Testo e foto di Keti Mazzi
Dopo due anni e otto mesi di isolamento, dall’altra parte del mondo, sono tornata in Italia, ho nuotato e riassaggiato l’acqua del mare e del fiume, il salato e il dolce. È stato un agosto viscerale, tenero, sorprendente di situazioni e di persone; irripetibile per intensità.
In treno da Milano ad Arezzo, senza coincidenze come da orari estivi delle Ferrovie dello Stato, con le valigie piene quasi solo di regali per un vero e proprio ricongiungimento emotivo, culturale, familiare. E così è stato con la sensazione dominante che non fosse passato tutto quel tempo, o meglio che il tempo passato concedesse il sollazzo di una conversione a U, ritrovando al loro posto, ammiccanti, rassicuranti, tutte le cose a cui sei legata, compresi i saluti dei vicini, i riti mattutini al Caffè Fonterosa, gli scalini in Piazza Grande, l’accoglienza festosa dei cani.
Riscoprendo, per la Giostra del Saracino, il mio animo contradaiolo, la fedeltà al rosso e al verde, colori del quartiere di Porta Crucifera o, come dicono gli aretini, di Colcitrone; così come le zingarate notturne in città, cantando a squarciagola Maledetta primavera. Fino alla strana magia di mettere in moto la Mini, di ricordarmi come si guida, mentre mi sintonizzo su Radio Deejay, e incrocio la voce di Linus. Tutto come prima, due anni e otto mesi dopo.
Solo chi ha vissuto lontano da casa, isolato dalla pandemia, limitato a dei rapporti virtuali, può capire l’ebbrezza di tanti minimi dettagli ritrovati. E potrei continuare a lungo, solo descrivendo i tipi di italiano e italiana che incontri sul treno, che ho “abbracciato” con un’identica, irrefrenabile, voglia di tenerezza. Tornando seria, voglio dire che durante questo agosto di vacanza e di lavoro mi è parso di trovare più etica in giro. Non morale che sa di sagrestia o di politicamente corretto, ma etica che è l’aspirazione a una maggiore giustizia e serenità del vivere cui tutte le morali dovrebbe tendere. Etica, sia nel senso di desiderio di leggerezza, sia di ferma volontà di stringere i rapporti, di non lasciarli andare ai capricci del destino.
In viaggio per l’Italia che produce bontà e bellezza
Il 23 settembre era il primo compleanno di Casa Certa, aperta nella zona sud di Hong Kong, che, come dice il nome, è il luogo dove i prodotti italiani incontrano i clienti in un’atmosfera fisica e festosa. Da lì inizia il viaggio a ritroso verso la bontà e la bellezza e scatta la scintilla della partenza. Non una semplice vetrina, ma un’esperienza di tutti i sensi, l’invito ad aggiornare la propria mappa del gusto. Si assaggia, si cena, si impara, ci si diverte, si acquista. Perché noi dedichiamo emozioni, non stampiamo cartoline.
Dal 6 agosto al 6 settembre, il mio viaggio a zig-zag per l’Italia, gomito a gomito con mio fratello Gianni, cofondatore e coordinatore di Certa Platform, il nostro catalogo online e con Benedetta Anghileri, communication and digital brand manager ha confermato la mia convinzione. Quella, cioè, di proporre attraverso il cibo e il vino storie originali, veri e propri racconti. E allora, se di cultura, di estetica, forse addirittura di religione si tratta, se il nostro grande Paese continua a essere, grazie al lavoro di molti eletti, un giardino d’esperienze enogastronomiche, di civiltà materiale e spirituale, perché non tessere la tela di questi straordinari spunti di viaggio?
D’ora in poi, ci dedicheremo anche a questo, fidelizzando ulteriormente i possessori della nostra wine card che, attraverso consigli e itinerari, diventerà la chiave d’accesso per le stesse, quotidiane, meraviglie che mi hanno seguita in un mese di spostamenti. La forza di Certa è sapere dove siamo, cosa facciamo e perché scegliamo questa cosa piuttosto di quell’altra. Con la formula Travel with Certa chiunque potrà aggiungere al suo viaggio italiano informazioni essenziali, da quando visitare Napoli al corso di cucina, alla visita erudita al pastificio, alla dimora con cantina in Trentino o nei vigneti vertiginosi della Costiera Amalfitana.
Il panuozzo è una cosa seria!
Prendiamo, ad esempio, il panuozzo, tipico della zona di Gragnano e dei monti Lattari in Campania. L’ho scoperto per caso, perché eravamo in ritardo a un appuntamento. Il panuozzo è un modo sontuoso di rifocillarsi. Nient’altro che un panino, fatto con la pasta della pizza e usato nelle pizzerie come ruota di scorta.
