzazione di tutto il team guidato da Martin Jezeršek con Slovenian Tourism Board. Un programma bello pieno, ma soprattutto un vero viaggio alla scoperta del territorio, con esperienze uniche sia presso ristoranti ormai riconosciuti a livello globale che da giovani chef emergenti sloveni. E il congresso, il Summit, ovviamente: una proposta curiosa, accattivante, interessante e divertente, una difficile combinazione riuscita perfettamente in questa edizione del 2022, dovuta almeno in parte al brillante lavoro dei due co-curatori: la scienziata ed esperta in salute ambientale Dr. Alton Halloran – curatrice dell’agenda mattutina – e il giornalista enogastronomico Andrea Petrini, che ha aperto la sessione pomeridiana coinvolgendo il pubblico in un singolare sing-along.


Il tutto è iniziato con un pranzo a dir poco strepitoso dalla ormai celebrity chef e regina della cucina nazionale, Ana Roš (Best Female Chef 2017 per The World 50 Best Restaurants) dell’ormai famosissimo Hiša Franko (2 stelle Michelin). Personalmente è stato un momento forte ed emotivo, avendo festeggiato il mio compleanno proprio lì dodici anni fa e – seppur siano cambiate tante cose – ho ritrovato la stessa accoglienza in quella casetta rossastra ai piedi dei monti e lungo la strada che porta a Caporetto. Un luogo familiare, caldo e genuino. Arrivando sai già che questo momento ti rimarrà impresso nella memoria per un lungo periodo.

Hiša Franko era avanti già allora. Valter Kramer, l’allora marito e socio di Ana Roš, ci parlava di vini sloveni macerati ai tempi in cui il termine orange non si trovava sulle carte dei vini di ogni nuovo locale hip nelle grandi città. Ana aveva già iniziato il suo percorso di valorizzazione ed elevazione dei prodotti locali che proponeva nella sua cucina, mescolando elementi di tradizione e di innovazione. Perché, come siamo andati a (ri)scoprire nei giorni a seguire, la Slovenia è un paese ricco di natura e non per niente viene chiamato “il cuore verde d’Europa”. Al 60% coperto di foreste – circa 1.2 milioni di ettari – si trova al terzo posto nell’UE, superato solo dalla Svezia e dalla Finlandia. La cacciagione è un elemento molto presente nella cucina locale e ci sono ben 24 regioni gastronomiche e 3 zone vinicole. Un Paese quindi in cui la gastronomia occupa un ruolo importante e sempre più grande, anche se il riconoscimento internazionale è arrivato lentamente (la Guida Michelin, ad esempio, è sbarcata nel 2020).


Il menu degustazione del pranzo da Ana Roš, in gran parte vegetariano, conteneva elementi autunnali – castagne fresche, un tris di zucche e profumatissimi funghi selvatici – combinati in un remix innovativo con influenze estere come l’injera: un pancake fermentato con una consistenza leggermente spugnosa originario dell’Etiopia, dell’Eritrea e di alcune parti del Sudan a base di farina di teff, preparato in questo caso con farina d’orzo tostato e malto d’orzo. Un pasto di oltre dieci portate, con doppio abbinamento (vino e non-alcolico a base di fermentazioni fatte in casa), che ci ha lasciati deliziati, sazi, leggeri e con tanti nuovi ricordi da portare con noi per almeno i prossimi dodici anni. A fine pasto – ormai era buio fuori – ci siamo smistati nelle macchine in direzione della capitale, per continuare il viaggio alla scoperta della Slovenia.

Sabato mattina, ore 10.30, ci siamo radunati per la partenza del Gourmet Ljubljana Crawl, una fusione unica e creativa di cucina, cultura e architettura che svela i tanti volti della capitale culinaria di Lubiana. Proprio come il Pub crawl universitario, ma decisamente con un upgrade, in ogni location storica in giro per la città ci sono stati presentati assaggi preparati da alcune chef dell’associazione Jeunes Restaurateurs Slovenia – protagoniste di questa giornata – abbinati con vini della zona. Troviamo Sara Kavčič del ristorante stellato Gostilna pri Lojzetu, Nina Čarman del ristorante e wine shop Danilo, Patrizia Bevčič del ristorante Rizibizi, Barbara Košir del ristorante stellato Grič (di cui parleremo dopo), Martina Breznik di Hiša Raduha e il dolce di Sabina Repovž dal ristorante Gostilna Repovž.

Un momento per connettere e scambiare idee con colleghi e amici e iniziare a scoprire la città, saltellando e brindando di qua e di là. A seguire una piccola pausa – e per alcuni una pennichella – pomeridiana, per i più resistenti un aperitivo e per tutti lo smistamento nelle diverse macchine per il programma serale. Ci siamo ritrovati poi nel gruppo verde con destinazione Grič, una stella Michelin e una stella verde, a 20 km da Lubiana in cima a una collina nel villaggio di Šentjošt.


