Reportage
fusione ligure
Duo is meglio che one
Il mondo di Lucia De Prai e Marco Primiceri a Chiavari
Da Cook_inc N. 28
Duo is meglio che one
14 minuti

La sveglia gelida e pungente delle 5:30 rimbomba col freddo becco che scolpisce le coste di Chiavari. È la Liguria riservata e generosa del Golfo del Tigullio che ci chiama lesta all’appello con l’oro in bocca. Scaraventando giù dal letto me e Gabriele – il fotografo – con le cavità papillari decisamente meno scintillanti del mattino. Sgualciti come l’outfit da gita in barca che indossiamo in fretta e furia, a mo’ di una buffa coppia di marinai improvvisati. Le nostre facce appaiate non promettono bene, ma c’è del fermento scandito nelle ore piccole dell’orologio, perché un’altra coppia – molto meglio assortita di noi – sta venendo a caricarci per salpare dal porto di Sestri Levante. Loro sono Marco Primiceri e Lucia De Prai: romana lei, piemontese lui, insieme affiatati compagni di vita e lavoro. Sul come, quando e perché hanno eletto in tandem questi lidi come fulcro professionale ci arriveremo più avanti. Per ora vi dico già che più che coppia è meglio chiamarli Duo. Questo è infatti il nome che hanno scelto per l’insegna del loro ristorante, proprio qui a Chiavari, nel lembo gentile e prospero dell’East Coast ligure. Duo però è anche un assioma di scelte esistenziali, di un caparbio coraggio imprenditoriale. Di passioni condivise, percorsi speculari e legami saldi. Non solo lungo la scala sentimentale eretta tra i due giovani cuochi, ma anche con ogni particella artigiana dell’ecosistema di questa terra. Il luogo che hanno individuato e voluto render casa&bottega a tutti i costi. Incastri complementari e spontanei affiorano nitidi durante il tragitto verso il peschereccio di Angelo Ciotoli: lo stoico capitano che, oltre a guidarci in una battuta di pesca giustificando ampiamente la nostra alzataccia, gestisce il grazioso Bistromare in quel di Sestri, affiancandogli una circoscritta produzione di vino naturale alle Cinque Terre. Eroiche realtà territoriali che piacciono al nostro bis di protagonisti.

Nell’auto Lucia rimprovera bonariamente Marco per non aver provveduto alla fornitura mattutina di caffè, alternando entusiasmo e favella scalpitante rivolta all’esperienza marinara che ci attende. Ci sorride su, con sagace auto-ironia, mentre si battezza “la precisina” del Duo. Lui invece resta silente, pacioso e accomodante, rimediando alla mancata dose di caffeina con una breve (ma intensa) passeggiata lungo la Baia del Silenzio, quando la scala cromatica dell’alba è ancora ribollente di pantoni caldi ed estatici come non mai. Di fronte alla vista mozzafiato i due si avvinghiano in un abbraccio e si rigenerano di amorevoli intenti per l’avventura in mare aperto.

Eccoli Marco e Lucia: diversi ma affini e fortificati in chiave elettiva.

Lei regge l’itinere delle due calate di reti in barca con estrema nonchalance, interagendo partecipe e iperattiva con ogni movimento o nozione concessa da Angelo. Mentre lui cede alle molestie dispettose del mal di mare, pietrificato sulla prua, col malandato sottoscritto a fargli compagnia nei tumulti della nausea. Eppure, l’armonia domina la loro complice intesa come una preziosa costante. Basta la ripresa d’attenzione comune diretta al tutorial galleggiante del capitano – su come affumica il pesce con metrica homemade per il suo localino – per far recuperare i sensi a Marco, grazie alla Coca-Cola di pronto soccorso allungata dalla sua dolce metà. 

