Una chiacchierata con Virgilio Martínez
Testo di Nicholas Gill -> versione originale
Traduzione di Marta Galeotti
Illustrazione di Federico Taddeuci
Foto di Jean-Pierre Gabriel per Cook_inc. 23
Il mondo è cambiato. Mentre è ancora troppo presto per quantificare l’impatto economico del Covid-19 sull’America Latina, un ritorno alla normalità nel futuro prossimo sembra improbabile.
Il Perù è subito corso ai ripari. La chiusura delle frontiere è stata disposta così tempestivamente da cogliere molte persone alla sprovvista. Siamo dovuti intervenire di persona per aiutare un famoso giornalista del Texas Monthly e la sua famiglia a trovare un volo per lasciare il paese. La Plaza de toros di Lima, l’arena più antica d’America, è stata trasformata in un rifugio per proteggere i senzatetto dal virus. Si spera che queste iniziative servano a limitarne i danni.
Non c’è dubbio che la comunità gastronomica accuserà il colpo. Oltre a subire l’impatto immediato della chiusura per diversi mesi, i ristoranti situati in luoghi come Lima e Cuzco (per non parlare dei piccoli produttori che li rendono possibili), fortemente dipendenti dai proventi del turismo, dovranno trovare nuovi modi per sopravvivere. Nel suo insieme, la comunità del cibo peruviana dovrà trovare un modo per unire le forze, come ha fatto negli ultimi trent’anni, ma per il momento non ci sono risposte facili. Ho chiesto a Virgilio Martínez, mio amico e collaboratore, cosa ne pensa.
“La situazione cambia di giorno in giorno”, afferma. “Qualsiasi cosa pianifichiamo, dopo due giorni cambiamo idea”. Quando ci siamo sentiti, si è sempre mostrato di buon umore e sorprendentemente positivo, nonostante le circostanze del momento. Ora come ora, sostiene i suoi 100 e passa dipendenti, divisi tra Central e altri tre ristoranti in Perù, senza lasciar andar via nessuno. Molti dei prodotti coltivati nelle Ande presso il ristorante Mil andranno ai contadini e alle loro famiglie. Alla riapertura, le prime attenzioni verranno concentrate su Mayo e Kjolle, i ristoranti più informali del gruppo.
Secondo Martínez questo genere di paura e territorio incerto pone delle difficoltà, ma può anche rivelarsi un’occasione. La cucina peruviana ha la possibilità di mostrarsi in una veste inedita, al di là del fine dining e del ceviche. Di esplorare le picanterías, ristoranti tradizionali, ad Arequipa e sparsi per le Ande. Di fare più ricerca, il cibo della costa settentrionale, il suo clima unico e il suo insieme singolare di influenze. Di mettere in luce più sfaccettature degli ingredienti, ma non in un contesto di stranezze gastronomiche.
Prosegue affermando che non è la fine del fine dining, ma un nuovo modo di intenderlo. È un’occasione per connettere le persone, che spera diventino più attente alla provenienza degli ingredienti, alla stagionalità, al buon cibo. Il fine dining ha ancora molto da dire, ma non può continuare a essere privo di sostanza come negli ultimi anni. “Ora deve avere un significato, una storia da raccontare”, continua Martínez. “Non solo piatti costosi. L’innovazione verrà dall’esterno, non solo in cucina, ma dalla comprensione della realtà”.
Capisce che probabilmente si stava concentrando su cose che non avevano quel gran significato per sé o per i suoi ristoranti. Trascorreva troppo tempo in aereo e non abbastanza in Perù. “Prima o poi ci sarà bisogno di rispondere a domande più importanti. Siamo disconnessi dalla provenienza del nostro cibo e la pandemia ha rivelato proprio l’inefficienza di questo approccio. Non solo per il consumatore, ma anche per i produttori e i ristoranti. Dobbiamo rivedere le nostre priorità, gradualmente, mentre il mondo si rimette in sesto”. Per oggi, Martínez ha le idee chiare. “Ora abbiamo solo una cosa, la cosa principale”, dice. “Sostenere Central, Kjolle, Mayo e Mil”.
SAVE THE DATE
Lunedì 4 maggio alle 19.30 (ora italiana) Vírgilio Martinez e Pia Léon racconteranno la loro esperienza in diretta streaming al Sangue Na Guerla Symposium Delivery moderati da Anna Morelli.