L’avvertimento suona veritiero: il panuozzo è una cosa seria! Alla sapidità dell’impasto si aggiunge, infatti, una varietà di farciture praticamente infinita. Tutti i condimenti della pizza possono convergere, trasformando il panuozzo nella metempsicosi di un pranzo. Io l’ho capito da Iolanda a Gragnano. In un mese con tutta la buona volontà non avrei potuto visitare gli oltre sessanta partner in catalogo. Ho dovuto scegliere e lasciare anche il passo alla famiglia che, però, ha sempre avuto il piacere di scoprire cosa regala un territorio, vocato a questo e a quello.
Come nel caso della visita con papà alla cantina Poliziano di Montepulciano. Una bellissima giornata insieme alla famiglia Carletti, al vino Nobile e al dilemma: pici all’aglione o tagliatelle al ragù? Con Gianni ci siamo, invece, concentrati sul Sangiovese, l’amore giovanile, scandito dai viaggi in vespa, dal salame e dalle salsicce del Chini, a Gaiole in Chianti. Visita inebriante, quindi, alla cantina Riecine dove, come dice il suo mentore John Dunkley: “Ogni gentlemen che possa fregiarsi di questo nome, dovrebbe apprezzare la gioia di un buon vino Sangiovese”. Da ladies, condividiamo.
Analoga magia tra le crete senesi alla Fattoria Carpineta Fontalpino di Castelnuovo Berardenga, biologica dal 2008. Oltre al vino, Chianti dei Colli senesi, Chianti Classico e uno spumante metodo classico, nei cinquantadue ettari di seminativi si coltivano due cultivar di grano, il Verna, tenero e il Senatore Cappelli, duro. Con quest’ultimo, vengono prodotti pici, mezzi paccheri, fusilli e penne.
Da Bolgheri al Giglio, senza dimenticare Cortona, Cetara e il Trentino
A Podere Sapaio di Bolgheri, con Massimo Piccin, ingegnere di Vittorio Veneto, mi sono guadagnata, durante la vendemmia, il vezzeggiativo di Ketina. Ed emozionante la visita all’Isola del Giglio, a Le Secche dove Piccin si dedica all’Ansonica. Casa al Castello, alba in vigna (poco meno di un ettaro) e tanti fichi d’India come fossimo in Sicilia.
Le mie incursioni alcoliche e non sono proseguite a tamburo battente nel Casentino per prosciutto, coppa e arista di maiale Grigio. Ma prima, a Cortona, s’è toccata la felicità con Syrah e salsiccia fresca in compagnia di Stefano Amerighi, pigiatura alla maniera antica con i piedi ed etica biodinamica. Qui vendemmiavano ascoltando i Queen in sottofondo.
Nel cuore dell’Umbria, c’è stato l’incontro con la famiglia Lungarotti, new entry di Certa, sinonimo di vini esemplari, prodotti nelle due Tenute di Torgiano e Montefalco e alla Fattoria del Pometo. Confrontandomi con Francesco Zaganelli, export manager delle cantine Lugarotti, il ricordo goloso è legato alla Locanda del Borgo nella storica cantina di famiglia con una nevicata di tartufo estivo.
Il mio viaggio in Italia ha affrontato altre tappe, abbracciando il sapere dei pastai Gentile a Gragnano e quello di grandi pescatori, con la colatura di alici di Armatore nel loro Ristorante La Dispensa a Cetara dove, improvvisamente, ti rendi conto che gli orari asiatici non coincidono con quelli locali, per cui si fa l’aperitivo alle 20 e la cena inizia alle 22. Giusto così.
Termino questa lettera, che a scriverla mi gira ancora un po’ la testa, con un’altra new entry: l’Azienda Agricola Pojer e Sandri a Faedo, in Trentino, due ettari di vigneti di montagna e di idee. Lo si evince anche da questa citazione di Pojer: “La nostra è una viticoltura ragionata: non abbiamo scelto il metodo biologico su tutta l’azienda, perché impone i trattamenti anche di notte e molti appezzamenti sono in forte pendenza. Ma è anche una viticultura a luci rosse, da molti anni, infatti, per gli insetti abbiamo scelto la confusione sessuale. Si usa la minigonna, collari di plastica sul ceppo rivolti verso il piede della pianta, il sovescio con fava e pisello nonché esperimenti con segnali vibrazionali dello Scaphoideus titanus, vettore della flavescenza dorata”. Chi viaggia, impara cose e, se è bravo, le condivide.
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