-“Ué! Che state facenno? E ffaciteme assaggia’ pure a mme. Tu che tiene?
-“Io? Niente! ‘A verite sta guantiera? Era piena di babbà… Appena song’asciuta, ddoie o tre signore hanno fatto na maronn’ ‘e menata ‘e capa… e s’hanno strafucato tuttecosa!”
-“ Sti signure! Pare ca schifan’ ‘o munno! Ma quanno se tratta ‘e magna’, nun ce stanno pizze, pastiere e strangulaprievete ca ce abbastano… Teneno na famma, ca pe’ ppoco nun se magnano pure a nnuie cu tutt’ ‘e guantiere!”
La Gatta Cenerentola – Roberto De Simone
Ti accoglie sbracciando con invidiabile compostezza. Mentre scarica vagonate di pescato dai profumi e colori lucenti. Pronto a essere esposto in bella vista all’ingresso del suo locale. È un fiume in piena, Torrente Pasquale. Romantico, teatrale e dissacrante, ma anche meditativo e raffinato quando il momento è propizio. Proprio come le opere di De Simone, che ama tanto. Figlio devoto della sua terra – Cetara – e cittadino del mondo. Ma non ha bisogno neanche di evidenziarlo. Come ogni altro frammento della sua scoppiettante personalità.


Pasquale, Zio Pas per gli amici, ti avvolge e travolge come un tornado. Dribblando ogni tentativo di metterlo a nudo. Non è necessario, perché lui è così come lo vedi. Già nudo e crudo di natura. Interpretabile tra sguardi, silenzi e battute. Tratti dialettali che si intersecano al suo profilo colto, sagace, di cuoco e uomo navigato. Lo osservi mentre amministra ordini al telefono, seleziona il pesce con sensibilità inestimabile dai suoi amici pescatori. Mentre coordina il servizio ai fornelli con inflessibile serietà. Pochi minuti dopo, passeggia in strada, scherzando al bar con una frotta di anziani del paese. O tira due calci al pallone, in compagnia dei bambini nella piazzetta antistante al suo Convento: prezioso avamposto di cucina tradizionale, che narra ricette, usanze e cultura di questo suggestivo spicchio di costiera. Bastano le poche anime dell’arroccata cittadina di mare, le scalette in pietra e gli antichi palazzi dalle tinte accese per comprendere il suo percorso. Una storia densa e pulsante, che parte proprio dal balcone della casupola posta alla sponda opposta del ristorante Al Convento. Lì il nostro Pasquale ha mosso i primi passi, con il sogno di diventare giornalista ancor prima di cuciniere. Ora dallo stesso balcone, all’ora di pranzo, è mamma Gilda – cuoca di prim’ordine – che si affaccia per richiamarlo all’ordine, nella sua dimensione casalinga. Ricondurlo alle radici che Pasquale proprio non vuole abbandonare. Per fortuna. Perché sedere a tavola di sua madre è una formidabile immersione nell’intimità culinaria di Torrente. Un trattato gastronomico di questi lidi nella veste più sincera e cristallina. Lei, donna forte dal tocco generoso, che ancora trova la carica emotiva per spadellare i piatti simbolo che hanno scandito gli albori del ristorante. Come le penne a candela di struggente bontà, condite con fagiolini, aglio e pomodoro. O le alici fresche “a piattella”, appena toccate dal bollore dell’acqua, disposte sul piatto a raggera con limone, prezzemolo e aceto. Sensazioni paradisiache, per noi che abbiamo l’onore di inforchettare questi segmenti di storia, conversando in un’atmosfera unica. Mentre Gaetano, padre di Pasquale, lascia affiorare i ricordi di come tutto ha avuto inizio. Della perseveranza e dei sacrifici messi in conto nel 1969, per riabilitare l’ex chiostro del ‘600 – il Convento – tramutandolo in un circolo sportivo popolare, che sfornava qualsiasi leccornia contemplabile dall’immaginario comune degli avventori del paese.