Il bottino del pescato non è dei più floridi forse – tra saraghi, ostrichette e aragostelle che profumano di iodio – ma i due emanano una gioia attitudinale contagiosa per qualsiasi gesto sappia raccontare il patrimonio gastro-culturale ligure. Non a caso, ci vuol poco a fargli improvvisare una digressione verso la loro versione prediletta di focaccia genovese. Fuga nei volumi unti, bollati e libidinosi dell’Antico Forno Sanguineti di Lavagna, mentre un neofita come me pende commosso dai loro aneddoti (e dagli alveoli grondanti olio) sul come riconoscere una fügassa realizzata a mestiere. “Vedi la superficie deve esser ben dorata, croccante, ma non troppo brunita. Con la salamoia distribuita uniformemente – spiegano – gli occhietti infossati nell’impasto dai polpastrelli devono sembrare un po’ crudini solo in apparenza. Qui dentro quando ci affondi i denti o ci si inzuppa il cappuccino raggiungi la vera estasi”. Godo in “duo tempi”, nell’ascoltarli e nel polverizzare il parallelepipedo di focaccia. Ma come si giustifica l’attaccamento viscerale alla Liguria di questi due pseudo-forestieri? Beh, cominciamo col dire che una connessione territoriale già esisteva dal fronte di Marco, le cui radici familiari in parte affondano proprio qui. E poi? Poi c’è stato il colpo di fulmine comune nel ritrovarsi a Chiavari e sancirla quale luogo irremovibile per la loro attività, solo dopo un copioso percorso formativo ingaggiato su poli distanti ma vicini. Un po’ come, ahimè, ci obbliga a vivere questo periodo segnato dalla pandemia. Perché i ragazzi, anche se lo sbandierano poco, hanno galoppato parecchio in cucine importanti prima di lanciarsi nel passo individuale. Con le idee quasi sempre nitide, razionali e dirette, molto più di tanti loro coetanei (in “duo” sfiorano appena i 30 anni a testa).

Lo evidenzia bene Lucia, che dagli studi in Giurisprudenza nel parterre capitolino, ha sfruttato un corso di cucina professionale per poi investire ogni grammo delle sue energie verso qualsivoglia esperienza di crescita che sentiva aderente al suo profilo: il Metamorfosi di Roy Caceres; il maestro Paco Torreblanca in Spagna (perché il richiamo dell’arte bianca l’ha sempre identificato come un valore aggiunto da affinare) e la digressione ispanica d’autore presso il ristorante di Quique Dacosta. Marco invece, rimbalza dall’ITIS a una gavetta molto più old school nel ventre di pizzerie, hotellerie a Courmayeur e poi l’upgrade passionale verso il fine dining dei suoi primi mentori: Pietro Leemann, Martín Berasategui ed Enrico Bartolini ai tempi del Devero. Fin qui nessun contatto, ma mentre Lucia consolida il suo ruolo da Quique in circa 5 anni – svolazzando infatuata tra aste del pesce, manodopera tecnica e un improvement molecolare – Marco irrompe a gamba tesa come stagista e lascia fioccare una nuova scintilla tra i Duo. Semplice, nonché bello, appurare quanto la componente umana/sentimentale sia la forza motrice onnipresente nei loro percorsi di coppia. Dal passato al presente/futuro. Tornati in Italia, condividono ancora le stufe all’Antica Corona Reale di Cervere in Piemonte. “Realtà iper-classica e inossidabile – ricorda Lucia – che non rappresenta più il mio modello di cucina, ma dove tornerei a mangiare in eterno da cliente”. 

Poi, le sorti del fato li conducono a Genova per un progetto che non trova sbocchi, se non quello ben più produttivo di riaccendere l’innamoramento nei confini liguri: questa volta per uno spazio nel centro storico di Chiavari. Dopo mesi di pellegrinaggio a caccia di un locale idoneo, infatti, è stata l’ex Tipografia Colombo a stregargli il cuore. Un contenitore che, da negozio di carta dismesso, ha concesso nuova carta bianca al Duo per materializzare pezzo per pezzo il proprio sogno. Circa 200 mq, incorniciati tra soffitti a volta di pietra, mattoni grezzi e pavimenti in ardesia naturale. Un retrobottega che da post-decadente blocco di cemento è stato (ri)plasmato in un’ampia e suggestiva cucina a vista che oggi domina il ristorante. Dando sfogo a un approccio multidirezionale perpetuato nella costruzione fisica/filosofica della propria identità: cura maniacale del dettaglio e dell’ospite, srotolata in mood di assoluta immediatezza e plasticità. Ed ecco che le sale hanno preso calore e luce attraverso i tavoli realizzati dal papà di Marco e tanti oggetti, mobili d’arredamento recuperati tra mercatini vintage e artigiani del circondario.

Nulla dato per scontato, se non la volontà propulsiva di fondersi col territorio ligure e nobilitarne ogni sfumatura meritevole

alcuni piatti confezionati da una signora di Sarzana (Liguria orientale) con la tecnica di imprimere tessuti, foglie e rami nella forma delle ceramiche stesse. Altri supporti e bicchieri invece modellati a mano da un’altra radiosa coppia di ceramisti di Camogli (fatalità delle fatalità, anche loro con un passato ai fornelli). 

