La ripartenza sonora della Bottura’s Band, su note psichedeliche di consapevolezza e collettività
Testo e foto di Lorenzo Sandano
“Life is very short, and there’s no time
For fussing and fighting, my friend”
We Can Work It Out – The Beatles
Nell’eterna rivalità tra Beatles e Rolling Stones, mi son sempre schierato con i primi. Sarà per quell’arrabattata cover band – su di loro – in cui mio padre militava da giovane. O forse per quell’onirico e flashante cartoon di Yellow Submarine divorato su nastro VHS quando ero un bimbetto. Banali affinità musicali? Fatto sta, che ritrovarmi i quattro di Liverpool anche in un menu-tributo a tavola, ha ulteriormente rafforzato questa innata preferenza. Il percorso in questione, tra l’altro, non è parto casuale dell’ultimo cuochetto arrivato. Combacia con eventi a me particolarmente cari: è il menu di ripartenza dell’Osteria Francescana di Modena nel post-lockdown, nonché un mio personale ritorno in questa mitologica insegna dopo qualche anno (troppi) di latitanza. Una persona molto più in gamba di me, amava ripetere che quando si tiene troppo a un qualcosa/qualcuno dall’ampia portata, si rischia ciclicamente di distanziarcisi. Quasi come inconscia proiezione protettrice. Ora non so se questo è il mio caso, ma so che l’energia percepita rimettendo piede nel Ristorante in Via Stella, ha ripagato tutti gli anni di distanza accumulati. In raccordo col recupero di fibra umana, morale e creativa dal distanziamento sociale (ancora in atto) che l’intero organico di Massimo ha riversato nella gestazione di questo eclettico LP degustazione.
With a little help from my friend – un gruppo che suona all’unisono
Già, perché – stavolta più che mai – il parallelo sonoro con la band britannica è aderente in guisa vinilica e concettuale alla playlist di piatti. Orientati in fila a mo’ di tracce in un disco. Come sovente avviene nel Francescana Universe però, son incise col desiderio visionario e saldo di voler propagare un messaggio: il rientro sul palco della squadra riunita (dalla brigata alla sala) dopo un’emergenza Covid19 dirottata in linfa creatrice e motivante. Tramutare blocchi e paure in crome di positività collettiva. Passando il microfono e lasciando cantare a voce spianata, ogni componente di questo gruppo stellare. Oggi ancor più affiatato. Da non leggere come l’ultimo stage dal tetto di Savile Row del quartetto brit-pop. E neanche inseguendo l’accentramento mediatico di una BotturMania. L’intento è nitido, sin dal titolo battesimale di With a Little Help From My Friend: un arcobaleno di suggestioni, punti di vista, idee e stimoli che abbraccia e fiorisce dal nucleo fecondo dell’intero complesso Francescana.
E dentro al nuovo album ci sono proprio tutti, permeati da un carisma che pare inesauribile. Un prodigo Bernardo Paladini in direttissima dal progetto Torno Subito di Dubai, l’inossidabile Davide di Fabio in marcia perpetua e sguardo gioviale, la pacatezza nipponica del veterano Takahiko Kondo. Ma anche un Giuseppe Palmieri ritemprato da consapevolezze e riflessioni su cantina/servizio di caratura sempre più alta e fine, un istrionico Luca Garelli (1 dei 2 gemelli di sala) e l’assolo intrecciato di volti/animi che si propaga ben oltre le mura del locale. Intonando alchimia affiliata e condivisa con i protagonisti dei progetti predisposti in timbrica ramificata: quelli dal respiro international-solidale (Refettori – Food For Soul), il battito familiare di Lara, Charlie e Alexa nel format casalingo/virale di Kitchen Quarantine; l’impeto giovanile e frizzante della Franceschetta58; l’accento agreste e forbito di Villa Maria Luigia con Jessica Rosval in prima linea tra cene fine-dining, braci primordiali e maestosi brunch. Poi molto, molto altro ancora da risolversi in divenire. A riprova che l’accordo-fonte d’ispirazione non ha mai cessato di vibrare in questo avamposto modenese aperto al mondo. Terroir cosmopolita ove lui, Massimo Bottura, è frontman sempre più coeso e integrato alle forze polistrumentali della sua orchestra. Crasi identitaria di un Lennon e un McCartney all’apice del successo.
Da Sgt. pepper a Lucy – nel cielo, tra campi di fragole a bordo di sottomarini gialli
Uno spartito colossale di menti e gestualità, registrato in 12 corse abbinate a rispettive campionature dei Beatles. Riprodotti nel loro stato di massima maturità espressiva ed eclettismo sperimentale. In sincro coerente col fervido momento dei Francescana Boys. Una scaletta in scalata sensoriale che divampa da un giradischi di psichedelica riflessiva, evocazioni colorate, tecnicismi trascendenti e forme ironiche/provocanti. Perennemente accordate alla centralità melodica del gusto e all’evoluzione stilistica professata nel tempo. Sin dall’esordiente passepartout hippyeggiante verso realtà alterate – e consequenziale viaggio all’interno del menu – a base di LSD in pasticche (Sgt. Pepper’s Loney Hearts Club Band): tre eteree meringhe soffiate dai gusti e cromatismi differenti (rapa rossa, gorgonzola, umeboshi – piselli, menta, mela verde – carota, curcuma, tamarindo).