“Non ci facevamo mancare nulla”
racconta Gaetano “Dalle zeppole e i cornetti fatti in casa per la colazione, alle pizzette per la merenda e qualche piatto caldo su richiesta. Provammo a fare anche il gelato per accontentare i golosi di turno. Era un contesto sociale, aperto al convivio, ma non ancora un vero e proprio ristorante”. La risposta della clientela nella piccola Cetara supera poi rapidamente le aspettative, così Al Convento vive la sua prima trasformazione in rosticceria e pizzeria, al ritmo delle ricette amorevoli e confortanti di mamma Gilda. Un passaggio che rende il locale un punto di riferimento per le famiglie locali. Ritrovo dal respiro collettivo. “La colatura la facevo io” ricorda Gilda “Cinquanta casse di alici al giorno. Un lavorone, ma la gente era felice. Questo valeva più di tutto. Ho visto bambini crescere e diventare genitori, mangiando i piatti che preparavamo. Generazioni intere. Prima quasi nessuno parlava di spaghetti alla colatura, perché era una tradizione dei pescatori, che io avevo sempre visto realizzare in casa. Le ricette semplici, se fatte bene con gli ingredienti giusti, sono quelle che danno maggiore soddisfazione al cuore”.


A metà degli anni ’80 fa il suo ingresso il nostro caro Pasquale. Figlio giramondo, dall’energia incontenibile. Con lui lo spazio si converte in un vero e proprio ristorante, che però dialoga con l’ospite come un’autentica osteria. Di quegli esordi, vissuti con passione, Torrente conserva ancora il carattere ribelle, che lo ritraeva con in tasca una copia di Lotta Continua e in testa le canzoni libertine di Bob Marley e di alcuni gruppi rock-progressive. Un cuoco dallo spirito pepato e rivoluzionario, che ha saputo vivere e interpretare in punta di piedi le tradizioni di mamma e papà. Senza mai alterare i valori fondamentali della cucina di territorio. Non c’è da stupirsi infatti, se ancora tutto si riassume fluidamente nell’attuale forma del Convento.
Quell’attitudine trasmessa coerentemente, in eredità familiare, al passo di condivisione sociale e popolarità aitante. Stabile in prima linea, come tratto identitario inalterabile da salvaguardare con orgoglio.
Quell’attitudine trasmessa coerentemente, in eredità familiare, al passo di condivisione sociale e popolarità aitante. Stabile in prima linea, come tratto identitario inalterabile da salvaguardare con orgoglio. “Ancora penso a fare capitale per ridistribuirlo. Marxismo 2.0” scherza Pasquale “Il ristorante è un impegno sociale. La mia è una trattoria sociale, perché lavoro con 70 famiglie, che vivono e sudano insieme a me ogni giorno. Non posso e non voglio smettere di vederla in questo modo. E quando borbottano se non mi trovano Al Convento, io non mi arrabbio neanche più. Non capiscono che per me curare situazioni all’esterno da Cetara è un aspetto fondamentale per far star bene i miei collaboratori. Io non posso fermarmi e continuo a investire dentro e fuori alla struttura, perché credo in questi valori”.

Provoca, gioca e argomenta con dialettica affilata. Non lo plachi facilmente. Agli occhi di molti Torrente è il cuoco che “ce l’ha fatta”. Vuoi per la partnership con Eataly, per l’esplosione mediatica consolidata negli anni, per le aperture di locali proiettate in successione in Italia o all’estero. Questi traguardi, per chi nutre un po’ di invidia superficiale, non sono semplici da mandar giù. Ma se è vero che – come lui stesso suggerisce – c’è sempre un po’ di sano ego a muovere le scelte dei cuochi, è altrettanto evidente come per Pasquale sia fondamentale preservare un profilo etico, rispettoso e morale. Per chi siede alla sua tavola – ormai sempre più affollata da clienti di tutto il mondo – e anche per chi lo accompagna quotidianamente nella rotta professionale che continua a solcare impavido.
È da questa missione filosofica, promossa in divenire, che si affaccia la volontà di rinfrescare l’ambiente e l’offerta del ristorante. Andare avanti, ma guardandosi indietro.