Proprio con gli artigiani di Cham Ceramica – Alessandra Mozzi e Henrik Claesson – il Duo ha ideato una serie di stoviglie recuperando gli scarti dei gusci di cozze, mitili e ostriche locali. O ancora re-impastando le argille di Rapallo secondo volumetrie di grande impatto visivo e tattile. “Abbiamo cercato fin da subito l’unicità che ci rappresentasse e distinguesse in questa sfida personale, ma senza rincorrere a ostentazioni o tentativi di stupire” spiega Lucia. “Per noi era ed è importante raccontarci attraverso qualsiasi utensile, pensiero o sapore che attraversa la tavola. Non potevamo escogitare mezzo migliore per farlo se non partendo proprio dalle risorse di un territorio che sentiamo molto nostro, ma che per varie vicissitudini storiche e culturali è spesso rimasto inosservato dal lato gastronomico”. Coniano così, sul medesimo filone espressivo, il loro “Chilometro Duo”. Ovvero l’intuizione di poter tessere una filiera artigianale con produttori di zona, senza limiti ristretti o etichettabili. Assecondando piuttosto i propri gusti e le suggestioni emotive che li hanno da sempre guidati e uniti nel lavoro. 

“Dopo tante esperienze blasonate nel fine dining e nella cucina concettuale, altamente tecnica, è stato un impulso necessario quello di spostarci verso una lettura più istintiva, concreta e riconoscibile” approfondisce Marco. “Non che quel metro ci provochi repulsione oggi. Tutt’altro, resta impresso con orgoglio nelle basi di quel che facciamo ogni giorno, ma l’esigenza primaria era quella di stringere un contatto più genuino con il cliente e con noi stessi. Restaurando piatti tradizionali, usi, costumi e storie culinarie dismesse. Sia della cucina ligure che di quella italiana in senso più ampio e contaminato. D’altronde la Liguria si nutre di influenze meticce da secoli grazie al suo sbocco verso il mare, convogliando miriadi di culture diverse. Solcando questa linea, anche i prodotti che manipoliamo assumono un gusto internazionale pur provenendo per la maggior parte da qui”.

Valori lodevoli da impiattare e una capacità di fare sistema che neanche le rogne burocratiche o la quarantena sono riuscite a scalfire: prima tamponando l’attesa prolungata dell’inaugurazione con un pop-up nel cucinotto del vicino bar Casa Gotuzzo 1652; poi investendo il tempo cristallizzato del primo lockdown per studiare il proprio IO e aizzare nuovi stimoli anche nel focolare domestico. Ce lo confida Lucia, mentre siamo ospiti a casa del Duo, banchettando (tra l’altro) con il delivery di un’altra realtà filo-romana adottata dal suolo ligure, quella dell’Agriturismo Il Castagneto di Castiglione Chiavarese (il mio orgoglio capitolino palpita). Tra qualche supplì intruso, baccalà brandacujun e l’outing goliardico della chef sulla perversione per il Crispy McBacon®, ci svela che proprio durante il primo allarme Covid ha sperimentato e appreso la gestione del lievito naturale per il suo pane. E che pane, aggiungo io! Quello che ci accoglie, insieme ad assuefacenti grissini al burro, nella nostra esperienza presso il tavolone conviviale del loro elegante ristoro. In logica compartir, perché i rimandi spagnoleggianti non vengono affatto celati, piombano parate di snack e lievitati dalla godibilità sconcertante: le Ciuccia anciôe, cialdine con acciughe alla sardenaira; i Frisceau (frittelle) gravide di brandacujun in forma liquida/esplosiva; le soffici Manene (antenate della fügassa) di farina di mais e patate, con la versione reloaded della agiadda (AKA salsa d’aglio confittato e aceto). Poi una Razza intera fritta a puntino, droppata in drogosa maionese handmade d’accompagnamento: pesce povero per antonomasia, spesso rilasciato in mare dai pescatori stessi, che qui indossa indumenti regali, crunchy e polposi a non finire. Ci sono il pan brioche e la focaccia di Lucia che depistano i nostri sensi in un’overdose famelica di carboidrato. “Non è ancora al livello che voglio io” evidenzia lei. Ma io suggerisco che è talmente buona da “andarci a rota”, punzecchiando la sua romanità.

Riconnettendoci al terroir, arriva un omaggio alla difesa della baia di Tellaro durante l’antico attacco dei saraceni, ove folklore narra che fu un polpo a suonare la campana di allarme. Il Duo traduce questo tema di fusione ligure tra terra, mare e Oriente, senza alcun conflitto di sapori però: cefalopode dal timbro nerboruto al curry, acqua di cavolo viola speziata, salsa allo zenzero e un pizzico di Roma con puntarelle, olio e sale a far da piedistallo. La sublimazione storica accompagna la genesi dei piatti senza mai scadere in cantilene ingombranti, piuttosto propagando lo spessore del gusto: così il tributo alla produzione di carta locals only si trasfigura in cartacee sfoglie di mela in pluri-consistenze (anche in sorbetto) a sormontare fenomenali Trippette di baccalà cotte al giusto grado di callo e collagene. Strizzando l’occhio nuovamente a un’insalata di nervetti romanesca, perché lo zampino di Lucia dialoga puntualmente alla grande con le ricette di Marco.

