Gli eco-sviluppi del distretto tra ristorazione, agricoltura e iniziative urbane total green
Testo e foto di Lorenzo Sandano
Tornare a Copenaghen nella sua stagione più florida – la tarda estate graziata dal sole – incanta, ammalia, quasi stordisce. Questo polo gastronomico attrae sempre enorme interesse, in perpetua mutazione. Il fermento, direzionato verso una filosofia green, dai consumi coscienziosi e alla ricerca di un modello sostenibile concreto, sta attecchendo un po’ ovunque con risultati significativi: sul piano culinario, ma anche su quello agricolo e urbanistico che punteggia ogni centimetro della città. Il primo esempio tangibile lo restituisce il distretto di Refshaleøen: per anni ex-sito industriale lasciato a sé, oggi trasformato in un nucleo aggregatore di socialità con insegne accattivanti, eventi eco-friendly e iniziative di imprenditoria capaci di renderlo un luogo fervido di hype sia per i turisti che per i locals.
Urban Rigger
Lungo uno dei numerosi moli che delimitano l’area sorge la comunità galleggiante di Urban Rigger. Il progetto nasce per trovare una soluzione a un problema comune in molte città europee: offrire disponibilità di alloggi a prezzi accessibili rispetto l’aumento della popolazione, abbattendo barriere sociali e migliorando lo stile di vita collettivo. Per risolvere questa necessità, è stata ideata una serie di 6 unità immerse nell’acqua, disposte lungomare, che ospitano oltre 100 persone in un’ottica di comunità fluttuante e modulabile secondo qualsiasi esigenza di chi le abita. Progettato dall’architetto di fama mondiale Bjarke Ingels, l’intero complesso di Urban Rigger è costruito con container riciclati sui principi del celebre marchio LEGO (sì proprio l’iconico gioco d’infanzia) sfruttandone su, scala maggiore, il grado di creatività e flessibilità di connessione tra i moduli. Il design risulta infatti replicabile e trasformabile su unità abitative di dimensioni variabili, nonché collocabile ovunque.
L’assetto attuale conta 12 appartamenti di 23X30m2, forniti di molteplici comfort: un cortile sospeso, stazioni per le biciclette e kayak; barbecue pronti all’uso; un’ampia sala comune sotto il livello del mare e infine una terrazza posta sul tetto che offre una vista panoramica del distretto. Non solo accessori edonistici però, l’attenzione verte anche sull’impatto ambientale: l’acqua di mare funge da fonte naturale di calore grazie all’ausilio di pompe a basso consumo energetico; i pannelli solari sono recettori di elettricità ‘pulita’; i materiali utilizzati rispettano la biodiversità presente nei fondali. Per constatarlo, c’è addirittura uno scanner che giornalmente monitora il grado di pulizia dell’acqua a tutela dei bagnanti e di chi occupa questo spazio (altissima la percentuale di studenti che ne fanno parte). Il formato di Urban Rigger riesce così a unificare ecosistemi apparentemente distanti: città, acqua e natura riuniti in comunità sostenibili che vogliono pensare a un futuro migliore partendo dal proprio contesto abitativo.
La Banchina
Spostandoci solo di qualche metro a piedi, ci troviamo in un luogo che ho amato dalla prima visita: La Banchina. Il colpo d’occhio potrebbe fuorviare dall’identità del locale, ma concede già un bel prospetto sulle vibes che si respirano qui: un fascinoso chiosco di legno in tinte azzurre aggrappato alla riva, con una passerella che scava il mare, ricolma di calici e persone intente a tuffarsi nelle giornate di sole. Alle origini lo stabile era un piedistallo arido e abbandonato ove i manovali dell’industria marittima erano soliti attendere i traghetti.
Tutto ha acquisito nuova forma quando nel 2015 il patron/imprenditore Christer Bredgaard ha rilevato lo spazio (tutt’ora in affitto) tramutandolo in un wine-bar – con ristorante da 16 coperti e saune – tra i più in voga di Copenaghen. Il titolare illuminato, insieme a un socio attivo nell’importazione di vini della Penisola (da qui il nome italiano), ha colto le potenzialità del posto associandolo a un’altra insegna gemellare di sua proprietà, Il Buco: ristoro cittadino che oltre a proporre cibo & etichette organic, sfoggia una propria bakery di livello che utilizza solo farine e ingredienti danesi bio per i suoi lievitati.
La Banchina nasce quindi come contenitore eclettico, aperto dalla mattina per le colazioni sino al dopocena, ma piantando le sue fondamenta su valori ben nitidi (oltre che sotto la superficie marina): la scelta enologica è radicalmente naturale; i prodotti impiegati in cucina sono tutti biologici/biodinamici e di provenienza autoctona; la sostenibilità è perpetuata come filosofia imperante in ogni gesto. Bello però come il tutto sia vissuto in un clima di invidiabile leggerezza e spontaneità: agguanti il tuo caffè, un bicchiere di vino – o l’intera bottiglia – dal bancone interno con una super playlist in sottofondo; ordini tra le vivande del giorno (ti chiamano per nome quando è pronto) e puoi scegliere se girovagare tra i tavolini dislocati in sala o all’aperto, concedendoti pure un bagno ritemprante a fine pasto senza l’obbligo di consumazione. Pronto a ricominciare in loop.