In un genuino e sentito ritorno alle origini che celebra convivialità, piacevolezza e una spigliata interazione con il servizio. Quest’anno il prode Torrente ha rimesso mano agli spazi del suo locale, in una visione più luminosa e agevole. Senza stravolgerne il significato, ma andando a riscoprire gesti, momenti e ritualità di una trattoria vera e senza tempo. Dai muri antichi che circoscrivevano le cucine, sono state ricavate ampie finestre che invitano i clienti ad affacciarsi per partecipare emotivamente alla danza dei cuochi in azione. Le partite sono più ampie, divise comodamente in categorie, dalla brace all’angolo della celebre frittura. Terminando con un nuovo forno fiammante, per la pizza in versione Al Convento. Non napoletana, non casertana, semplicemente buona e fedele a quella che si fa qui da sempre. “La pizza tira tanto, anche d’asporto. Perché non dovrei farla? Solo perché ora per fare la pizza devi avere un’etichetta? Solo perché con le mode si scatenano continue polemiche?” sottolinea Pasquale, con il suo canonico timbro da goliardico provocatore “Bisogna mettere da parte le velleità, rendere felice il cliente e dargli quello che vuole. Entro le nostre possibilità e senza venir meno all’identità professionale. Ho messo il banco del pesce all’ingresso, proprio perché se qualcuno vuole venire a comprarlo e cucinarselo a casa, io posso rivenderglielo a un prezzo stracciato. Non dobbiamo sentirci superiori, facciamo da mangiare per rendere felici le persone. Dobbiamo solo farlo nel migliore dei modi, con rispetto per la materia e per la nostra cultura di osti e cuochi. Se mi chiedono uno spaghetto al pomodoro o una pizza da portar via, io sono contento di prepararglieli. E mi ci impegno anche. Le persone devono godere e sentirsi avvicinati al rito della tavola. Trattoria sociale per me significa questo. Senza compromessi”.


Detto fatto. Nel rinnovato Convento si celebra la rivalsa del mangiare popolare. Nutrire spirito, pancia e mente all’unisono. Un messaggio semplice e ambizioso, che si manifesta attraverso la condivisione guascona di zuppiere, ramaioli e scodelle. Ampie padelle e casseruole in rame che piombano in sequenza al centro del tavolo conservando al loro interno – come un tesoro ancestrale – le ricette che hanno fatto la storia del ristorante e quelle che ne tracciano il nuovo corso. Il cliente si reimmerge nell’utero dell’emisfero casalingo. Con tocco ludico e informale – quello dell’adorabile mamma Gilda – potendo scegliere in totale libertà se armarsi di mestolo e posate per servirsi in chiave “compartir”; o se ammirare il servizio delle vivande al guéridon, per mano degli abili camerieri che sfrecciano tra i tavoli interni o nel delizioso dehors. A coccolare gli ospiti, un fuoriclasse del calibro di Gaetano Lamberti: maître con esperienza decennale nella ristorazione italiana e all’estero, che qui da Torrente amministra sala e cantina con classe invidiabile.
Nutrire spirito, pancia e mente all’unisono.
La cucina che occupa il palco, in questa movimentata e gaudente opera culinaria, è una semplice quanto poderosa manifestazione dell’indole di Pasquale. La sua spumeggiante lettura della Costiera, che ripercorre passioni, amori, viaggi e vissuti domestici. Nuda, in quanto spogliata da ogni orpello vezzoso o sofisticato (nel senso più artefatto del termine). Cruda, in quanto diretta, schietta e riconoscibile. Decantata all’animo dell’assaggiatore con quell’irruenza emotiva – colta e popolare – che contraddistingue la sua scanzonata personalità. Così il seducente e spigoloso Tortino di alici, scarola, pane e bottarga di tonno, evoca una relazione amorosa – tra armonie e contrasti – con l’impennata salina e amaricante di un racconto umano e territoriale dal candore unico. La Parmigiana, sacra e sontuosa nella sua forma classica, si alleggerisce con la dolcezza infantile di un pomodoro fresco appena toccato dal calore del fuoco, rivelando un cuore iodato di alici fresche che omaggiano il suo legame indissolubile con i pescherecci di Cetara. Proprio così, perché la nuova insegna del Convento, recita anche il sottotitolo di Acciugheria. Il nostro chef ha scelto infatti di abbattere i confini geografici del suo amato Golfo Salernitano, continuando a celebrare un ingrediente simbolo con un menu appositamente dedicato. “Non voglio porre limiti alla bontà della nostra Penisola. Seleziono le migliori acciughe d’Italia e le unisco insieme senza distinzioni” spiega Pasquale “In un periodo di guerre e conflitti, il mio messaggio a tavola vuole essere solo di pace e unità. Al riparo da confronti e paragoni sterili”. Ecco dunque nascere il “Reale di Alici”. Ovvero acciughe sott’olio – provenienti da Cetara, Sicilia e Calabria – allineate verticalmente in una scenografica alzatina. Degustazione da celebrare con pane bruscato e tre intingoli/condimenti che parlano di pura italianità gastronomica: burro di panna (pensando al Piemonte); pesto alla cetarese (in omaggio a un piatto del suo amico Massimo Bottura); aglio, olio e peperoncino (a richiamare un antico condimento campano). Bontà primordiale, rilanciata dal secondo servizio di alici cotte: dorate “in carrozza”, ripiene di filante provola affumicata; in veste di setose polpette all’uva passa; fritte in purezza, con l’allungo aromatico di cipollotto fresco tagliato a julienne.


