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Percorso
Bacari, enoteche e ristori
Tour di Venezia “brutto ma buono”
Le dritte infallibili degli chef del ristorante Venissa
Tour di Venezia “brutto ma buono”
13 minuti

24 ore di bacari, enoteche e ristori, in giro per “La Serenissima” con Francesco Brutto – “colazione e pranzo”

Bella Venezia e ci vivrei pure, se avessi ogni giorno una guida alla pari di Francesco Brutto. Questo articolo, come lo scapigliato tour che ne deriva, nasce infatti da una gag condivisa con le due anime (nonché cuochi) del Ristorante Venissa, locato presso l’isola di Mazzorbo. Non mi dilungo sui profili portentosi di Chiara Pavan e del suo compagno Francesco perché su di Cook_inc. 35 trovate un bellissimo articolo che racconta nel dettaglio lo straordinario progetto/ecosistema che stanno portando avanti con successo.

L’idea di un tour alla scoperta della Venezia più “buona” (al riparo da insegne turistiche), è saltata fuori proprio dopo una cena presso il loro locale: Chiara ha rievocato una lista di indirizzi che aveva redatto per Gabriele Zanatta di Identità Golose e ha catturato la mia curiosità. D’altronde, avevo visitato la città lagunare solo in età adolescenziale durante un Carnevale coi familiari. Francesco – che ha rivelato un amore viscerale per l’ex-Repubblica Marinara su più livelli – non ha perso l’occasione per candidarsi a mo’ di assetato Cicerone per un giorno di bevute e mangiate irrinunciabili nei luoghi del cuore secondo la coppia di Chef.

Saltiamo in barca dall’approdo del Venissa e Francesco ci tiene a fare un’introduzione per un neofita come me: non solo sottolinea che per mole di assaggi, tempo e aperture/chiusure non riusciremo a visitare tutte le insegne predilette dal duo di cuochi (anche se, col ritmo di ombre e cicchetti ce la siamo cavata egregiamente), ma rimarca anche la spontanea complicità nata tra le insegne cittadine che sposano un comune approccio qualitativo. Un network che ribalta l’ottica della ristorazione spenna-turisti con una linfa di fratellanza ammirevole. Spesso il filrouge è quello alcolico, non solo per il luogo comune affibbiato ai veneti, ma anche perché (citando lo chef): “Il movimento del vino naturale qui è cresciuto parecchio prima che andasse di moda. Forse perché i quantitativi importanti in commercio ne hanno facilitato il flusso, rendendo la piazza di Venezia una culla del bere eroico. Sia a supporto dei vignaioli eroici, sia per il tenore di bevuta che qui ti rende un eroe se reggi botta alla pari di un local”. Dopo queste ebbre premesse, sbarchiamo lanciatissimi in mattinata verso la prima tappa. Pronti a invertire il caffè del risveglio con una sonora ombra de vin.

Bar All’Arco

Non fatevi intimorire dallo spazio costipato e dalla folla di clienti che assale i due piccoli tavolini esterni o il bancone centrale: questo proto-bacaro è un vero culto per cicchetti (con prevalenza di ingredienti ittici) che potrete pescare in tutta la città galleggiante. Situato vicino al mercato di Rialto, propone fettine croccanti di pane condite con estro giornaliero, ingredienti freschissimi e uno staff di rara prontezza e cordialità. Non c’è vino sfuso, ma solo in bottiglia: matematico invito a nozze per Francesco Brutto che sceglie la prima bolla, delegando a me l’ardua selezione del cibo. C’è da perdersi per la varietà di preparazioni e per il pogo umano che si agita davanti alla cassa. Partiamo con Crostini al baccalà mantecato; gorgonzola e acciughe; carpaccio di cernia; ventresca di tonno; crema di otregan (cefalo) e scampi in saor. La prima staffetta è talmente gagliarda che ci spinge a ordinare anche un panino farcito espresso con branzino, uova strapazzate e asparagina. Gli abbinamenti sono variopinti, accesi e centrati in ogni boccone. L’ambiente infonde la giusta frenesia dal farti familiarizzare con chiunque si trovi in loco, riflettendo un ritrovo di polposa autenticità.

