Testo di Andrea Petrini
Foto di Fausto Mazza
Buttiamola così. Ci son dei posti che piuttosto vendereste vostra madre per non rivelare a chicchessia la loro ubicata esistenza. E altri, guarda un po’, che invece li condivideresti subito col vicino dirimpetto. Perché sei in definitiva un Giusto che sa riconoscere i suoi. In un mondo in cui i gentili altruisti fanno sempre la figura dei fessi, non facciamo digressioni oltre il lecito e assumiamo allora il nostro buonismo: passando per Piacenza, rinfrescatevi la memoria come si catalogneggiava una ventina di anni fa.
All’indomani della pluriannuale capatina a Rosas da Ferran Adrià non facevamo tutti la fila all’ora di pranzo dai fratelli Roca? Quindi, la prossima volta di rotta per La Palta dall’Isa Mazzocchi, la sola unica Marina Abramović della più grande cucina italiana, procacciatevi senza indugiare un pernottamento alla Locanda della Novo Osteria di Borgonovo Val Tidone e non Castel San Giovanni che è da quelle parti. Anzi, raddoppiate il bonus felicità.
Assicuratevi due nottate lì, perché dopo il dovuto omaggio alla Mazzocchi-san, una sera a cena (o a pranzo, se proprio insistete) dalla Novo Osteria prima che il karma del passaparola intasi il carnet delle prenotazioni, è un’anteprima garantita sull’inflazionismo dei tanti copisti che di sicuro a sciame seguiranno.
Di posti così ce ne sono pochi. Con un lui e una lei, ben a modo tutti e due, Daniele Lunghi e Simona Piccolini senza ciance e di poche parole. Le cose da dire sono implicite in tutto quel che fanno. Alla faccia dei grandi discorsi, dei messianici messaggi autopromozionali, qui non ci son slogan, né frasi fatte per pigri commensali e oziosi giornalosi. Avesse solo una gran bella mano non staremmo a dargli tutti ‘sti onori.
Di gente che sa cucinare al mondo ce n’è pure fin troppa. Ma Daniele Lunghi fa astrazione di tutto quel che altrove va per la maggiore, che sia il servizio ancora inamidato o da pacche sulle spalle. Zero hipster a vista tutta, non c’è un tatuaggio scollacciato, un orecchino peregrino o infilato di straforo. Quel che però confermiamo è che il posto seppur autocitato mera Osteria vale ben più di tanti ristoranti, fin troppo fieri della loro sociale ragione. È un atelier dei sapori, del territorio e d’altrove, un’officina di attenzioni e cortesia, con la Carta a garantire al popolo la libera e democratica scelta. Ma c’è pure a disposizione un menu per tutti quelli che, invece di stendersi dallo psicanalista per rimediare all’ancestrale complesso d’inferiorità, in crisi d’astinenza d’autorità, hanno ancora bisogno della gioviana e verticale visita guidata.
Il posto è talmente “così cozy” ma alla buona: da vieni come sei, con i mocassini di coccodrillo o le Birkenstock di cinque stagioni fa. Coppiette, famiglie ricomposte o mezze tavolate spensierate, ognuno trova quel che cerca. Se vi manca un Cicerone, chiedete a Barbara de Bernardin al ricevimento casomai il signor Gianni Maini, il felice proprietario, fosse pure oggi di casa. Per via della Mariù, la sua scapestrata moglie “che non ha voluto vaccinarsi e deve starsene tra quattro mura, perché non può più andare da nessuna parte, peggio per lei, se l’è cercata apposta, io sono sempre qui, ogni occasione presa non è più persa, sono sempre il secondo ad arrivare e l’ultimo a partire” dice lui in soffio continuo di parole come il sax tenore di Sonny Frollins d’un tempo.
Ultimo dei Moicani e autentico turattiano erede del Consorzio del Capitalismo Umanista, il signor Gianni vi racconterà come, dopo aver fatto fortuna il secolo scorso “inventando” i distributori automatici di caffè per ospedali e luoghi pubblici, decise anni fa di mettere a profitto i suoi profitti. Legando qualcosa alla regione, al piacentino territorio suo; un hotel-ristorante che ne diventasse l’ambasciatore.
Dando carta bianca a Daniele Lunghi e a Simona Piccolini, enfants du pays pure loro ma che non sbucati come al solito né da Bottura, né da Ducasse o da Marchesi, né dai Roca o da Redzepi ma figli spirituali sono di Ezio Santin dell’Antica Osteria del Ponte di Lugagnano. Una scuola di vita e di sapori dove appresero tutto dell’innata eleganza del gusto.
