Testo di Letizia Gobbi Casali
Foto di Marco Poderi Studio
“Il momento più bello per uno chef è quello dell’impiattamento, che è il risultato di un processo laborioso, di ideazione e realizzazione. Stellato regala a chiunque la possibilità di godere di questo momento, di sentirsi chef per una sera. Una botta di autostima che, dopo mesi di pandemia, è un antistress necessario”. Così Stefano Ciotti, chef di Nostrano, ristorante di Pesaro insignito nel 2017 di una stella Michelin, presenta il suo progetto di delivery: una triplice offerta di box (del mare, di terra e dell’orto) che nelle intenzioni rappresenta l’alternativa culinaria al Monopoli, una sorta di Masterchef in versione “gioco da tavola” che mette anche un incapace (quale chi scrive) in grado di comporre un piatto bello, oltre che buono.
L’iniziativa è nata dagli esperimenti di Ciotti durante il lockdown, mandati all’amico Simone Sabaini, fondatore della modicana Sabadì, “per mostrargli i colori intensi della cipolla fermentata messa sottovuoto” racconta lo chef. “Dopo 4 giorni, Simone mi ha proposto di lanciare un delivery con precise caratteristiche: materie prime di altissima qualità, spedizione nazionale garantita con corriere espresso refrigerato, sicurezza alimentare grazie a pastorizzazione, sottovuoto, refrigerazione, durata nel congelatore fino a due mesi, e semplicità di esecuzione, per piatti che si completano in pochi minuti. Il nome lo ha scelto lui per indicare proprio che con le box chiunque può sentirsi in grado di cucinare un piatto stellato”.
In effetti, nonostante “un’incomprensione” metodologica della sottoscritta sulla temperatura confacente al tortino al cioccolato, di norma il passaggio da un piatto sgraziato a Stellato avviene mediante pochi, semplici, passaggi: si estrae dalla box consegnata un contenitore numerato, che raccoglie tutti gli ingredienti di un piatto già puliti, porzionati, pronti all’uso; si seguono le indicazioni – molto chiare, è il caso di dirlo – fornite da Ciotti stesso in un video che si attiva inquadrando il codice QR code allegato al piatto; si impiatta, si decora con pipette prêt à presser (cioè pronte da spremere) et voilà, les plats sont faits.
Ogni menu si compone di due piatti, ma si possono aggiungere il dolce e un antipasto. Nel nostro caso, trattandosi della box del mare, le portate erano costituite da intensi Fagottelli di patate e baccalà, sugo di calamari e aglio nero di Voghiera e da scioglievoli, carnose Capesante alla Giulio Cesare, su un fondo di hummus di ceci, accompagnato dalla suddetta cipolla di Tropea fermentata. A corredo di questi piatti, abbiamo apprezzato Olive alla Rossini, che celavano sotto una croccantezza appena ravvivata in forno un ripieno di macinato scelto di vitellone marchigiano, foie gras e tartufo nero, una Piadina alla brace e il citato Tortino, il cui cuore morbido – per insipienza dello scrivente – è rimasto in potenza, per quanto compensato dalla vellutatezza golosa della salsa al cocco, idealmente completata dalla croccantezza della cialda al sesamo e lime.
Il packaging di cartone e cartoncino, sobriamente elegante, delle Stellato box richiama i fondamentali della cucina dello chef: sostenibilità, una chiara definizione dei sapori nel piatto a valorizzare i singoli ingredienti. Nessun cedimento all’estetica che non trovi relativa una giustificazione a livello gustativo. ”La mia cucina rifugge la decorazione fine a sé stessa” ribadisce Ciotti. “Dopo il primo assaggio, e una prima percezione del sapore, il cliente deve essere in grado di decostruire il piatto distinguendo perfettamente ogni elemento. In questo senso io voglio compiere un percorso insieme a lui, sulle tracce della mia memoria e ai confini del mio territorio. Troppe volte gli chef si perdono sulla strada delle proprie elaborazioni intellettuali, dimenticando il giudizio sensoriale, immediato, sancito dal palato del cliente”.
Al contrario, “ammetto che il desiderio di compiacere il gusto del cliente è stato a lungo un problema per me” ricorda lo chef. “Mi frenava, mi impediva di lasciarmi andare e sperimentare. Finché, cucinando per mia figlia una crema di patate e vongole con porcini e crostini alle acciughe, ho capito che la mia cucina stava tutta lì, in quei profumi. Era intensa, fatta di ingredienti del territorio, senza cedimenti alle mode e senza forzare la ricerca di un piatto per strabiliare”. Per questo Ciotti chiama il suo locale Nostrano, “con un nome che molti ritenevano da agriturismo, mentre per me ha la dignità del significato originario, ovvero della mia terra”.
Dal passato nella cucina di Alfonso Iaccarino al Don Alfonso di Sant’Agata sui due Golfi (NA), Ciotti ha appreso l’importanza dei profumi e di una materia prima di incomparabile freschezza. Mentre da Vincenzo Cammerucci, nume tutelare della ristorazione romagnola, ha mutuato tanto l’ordine mentale che impedisce di infilare un eccesso di sapori nel piatto quanto l’abilità nel rendere quotidiano, cioè perfettamente riproducibile ogni giorno, quella cucina raffinata. I frutti di questi apprendistati di alta gamma si ritrovano intatti nelle box di Stellato, in cui l’eccellenza degli ingredienti si unisce alla facilità di esecuzione. A parte il dettaglio del dessert che, data l’inettitudine di chi scrive, lo chef Bottura dell’Osteria Francescana avrebbe ribattezzato “Oops! Mi è svenuta la tortina”. Sembra un nome promettente per un dolce e per uno chef allo sbaraglio.
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