Stappo – Enoteca con cucina

Next stop: Stappo, perché Francesco necessita un rinforzo enologico meditativo e qui trova sempre le “bottiglie per i suoi denti”. Parliamo di oltre 400 etichette dal suolo italico e internazionale. Nel 2020 la coppia di titolari, Diego e Mathilde, ha aperto questa graziosa Bottega/Eno-tavola con focus su vini naturali e materie prime di vaglia, riversate in vivande tanto lineari quanto efficaci. L’orario tardo-mattutino non ci consente di attingere subito dal “cucinato”, ma veniamo coccolati ugualmente con un trionfale Tagliere di salumi Bettella (norcino di “maiali felici e tranquilli“), insieme a sontuosi formaggi esteri e autoctoni ricercati con cura. Chef Brutto si sofferma sull’aneddoto del pozzo in pietra che domina il cortile interno dell’enoteca. “Era un ricorrente punto di ritrovo a Venezia perché sinonimo di acqua dolce e potabile anche in tempi difficili” sottolinea in “mood Piero Angela”. Noi siamo ben più fortunati, rimpiazzando l’acqua con qualche calice brioso e una bottiglia francese dalla verve ammaliante. L’appetito si riattiva lesto, segnalando che è ora di migrare verso il prossimo indirizzo.

Atterrati in Piazza San Marco, mi incanto ad ascoltare Francesco mentre descrive, con dialettica accorata, le meraviglie della Torre dell’Orologio, della Biblioteca Nazionale Marciana, delle vecchie Procuratie e dell’imponente campanile che domina il quadrilatero urbano. Avverto anche che questa sua verve preannunci la prossima meta (e sbicchierata).

Posto
Europa/Italia/Friuli-Venezia Giulia/Veneto/Venezia
Stappo – Enoteca con cucina

Ai Do Leoni

Per farmi riacchiappare dal mio sguardo ipnotizzato, Chef Brutto sceglie un altro corner capace di stregarvi il cuore: Ai Do Leoni è un prototipo evolutivo di bacaro che miscela gli animi del cocktail bar, della birreria artigianale e dell’enoteca con bocce smaglianti tenute sempre in fresco. Merito di questo armonioso mix è dell’istrionico titolare Gigi: ragazzo di origini egiziane, integralmente coeso con usi e consumi di Venezia, nonché lodevole cultore gastronomo con belle skills anche sul lato musicale (sovente troverete dj-guest di livello nel suo locale). Il sound riversato nei cicchetti non è da meno: tutti espressi e confezionati con un pane dalla forma meno tipica di quelli cittadini, ma contrassegnato da un morso decisamente più artigiano. I dressing ricalcano il tenore della base panificata su cui poggiano: burrata fresca e trota fumé; salsiccia toscana e broccoletti; saor di gallina con ‘nduja e marmellata di fichi; ragù di piccione con formaggio di capra; gallinella mantecata; spuma di gota di maiale e lime; cicchetto vegano con tufo in saor, maionese al cren, miso di lenticchie, cipolle stufate in salsa shoyu e coriandolo; insieme a una clamorosa combo di burro di capra, miele di laguna, tahina, sale rosso hawaiano e lavanda. Perdiamo facilmente il conto delle ombre polverizzate insieme agli assaggi e cediamo a un fotonico drink che fonde il Milano-Torino con l‘Amaro-Sour (battezzato l’Egiziano) che ci preclude l’ulteriore tappa imprescindibile in San Marco. L’idea di Francesco era di portarmi anche al Gran Caffè Quadri dall’amico Giovanni Alajmo, ma tempo e metabolismo alcolico sono tiranni visto che ci toccano ancora altre insegne da solcare prima di cena.

Posto
Europa/Italia/Veneto/Venezia
Ai Do Leoni

Vino Vero

Per riappacificarsi con sé stesso Francesco mi strattona lungo canale, a Cannareggio, in un altro suo spot prediletto per bere: Vino Vero è un’istituzione inaugurata da Mara, Massimiliano e Matteo nel 2014. Il nettare di bacco in lessico nature qui valica il concetto inflazionato del genere, perché la lista di vini “vivi” è incredibilmente vasta, dinamica e articolata con gusto trasversale. A riprova dei successi raggiunti, il gruppo ha aperto una seconda sede “niente popò di meno che” a Lisbona senza tradire il format originale. Come per i vini, anche la proposta di cicchetti (espressi o esposti al banco) risulta ben studiata e invitante, ma Francesco mi vieta di mangiare ammonendomi sul tenermi spazio per la cena e per gli altri luoghi da provare. Cedo al suo giudizio e a una tris di brindisi memorabili su consiglio dei titolari, anche se la mia fame reclama.