Il signor Gianni ha sacrosanta ragione di lasciarli fare. Senza strafare, in appena qualche mese dall’apertura appena agli albori della estate scorsa, Lunghi e Piccolini hanno messo già a punto un lessico che desta la plateale ammirazione.
Nel dimenticatoio l’abituale diluvio di snacks, qui per fortuna il benvenuto ha i sobri tratti d’un minimalismo indirettamente proporzionale alla sua profondità: un Brodetto chiaro chiaro di zucca all’olio di curcuma e prezzemolo, evocante esotici e terrestri sentori di scorze di patate.
È l’incipit d’un sinuoso movimento tra mare e terra, col serafico Carpaccio di Vitello romagnolo in salsa di cozze, crema di Parmigiano e foglioline di nasturzio, per un arioso richiamo di salsedine marina. E questo in anteprima dei Cappelletti di Parmigiano nel signor brodo di cappone, un tocco di zenzero per l’agilità e un’inezia di caviale a mo’ di sapida interferenza.
Quelli della Michelin, quando manderanno giù come al solito i gallici sbirri a far da capoccia, se non proprio stolti sono e stolti resteranno allora diranno: “Un sans faute!”. Poveretti loro ma poveretti pure voi che non avete ancora assaggiato il Risotto Carnaroli alla fonduta di cipolla mantecato non col burro ma col caprino del Boscassio, per un’allusione di vivacità – che va a pennello con i chicchi di riso, più piccoli della norma, fatti su misura a seguito d’una specifica pilatura tailor made proprio per Daniele.
Per rendere il risotto più cremoso, senza la ridondante aggiunta di materie grasse. Un risotto così, classico ma altro, è roba da manuali di scuola. Ci fossero stati i datteri e i ricci di mare, avremmo probabilmente detto la stessa cosa della Chianina preparata proprio così. Ma ahinoi, cucina di mercato oblige, quella sera non c’era neanche la Testina di vitello che è, a detta degli happy few ben introdotti agli arcani del retrobottega, alla grande il signature dish di Daniele Lunghi (pure il signor Gianni, burbero quanto basta, valida e per una volta tacitamente acconsente).
Che però assaggiamo, premio di consolazione, nella versione Animelle con cannocchie: mannaggia alla testina! è roba pure questa d’andar fuori di testa, per l’osmosi delle consistenze, per l’accorto contrappunto del lattoso col marino. Quando torniamo, oltre alla suddetta Testina, in anticipo prenotiamo pure il Curry di trippette ai gamberi rosa, la Zuppa di Baccalà con verza e alloro e, visto che ci siamo, anche le Ostriche alle puntarelle.
Poi magari ci fermiamo lì che intendiamo darci al crash test d’altissimo piacimento di tutti, dicesi tutti, i dessert della Piccinini. A costo di farci il doggy bag per l’indomani mattina con tè verde, o cappuccino al latte di mandorle, per la prima colazione in un dulcis in primis florilegio di croissant, brioche e sfoglie da antologia.
Se poi, con un senso del timing degno d’un orologio svizzero, il signor Gianni capita a pennello a fine colazione con l’ultimo boccone dei Marroni, pere e vermouth o del Millefoglie alla vaniglia e caramellato esotico, dategli retta. Seguitelo in cantina.
Troverete con lui tutti i suoi tesori di guerra e quel che di meglio gli sfinfera, bianchi e rossi d’alto nostro gradimento, “solforosi o naturosi” tutti assieme, compreso il Boccadirosa, la malvasia aromatica di Candia nei Colli Piacentini, o il match point della serata precedente, la barbera & croatina del Vignamorello della Tosa, 14 gradi nottetempo scivolati via come una lettera nella casella della posta.
Appena sior Gianni, un erudito in materia, incomincia a condividere la sua enciclopedica conoscenza degli insaccati, chiedete seduta stante alla vostra segreteria d’annullare tutte le pomeridiane riunioni. Noi, pure per stra-salumeggiare in idonea e posata sede col Gianni alla Novo Osteria, abbiamo già preso appuntamento. Comprese ad minimum due notti di pernottamento.
Novo Osteria
Piazza De Cristoforis, 30
29011 Borgonovo Val Tidone (PC)
Tel: +39 0523 340175
www.novo-osteria.it