Fluttuando in good trip che ribalta gli schemi di portata e sequenze papillari per assurgere all’equilibrio tramite una nebulosa di caleidoscopici contrasti: l’abbraccio glutinico del pane sfogliato al miele con cristalli di sale e burrosità peccaminose (A Day in The Life) funge da risoluto bridge sweet&salty per la sguitarrata salmastra, erbacea e amaricante dell’insalata con vegetali e fiori di Casa Maria Luigia, intervallata da seppioline col loro nero, caviale, cozze e bottarga (Cellophane Flowers & Kaleidoscope Eyes). Gli effetti degli acidi cominciano a farsi sentire. Giusto in tempo per salpare a bordo di un sottomarino giallo che gravita tra Camdem Town e Milano, con sottili digressioni orientali.
Un fantasmagorico Fish & Chips di rombo panato in tempura di risotto alla milanese, con lo sferzante dip di salsa all’ananas e pickles del medesimo frutto (Yellow Submarine). Il mezzo subacqueo si tuffa poi dalle metropolitane atmosfere allucinate, direttamente in un campo di fragole dai rimandi gustativi 80’s (Strawberry Fields). La gloria decadente del risotto fragole e champagne risorge da un tappeto di gamberi rossi crudi (alla base) con partitura di ingredienti degnamente più local: riso tirato in brodo di lambrusco e fragole, inneggianti al pomodoro, con crema di mozzarella affumicata on top. Fotonico esercizio, a narrare come l’evoluzione di un piatto dipana fuori dai vincoli del forever. Simmetrico e speculare all’itinere psichedelico, Beppe Palmieri inanella e sottolinea la virtù dell’abbinamento per contrasto e rilancio. Tema portante in una logica che vuole smontare auto-celebrazioni di maître/sommelier, spronando un abbraccio reciproco e accorato tra sala&cucina. Lo percepiamo alla grande nel match aromatico tra il piatto If l’m Wrong l’m Right e il suo virtuoso miscelato all’acquavite di mela mantovana, riesling, acqua brillante ed erbe biologiche dall’orto di Villa Maria Luigia. Inebrianti e agili inalazioni, che esaltano l’esotico merluzzo con patate, latte di cocco e Green curry mediterraneo.
Contaminazioni indiane e trame polarizzanti, che strizzano l’occhio al lavoro pionieristico del Liverpool Quartet avanzato nell’album Revolver. Influenze raccolte dal globo intero e sintetizzato sotto lo stesso tetto We Are All Connected Under One Roof, come la tessitura universale di dumpling asiatici, ripieni di maiale emiliano affumicato e vongole. Irrorati da una libidinosa cascata di clam chowder del New England. Gola e pensiero connessi come non mai, con un mixaggio in tra emisferi apparentemente irraggiungibili tra loro. Torniamo quasi a posare le suole per terra – con plasticità artistica – inoltrandoci nel manto terragno e succoso del Piccione glassato con mirtillo e sambuco, salsa di ciliegie, crocchetta di interiora, albicocca e savòr (Who’s Afraid of Red Yellow Green and Orange). Per poi risollevarci in volo con un colpo di stile detonante: Crème caramel con latte, foie gras, caramello e miele (In and Out of Style). Densità ipnotiche e persistenze inafferrabili, in una scaloppa ambrata al fiordilatte di fegato grasso, che trova genesi nell’omaggio caramellato al pregiatissimo manuka honey. Una rullata devastante, tra dolce/sapido, del più ispirato Ringo Star.
Briose oscillazioni protratte sino al brano conclusivo. L’intermezzo dal refrigerio estivo interpretato in spuma di yogurt, granita di piselli, fragole, carote, azuki e shiso, origami di patate e basilico (Summer is Coming). E infine l’ascesa sognante in cieli diamantati, ritrattata nell’immaginario infantile e serafico di pesche arrosto, salsa di mirtilli, sciroppo di betulle, gelato al rosmarino, meringa di rose, zucchero filato e amaretti (In The Sky Without Lucy).
C’è anche una reprise di Sgt. Pepper in coda al disco (Vignola, Camouflage, macaron di lampone, madeleine allo yuzu) che con i suoi petit four invita a un Lato B o a una nuova Rec già in produzione. Come d’altronde suggerisce proprio Bottura nelle note conclusive di questa maestosa Playlist: “Vecchio qui stiam già guardando avanti, senza fermarci mai”. Never Stop Dreaming, Osteria Francescana.
Osteria Francescana
Via Stella 22
41121 Modena (MO)
osteriafrancescana.it/