Posto
Vino Vero

Bar Alla Toletta

Passeggiando a passo molleggiato tra ponti e canali, traspare sempre più la passione genuina che Francesco Brutto nutre verso Venezia: non c’è chiesa, mercato, galleria d’arte o canale che non conosca a menadito (approfondendo dettagli storico-culturali in scioltezza). O ci sta prendendo gusto nei panni della guida, oppure (tesi più realistica) ha vissuto assiduamente questa città con Chiara in ogni buco libero di tempo dal lavoro. Cerco di sabotare il suo romanticismo con fine bonario: prima costringendolo a scortarmi presso il Bacareto da Lele (posto iper-turistico che non vi consiglio, se non per tastare l’humus degli studenti a caccia di aperitivi low price); poi dirottandolo a ogni costo verso il Bar Alla Toletta, vista la mia assuefazione da Tramezzini veneziani. In realtà questo paradiso di triangoli panciuti a base di pancarrè e farciture traboccanti è apprezzato anche dal nostro cuoco, ma alla vista della mia ordinazione cospicua (circa 10 tipologie per due persone) e alla proposta di brindare con un Campari Spritz percepisco nitidamente il suo disappunto. Faccio overdose di tramezzini (davvero strepitosi!) e gli riconsegno le redini dell’itinerario con devozione.

Posto
Europa/Italia/Veneto/Venezia
Bar Alla Toletta

Trattoria Al Bomba

Appena varcata la soglia, dal fascinoso appeal vintage, l’accento romano che mi accoglie è un bel trip dopo le bevute inanellate finora: scopro che Diego Lambertini (ex-sommelier alla Santeria di Roma) è oggi l’F&B Manager di questo intrigante progetto veneziano. Due soci, nonché amici, quali Tomaso Medici (già fautore di Ostaria Da Rioba, La Sete e Osti in Orto in laguna) e Simone Rosetti (prode ristoratore di quattro indirizzi in Romagna) hanno rilevato un’antica trattoria nel cuore di Cannaregio, rimettendola a nuovo nell’estetica e nell’offerta. Superato il bel bancone all’ingresso si accede alla sala principale in cui svetta un gigantesco tavolo sociale dalla capienza di 28 coperti: segnale di incoraggiamento alla condivisione spensierata sia di ottime bottiglie (la carta mette l’accento su vini di carattere) sia di piatti neo-tradizionali trattati in forma di cicchetti contemporanei e di pietanze conviviali.

Posto
Europa/Italia/Veneto/Venezia
Trattoria Al Bomba

Mentre la riconciliazione con Diego merita l’apertura di uno champagne, le sorprese non finiscono: Masa (lo chef nipponico che è già pronto ad ospitarci a cena più tardi) appare come un ninja per condividere qualche bevuta pre-servizio. Come smontare un luogo comune? Se si dice che i giapponesi hanno meno enzimi per reggere l’alcol, lui è l’emblematica eccezione che non conferma la regola. Sul tavolo dell’intimo cortiletto esterno piombano Saor di triglia con umeboshi e mandorle, Fritturine lagunari, Testine di vitello e kimchi, nonché Carpaccio di lingua, peperoni e salsa verde. Con altrettanta facilità il fantomatico duo Masa/Brutto tenta di svaligiare l’intera cantina del Bomba finché non scocca l’ora di cena e io ringrazio l’appetito infaticabile che accresce di pari passo coi volumi di vino ingeriti.

Osteria Giorgione da Masa

Arrivati all’ingresso dell’ultimo indirizzo, le aspettative sono altissime: durante tutto il giorno Francesco non ha fatto altro che descrivere questo luogo come il suo ristorante preferito di Venezia. Gli interni sono quelli rustici e calorosi di un’osteria datata, in cui legno e oggetti ancora trasudano le baldanze del passato. Ci accomodiamo al bancone che di colpo si tramuta in un omakase nipponico esportato in laguna. Masa si materializza dall’altro lato e ci impone un menu a mano libera, enfatizzando una sua mimica che mi rimanda al manga di GTO. Ma chi è lo chef Masahiro Homma?