È proprio il fritto – signature dish del cuoco – a evidenziare l’innovazione spontanea e non ostentata di questa raggiante cucina. Grazie allo studio e alla ricerca di Pasquale con il brand “Olitalia”, è stato creato il primo olio per frittura Frienn (friggendo in dialetto campano): un prodotto testato dall’Università degli Studi di Bologna, realizzato con olio di semi di girasole ad alto contenuto di acido oleico (80%) e aggiunta di antiossidanti (tocoferoli ed estratto di rosmarino). Una ricetta innovativa, che parte dalle esigenze reali di uno chef visionario e rispettoso della materia prima. Per un’applicazione dalle sfumature tremendamente popolari e quotidiane. Questa formula sartoriale, senza uso di olio di palma, permette a Frienn di non bruciare, grazie all’incredibile stabilità alle alte temperature, e all’elevato punto di fumo. Un olio che presenta la totale assenza di schiuma in frittura, garantendo sempre una risultante omogenea – senza aggredire la superfice degli alimenti – che preserva un fritto leggero, croccante, friabile e chiaro alla vista. Ne confermiamo valore ed efficacia, leccandoci le dita dopo un maestoso fritto di paranza espresso, a base di calamaretti, triglie di scoglio, gamberi gobbetti e qualsiasi altra primizia dei mari locali.
Coppie di francesi, spagnoli, tedeschi e americani, seduti paciosi intorno a noi, vanno a descrivere il convivio in festa. Mentre sembra di vivere l’incipit di un’inflazionata barzelletta, Pasquale scherza e ci diletta. Rimembrando come ha conquistato la corte parigina di Monsieur Alain Ducasse e il palato del suo amico chef basco Josean Alija a colpi di colatura e genovese. Non possiamo dubitare di questo eclettico cuoco dalla propulsione internazionale, in particolare dopo aver goduto immensamente con due pantagruelici tegami serviti in sequenza: avvolgenti Spaghetti alla colatura di Cetara e fenomenali Candele spezzate alla genovese di tonno. Due piatti tradizionali, dalla luminosa semplicità. Traghettati al futuro con polso e cura per il prodotto. Assaggi di questa entità parlano una sola lingua: quella dell’appagamento viscerale e assoluto. Non c’è bisogno del traduttore.


Verso la chiusura del sipario, ancora spazio per un magnifico Sauro bianco alla griglia, rinvigorito dallo sprint acetico e vegetale di una misticanza aromatica. “Giochiamo a fare i nordici” provoca Torrente. O per un possente Pacchero al ragù di frutti di mare, dove il metodo di cottura si rivela quello lento e meditativo della “pippiatura” di un canonico ragù di carne, riportato su ingredienti ittici di raro pregio. Da bere, in moto continuo, una pioggia di bollicine, Champagne e Riesling. Passioni enologiche dello Chef, che vanno a sommarsi a quella per un gin tonic defaticante, che apprezziamo a fine pasto seduti alla sua Cuopperia: chiosco di cibo da strada affacciato sul suggestivo porticciolo di Cetara. Appollaiati in relax, distesi dal flusso del mare, riusciamo a intravedere per qualche istante la carica frizzante di Torrente che piano piano quasi viene arginata. Per fare spazio a una sana tranquillità post servizio. Ritorna a galla il suo spirito romantico, mentre parlando del suo futuro, cita con amore e stima infinita suo figlio Gaetano: giovane cuoco dal cuore d’oro e dal talento innato. Il carattere marpione dello chef non lo fa trapelare fino in fondo, ma intendiamo facilmente che il restyling del Convento è anche per dare un nuovo spazio al suo naturale successore di sangue.
L’eredità che si rigenera immortale, per proiettare il verbo della tradizione ancora qualche chilometro più in là.
L’eredità che si rigenera immortale, per proiettare il verbo della tradizione ancora qualche chilometro più in là.
Senza filtri o confini. Siamo convinti che ne vedremo delle belle. Per un rivoluzionario come lui, si sa che ogni rivoluzione che si rispetti non è tale senza passione, amore e un briciolo di sconsiderata intraprendenza. Caratteristiche che non sono mai mancate e mai mancheranno in questo inestimabile avamposto del gusto aggrappato alla Costiera.