L’iconico Minestrone di verdure al pesto – servito in una zuppiera (xiatta) dal toccante appeal casalingo – trova mordente nella cottura dei vegetali nell’acqua di mare, rispettando per ogni ortaggio il punto millimetrico di texture e turgore linfatico. Esaltazione veg-classicheggiante che prosegue in foggia evoluta nel Risotto al cavolo broccolo di Lavagna con patata quarantina. Un po’ per onorare un altro tipicissimo piatto di cavolo e patate cotte sulla stufa in legno, un po’ perché esprime un debole non vezzoso dei ragazzi per il comparto vegetale. Tanto da aver tirato su anche un piccolo orto che in futuro farà da fonte di auto-provvigione. Nonostante le origini umili della ricetta, il riso si mostra clamoroso all’assaggio. Con i chicchi al dente pervasi da un sottile allungo affumicato e dall’alchemico scambio tra tubero cremoso, crocifera amaricante e cipolla in agro. Chapeau!

In un circuito degustativo a ciclo chiuso, l’amore sbocciato in Spagna ritorna protagonista nel finale: prima nella salsa aioli che drappeggia in stampo damascato la Triglia con rafano e cima di rapa. Poi nel primo dolce estatico di Lucia. Pur completandosi ai fuochi, è infatti lei l’addetta alla pasticceria delle meraviglie del Duo: una Torrija ispanica (french toast con base pan brioche homemade ripassato al burro) sprintata da un setoso mantecato al torrone di Jijona che strappa più di una lacrima di goduria, per consistenza, esecuzione e ricchezza papillare. Non sono da meno l’evocativo sorbetto Neve a base di litchi e St. Germain; il delizioso Gelato al miele di castagno (da micro-produzione autoctona, legata alla Cook_inc. Family) con uva al Vermentino e caramello salato al rosmarino. O il tripudio conclusivo del Pane & cioccolato inverso “come lo mangerei io” (ovvero la nostra portentosa pastry chef): gelato di pane su lastra di cioccolato soffiato, fior di sale, lievito madre essiccato e olio ligure. BOOM! Se avete ancora dubbi, o addizione glicemica, provate a commissionare a Lucia una delle sue tante formidabili crostate che sforna a ripetizione. La renderete doppiamente felice, perché uno dei suoi prossimi sogni/progetti nel cassetto è quello di affiancare al Duo un atelier focalizzato sul versante dolciario. Stay Tuned. Tornando al nostro menu, merita un “duoppio” applauso perché strabuzzo gli occhi quando Marco confida che quasi tutti i piatti sono stati improvvisati il giorno stesso della nostra visita.

“Funziona così, ci lasciamo ispirare dall’ingrediente, dall’estro del momento e dall’appetito che in empatia simultanea condividiamo con il cliente”

afferma con fare pacato e sornione. “È anche questa la ricchezza, in rima alla possibilità, che il luogo che abbiamo scelto riesce a donarci”. 

Cavalcando questo flusso in devozione regionale, l’epilogo del nostro viaggio non poteva trovar attracco migliore che in una tavolata conclusiva a La Brinca: baluardo ristorativo dell’entroterra ligure, ove i gemelli Matteo & Simone (sala e cucina) stanno riscrivendo una storia che è già leggenda. Incisa tramite ricerca, autoproduzione e qualità dal nucleo familiare dei fratelli Sergio e Roberto Circella, coadiuvati dall’infaticabile “mamma” Franca e da Pierangela. Una realtà che merita di esser relazionata in altre pagine digitali di questo magazine e che si erge da palcoscenico finale per un’ode di liguritudine in slanciato simposio col Duo.

Marco tenta di convogliare l’intero menu in un’unica ordinazione, mentre la cucina di Simone e le chicche enologiche di Matteo ci infatuano le papille tra vini da campionato; Testaieu al pesto di mortaio; Lattughine ripiene in brodo; Corzetti; Fritto Misto alla genovese. La coppia di ragazzi sprigiona vette di giovialità e tenerezza, divulgando tutta la passione per il patrimonio di queste terre anche soltanto mangiando e discorrendo insieme a noi. Quasi come fosse una comune dote predestinata la loro. E all’ilare frecciatina che scocca Lucia, sul poter camuffare al bisogno il suo tatuaggio – con impresso DUO (logo) – locale – non riusciamo proprio a crederci. Perché due cose abbiamo appreso in questa full immersion territoriale: in Liguria l’enogastronomia viaggia col vento in poppa e il Duo è sempre meglio che one!

Posto
Ristorante Duo

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