Il numero di coperti infatti è relativo vista la fruizione del luogo e il flusso di visitatori nel corso di qualsiasi fascia oraria. Si mangia divinamente, tra l’altro, con esercizi super-minimal a base di pesce (ovviamente da pesca sostenibile, con rapporto diretto con i singoli pescatori di zona) e verdure provenienti da piccoli farmers locali o autoprodotte in loco. Il cortile sul retro, oltre a esibire un cucinotto a vista con bbq nella bella stagione, cela un micro-orticello di erbe aromatiche e qualche ortaggio colto al momento dai cuochi in servizio.
Tra i piatti confezionati dagli head-chefs – Philipp Lindner e Julian Kruse Mathiesen – citiamo l’Insalata di zucchine (di diverse varietà) alla griglia, creme fraiche fumé, basilico e dressing al mirtillo fermentato; il polposo Sgombro arrostito alla plancha con porro rosolato in burro e timo e una salsa olandese ricavata dal medesimo burro; o l’irresistibile Fish-Sandwich con Bun alle patate de Il Buco, merluzzo in tempura, maionese affumicata e alghe sott’aceto: l’ideale prima (o dopo) un tuffo bomba improvvisato dalla pedana. Cotanto sollazzo convive però con etica rigorosa: qualsiasi scarto viene riutilizzato nelle ricette della settimana; vige il plastic-free in ogni componente della struttura; inoltre si combatte l’abuso di ingredienti esteri fuori stagione. Non troverete agrumi nel periodo estivo o ingredienti esotici di alcun genere. Per fornirvi un’applicazione pratica di tale mantra, utilizzano piselli essiccati indigeni in virtù delle mandorle (spesso importante con fare massiccio) nei loro “almond croissants”: sono anche molto buoni a dirla tutta.
L’inverno – oltre a rendere protagoniste le saune a botte disposte in giardino – vede cambiare il mood del ristorante, offrendo solo menu degustazione e wine-pairing a scelta. Consigliatissima la prenotazione, come è consigliata una tappa qui a qualsiasi ora del giorno o periodo dell’anno, per godere di un luogo intriso di benessere assoluto e di integrità morale spassionata (nonché funzionante).
Øens Have
Voltando semplicemente le spalle e inoltrandoci nel centro del distretto, spunta invece magicamente la più grande bio-farm urbana di tutta la Danimarca: Øens Have. Definirla farm è riduttivo, perché attualmente racchiude altri organismi sinergici quali un bio-ristorante; un giga-orto popolare e diverse aree adibite a eventi sartoriali. Lo spazio si estende per un appezzamento di 3500 m2 che in precedenza ospitava le mense dismesse della compagnia navale di B&W: ripreso in mano da una cordata di eco-gruppi già attivi in città (attraverso crowdfunding) il progetto ha raggiunto una portata strabiliante sia a livello produttivo sia nel coinvolgimento dei cittadini.
Il team artefice di tutto ciò viene da ØsterGro (prima fattoria danese sopraelevata, issata sul tetto di un edificio); dall’eco-ristoro in serra Gro Spiseri e dalla community di supporto agricolo FællesGro: insieme hanno plasmato nel nulla un’isola verde costellata di ortaggi, fiori, erbe e bacche; serre per coltivare verdure e funghi; un pollaio privato e alveari. L’obiettivo iniziale era creare un ecosistema circolare per promuovere l’ecologia in città attraverso la natura urbana. Organizzando esperienze gastronomiche sul campo, raccolti collettivi di ingredienti freschi, incontri comunitari e istruzione pratica sul tema agricolo. C’è voluto poco per attirare gli abitanti del circondario, radunati nella coltivazione dell’orto. Ulteriori evoluzioni sono sbocciate poi senza forzature, in sincro con la vegetazione che ha attecchito rigogliosa qui. Prima attraverso un atipico ristoro agreste che mira a servire il miglior cibo biologico possibile, raccolto in loco o dagli agricoltori, cacciatori e pescatori locali che circoscrivono Copenaghen.
Ove possibile, si coglie dalla terra e si cucina direttamente in metrica no-frills (ampie braci governano l’aera ristoro) per poi essere servito in relax dentro suggestive yurte disposte nel cuore della fattoria. Il menu cambia quasi ogni giorno in base alla disponibilità dei prodotti stagionali. Le stesse yurte, costruite dall’architetto Lyse Næstter, ospitano numerosi workshop; conferenze; eventi d’approfondimento e corsi di insegnamento ecologico tenuti dallo staff di Øens Have. Last bus not least, ogni martedì dalle 10.00 alle 18.00 chiunque può partecipare alla giornata di volontariato settimanale. Si lavora spalla a spalla in tutto quel che descrive la visione di agricoltura urbana: semina, irrigazione, diserbo, raccolta, compostaggio, pittura, produzione di miele e succo di mele pescate dai propri frutteti. Non è richiesta alcuna esperienza, se non la sana voglia di sporcarsi un po’ le mani con un fine nobile, acquisendo nuove skills. Øens Have è l’ennesimo prototipo civico ammirevole in questo ex-deserto industriale, che riserva altre gemme fiorite. Ve le sveleremo nei prossimi capitoli, perché citando il saggio De Andrè: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.