Il ristorante Grič – che vuol dire proprio collina in sloveno – della famiglia Košir da generazioni, dal 2009 è gestito dallo chef Luca Košir. La filosofia del posto mette al centro gli ingredienti locali e sostenibili e in gran parte provenienti dal proprio terreno. Definito da alcuni la versione slovena di Fäviken, circondato da boschi e praterie, sono auto-sostenibili all’80% con la verdura, al 50% con la frutta. Ma in questa fattoria non si parla solo di ortaggi: nel 2013 hanno dato il via a un allevamento di anatre che è diventato nello stesso anno il primo a ottenere la certificazione ecologica della Slovenia. Ci sono circa 300 anatre di varietà diverse, alcune sono produttrici di uova, alcune razze sono da carne e altre ancora sono semplicemente apprezzate per la loro bellezza. La stella verde ha il suo perché.


L’interno del ristorante non si dà tante arie. Spartano e accogliente, con tavoli rustici di legno e, bien sûr, niente tovaglie. All’entrata in una sorta di anticamera vicino al bancone, troviamo pochi tavoli illuminati da un lume di candela dove ci si aspetta di incontrare il vicino che è passato a salutare e a farsi un bicchiere dopo una lunga giornata di lavoro. Il menu ricco e ricercato, accompagnato da una bella offerta di vini in gran parte naturali, focalizzata su produttori Sloveni, ma che comprende anche zone limitrofe proponendo ad esempio il produttore Andreas Tscheppe ubicato oltre il confine austriaco. Il servizio di sala è impeccabile, agile e intrattenente, necessario per accompagnare la lunga degustazione. E l’ultima portata, la più memorabile e assai rock ‘n roll: lo Struzzo con carote, di cui avevamo già sentito parlare e che aspettavamo con curiosità.

E così arriviamo al terzo giorno: le escursioni. Stavolta smistata nel gruppo arancione, alla scoperta dei castelli e dei vini della regione Posavje, oggi conosciuta per i suoi vini frizzanti. I castelli, ormai con utilizzi diversi, sono testimonianza di un passato ricco ed eterogeneo. Un paese che la natura ha reso una zona di passaggio perché, con le Alpi come ostacolo, l’unico modo (o almeno il più efficace) per andare dall’Italia alla Croazia è passare dalla Slovenia. Nel tempo conquistata, riconquistata e liberata: a partire dai suoi quasi 1000 anni sotto l’Impero Romano, passata sotto gli Asburgo, alla creazione della Jugoslavia nel primo dopoguerra, fino alla nascita dell’attuale Repubblica di Slovenia nel 1991. Un paese relativamente giovane quindi, ma che porta con sé un ricco bagaglio culturale misto, risultato di tutte queste contaminazioni che hanno lasciato un segno. Come, ad esempio, i monaci trappisti francesi che si installarono nel castello di Rajhenburg alla fine del 19esimo secolo. Si dedicarono alla produzione agricola, importando tecniche e macchinari dalla Francia e furono i primi a creare una produzione industriale di cioccolata in Slovenia, esportando anche alla corte austriaca.


Questa straordinaria giornata alla scoperta di Posavje, guidati dall’indimenticabile Petra, puntellata da degustazioni di vini e di prodotti locali, si conclude con una cena a Ošterija Debeluh dello chef Jure Tomič, ristorante di famiglia che ha aperto questa domenica di novembre solo per noi. Ma prima ancora della cena, un’ultima degustazione memorabile da David Lesar dell’azienda BioSing: un ragazzo giovane, sorridente e dall’aria spensierata, con una grande passione per la sua arte che traspare da come parla, nonostante il suo inglese maccheronico. Originario della regione di Ribnica, dove perdura una tradizione secolare di lavorazione della legna, pure lui si sente artigiano, ma della carne. Utilizzando antiche tecniche di stagionatura – senza l’uso di additivi e conservanti, macinando tutto a mano per non perdere aromi primari – crea salumi di altissimo livello a base di maiale, cervo e anche di orso. Non sapevo quanto mi piacesse il salame d’orso prima di assaggiare quello di David.

Il tema dell’EU Food Summit 2022 era ambizioso: Food for Future’s Good (Cibo per il bene futuro); ambizioso ed estremamente attuale. Infatti, a oggi, si parla molto di sostenibilità in ambito agroalimentare: di consumo responsabile, di riduzione dello spreco e della transizione a sistemi di produzione olistici e rigenerativi che rientrano nei confini planetari. Quindi guardando avanti al futuro del cibo e al nostro modo di produrre e di consumare, a cosa dobbiamo pensare?