Cuoco originario di Yokohama, dopo un’esordiente gavetta in Giappone viene attratto dai moti culinari della Penisola e vi si dirige per ampliare il proprio know-how. Racimola esperienze lungo l’intero Stivale sino a trovar quiete qui nella città delle gondole. Matura apprendistati elitari alla corte degli Alajmo e non si fa mancare passaggi da Al Ridotto; da Estro e da Zanze XVI, ma la vera svolta giunge in piena pandemia nel contesto più inaspettato: i gestori del tradizionalissimo Hotel Giorgione, decisi a switchare la propria osteria in un ristoro giapponese, gli propongono di diventare cuoco esecutivo nel 2020. Ora, io non sono un esperto della katei ryori (cucina casalinga Sol Levante style) del paese di Masa, ma vi assicuro che mangiare qui mi ha catapultato senza indugi sulle frequenze di sapori del mio viaggio in Giappone. Se ne avete modo, prenotate al banco e lasciate carta bianca: la gestualità coreografica di Homma, sommata alla levatura delle sue proposte, si enfatizza ulteriormente se vissuta dalla prospettiva chef-table.

Mollo Francesco e il suo collega a confabulare tra bottiglie di vino procacciate da mezzo mondo (si beve alla grande, con – volendo – 2/3 assaggi di pairing per ogni portata), mentre mi concentro sulle meraviglie modellate nei piatti. Pesce freschissimo dall’Adriatico (e non solo) in una verticale elettrica di bocconi e pietanze a compartir a dir poco galvanizzanti, che alcuni si divertono a definire giappo-cicchetti. Impossibile elencare l’infinità di scodelle, piatti e piattini che vi appariranno sotto gli occhi, ma la metrica da samurai-freestyler di Masa nell’orchestrate ingredienti esotici e locali (tra fermentazioni, marinature, dry-aging e qualsivoglia tecnica contemplabile) non lascia spazio all’improvvisazione. Il Crudo del giorno (almeno 6 elaborazioni) già vi manderà in estasi le papille con stoccate chirurgiche come: Insalata con sashimi di ricciola affumicata al fieno, rapa e salsa vinaigrette di mela verde; Calamari in salamoia di sake e soia per 10 giorni; Ventresca di tonno rosso stagionata 3 settimane; Involtino di alga, riso e pesce spada marinato al sesamo. Poi, in un climax travolgente: Coda di rospo nanbanzuke (fritta e sott’aceto) in brodo nipponico; Riso con testa di ricciola “candita” in soia e zenzero; Uovo stile tamago con asparagi, maionese al sesamo e katsuobushi; cime di rapa, cozze affumicate e salsa di miso; Mazzancolle scottate cosparse da polvere delle loro teste; o un arrangiamento di tempura di carciofi e radicchio tardivo con salsa tosazu, affiancata dal mitologico Pollo fritto karaage” per cui perdere la dignità al primo morso. I Gyoza di gamberi homemade in salsa ponzu (con side di maionese allo shiso) sono ormai un signature per l’assuefazione che provocano a chi li mangia; ma anche la Guancia di ricciola alla brace con riduzione di soia e limone fermentato o il caleidoscopico Cirashi sushi di anguilla laccata e pepe sansho si imprimono all’istante nella memoria per esecuzione, prodotto e profondità.

E quando pensi che l’indole prolifica di Masa non possa innalzarsi più di così, lui ti stende con un revival preso dal suo primo menu all’apertura dell’osteria: una mirabolante Pancia di maiale stufata “kakuni” e friggiteli arrosto, che dal canto del suo minimalismo visivo irradia il palato con polifonie di contrappunti e testure suadenti a cui è dannatamente bello arrendersi. Mentre sollevo lo sguardo dal piatto – quasi riemergendo da un sogno – scorgo parate di sugheri e bicchieri reduci dalla serata insieme a un Francesco Brutto imperterrito nell’architettare un tasting fatale di sake. Arrivano anche i ragazzi di Vino Vero a sbicchierare per il fine-servizio, quale riprova del sincero legame fiorito tra le realtà cittadine. E mentre si dissolve l’ipotesi di un cocktail conclusivo al Mercante (che vi metto comunque in lista) voglio chiudere l’itinerario con questa istantanea schietta e vivace di umanità condivisa da Giorgione, potenziata da un Masahiro allegrotto che rivendica la cittadinanza veneziana dopo oltre sedici anni trascorsi qui. Quanta bellezza, quanta bontà scoperta grazie a Francesco. Questa sì, è proprio l’unica Venezia dove vivrei.

Posto
Europa/Italia/Veneto/Venezia
Osteria Giorgione da MASA

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