Martin Jezeršek ha aperto questo Summit presentando un’idea innovativa: The Common-Sensitarian Diet Manifesto, ovvero la dieta del buon senso, creata insieme a un gruppo di esperti e scienziati e al dream team dell’evento, Ana Roš e il duo Halloran-Petrini. A differenza di altre iniziative, questo manifesto non detta cosa mangiare o cosa non mangiare. Tutto il contrario: propone una mentalità, una visione, che aiuti a sviluppare un atteggiamento positivo nei confronti del cibo e che renda consapevoli delle implicazioni morali delle scelte alimentari. Batte quindi l’accento sulla libertà individuale di scelta e di azione, in base a una conoscenza e a una consapevolezza del cibo che mangiamo tutti i giorni. Consente indulgenze alimentari occasionali perché, non ci prendiamo in giro, le facciamo tutti, ma aiuta a indirizzarsi verso scelte più responsabili sia per l’ambiente e la società che per noi stessi.

E quindi come diventiamo una società che consuma in modo consapevole? Ne hanno parlato in una tavola rotonda Dr. Afton Halloran, Andrea Petrini, Ana Roš, Martin Jezeršek, e Marleen Onwezen, mediati da Dr. Adirana Rejc Buhovac. La vera potenza di questo approccio, dice Halloran, è che la “dieta” non è dogmatica, non spinge a mantenersi a regole rigide come le diete vegetariane o vegane, a tal punto che quasi non la definirei una dieta. Invece, suggerisce di assumere atteggiamenti positivi e di rispetto verso il cibo con una mente aperta e in maniera olistica. Ma la difficoltà di una qualsiasi nuova strategia non è la concettualizzazione in sé, è la messa in pratica.

Per farlo, dice Martin, sarà fondamentale includere tutti: chef, scienziati ed esperti, dottori, entità pubbliche e figure politiche. La bella sorpresa è arrivata a fine Summit, come la ciliegina sulla torta, con un intervento da parte del Premier sloveno Robert Golob, in carica da meno di sei mesi, in una conversazione aperta con Ana Roš sulla dieta del buon senso. Una mossa estremamente significativa, che evidenzia quanto la Slovenia stia mettendo in primo piano non solo il ricco panorama gastronomico ma anche i valori di produzione e consumo sostenibile e di salvaguardia del territorio. Sarà interessante vedere cosa succederà nei prossimi anni.

La sessione pomeridiana è iniziata in stile, come accennato precedentemente, con l’orchestrazione da parte di Andrea Petrini di un vero e proprio sing-along, con un microfono che gira tra le prime file e alcune voci timide che si azzardano a cantare “A spoken word is never lost”.

Un programma più artistico e tuttavia serio e pieno di contenuti, con la prima sessione che ha affrontato il tema dell’appropriazione culturale in una tavola rotonda con Mory Sacko del ristorante MoSuke, di base a Parigi e con influenze sia africane che asiatiche nella sua cucina, e Santiago Lastra del ristorante KOL, che propone una cucina messicana a Londra utilizzando tecniche tradizionali ma con un focus su prodotti locali britannici.

Tornando alla musica, il programma è continuato con il berlinese Christof Ellinghaus, proprietario del ristorante stellato (ex enoteca) Cordo e anche della casa discografica City Slang (perché chi più ne ha più ne metta), che ci parla dell’importanza della musica nei ristoranti. In una divertentissima presentazione – che prende gentilmente di mira Hiša Franko – ci spiega quanto questo aspetto della ristorazione sia al momento trascurato e quanto possa essere problematico. Perché un’esperienza fine dining è sensoriale per definizione e se uno dei sensi non è ben curato (in questo caso l’udito), va a interferire nell’esperienza totale. Parole sante.


E ancora un panel sul vino, tutto al femminile: Mateja Gravner dell’omonima azienda, Laura Avogadro di Collobiano della Tenuta Valgiano, e Chiara De Iulis Pepe dell’azienda Emidio Pepe. Parlano dei loro vini e di vino naturale, senza doverlo chiamare tale perché il vino è natura; ce lo siamo solo scordati negli anni con la standardizzazione dei processi di lavorazione e con la grande industria. Donne che personificano e vivono appieno questa filosofia di rispetto e ascolto della natura, totalmente in linea con il tema del buon senso di questo Summit.


E per finire in bellezza questo recap dell’EU Summit 2022, non possiamo non parlare della magnetica Adahlia Cole. Ex accompagnatrice professionale, amante del cibo e fotografa, ci racconta delle sue esperienze nel settore gastronomico statunitense, definendo l’accompagnamento professionale come la seconda linea di professionisti dell’ospitalità. Persone che, a sua dimostrazione, hanno una grande conoscenza del settore e delle dinamiche; e hanno anche un grande potere di influenzare e quindi sono meritevoli dello stesso rispetto che diamo a un cameriere o altro professionista. Una donna visibilmente coraggiosa, forte e bella che parla apertamente di tabù e ci racconta cosa – per lei – definisce un ristorante “shaggable”.

Un European Food Summit a dir poco intrigante, interessante, diverso e stimolante. Con nuove idee e conoscenze da portare via e una rinnovata prospettiva su come possiamo iniziare ad agire oggi nel nostro piccolo per assicurare che il cibo rimanga una forza positiva per il futuro di tutti, Food for Future’s Good.