Testo di Luca Martinelli
Foto cortesia di Chihuahua Tacos
Dopo aver mangiato il suo taco, Alessandro Longhin prende una salvietta e serafico – con assoluta tranquillità e un sorriso vivo – afferma: “chi non ha voglia di sporcarsi, può sempre scegliere di mangiare sushi”. Longhin è seduto a un tavolo di Chihuahua Tacos, in via Paolo Sarpi 60, a Milano. È il secondo negozio che ha aperto in città insieme al socio Samuele Luè, che è anche lo chef responsabile della cucina. La vetrina in Chinatown è stata inaugurata nel giugno del 2021, a meno di due anni dal lancio del marchio e del primo locale, che è in viale Col di Lana 1. L’insegna Chihuahua Tacos, mexican bar nella definizione dei fondatori, è nata nel dicembre 2019. “La pandemia ci ha consacrati – spiega Longhin – nel primo mese di lockdown siamo rimasti chiusi, trasformando questo momento in un’opportunità, studiando le nostre ricette per far sì che i tacos arrivassero intatti a casa delle persone”.
Sperimentazione è la parola d’ordine: lunghe cotture al forno, marinature, salse fatte in casa; carni di qualità, come gli agnelli allevati al pascolo o i polli italiani allevati a terra; ricerca sulle tecniche di cottura, come la barbacoa. E prove su prove prima di lanciare un nuovo prodotto, ad esempio il Taco de Pastor – vera icona in Messico – cucinato il 2 novembre per celebrare il Dìa de Los Muertos (la festa più sentita del Messico) ripieno di carne di maiale cotta lentamente al trompo (allo spiedo), guacamole, salsa roja, cipolla e cilantro, il coriandolo.
Facciamo un passo indietro: i tacos sono lo street food messicano per eccellenza. Alla base, un disco piatto di mais, che deve lasciarsi contaminare dai liquidi di cottura del ripieno (che sia di carne o di verdure) e delle salse, senza perdere consistenza né sfaldarsi. Un’altra massima di Alessandro Longhin recita così: “il 50 per cento del taco è la tortilla”. Significa che se questa non fosse di qualità – e più avanti ne parleremo – il risultato finale ne risentirebbe. Nel 2009 Netflix ha dedicato ai tacos un’intera serie: “Era il momento perfetto per aprire” dice Longhin. “In tutto il mondo, i tacos bar sono i locali più divertenti, dove mi rifugio sempre quando viaggio”. Ed elenca locali di Los Angeles (Guerrilla, 1986) e di Città del Messico (Orinoco), anche se confessa che nella capitale messicana preferisce studiare (e mangiare) in una delle tante taquerias de la calle, per strada.
Dietro la passione messicana di Longhin – che a Milano ha aperto negli anni The Botanical Club (dedicato alla mixology), Champagne Socialist (dedicato al vino naturale) e Forno Collettivo (dedicato al pane agricolo), anticipando o accompagnando onde – c’è però dell’altro. Facciamo un altro passo indietro, di quasi cinquant’anni. “Negli anni Settanta i miei genitori si sono trasferiti in Messico, dove sono nati i miei fratelli. Sono tornati in Italia quando mia madre aspettava me”. Alessandro Longhin è nato a Treviso, nel 1982, ma il Messico lo porta dentro. A meno di vent’anni, ha fatto un’esperienza di lavoro a Mérida, nella penisola dello Yucatan, poi ha continuato a frequentare il Paese.
Torniamo al tavolo: anche se la tortilla è di qualità, da Chihuahua Tacos si sporcano le mani e la barba perché i tacos sono ricchissimi. Quelli di carne, ad esempio, ne contengono circa 50 grammi. Questo significa che una porzione da tre è sufficiente per un pranzo e che la cosa migliore è arrivare con amici, perché così se ne possono ordinare di diverso tipo, condividendo i vassoi. Dal menu scegliamo Carnita, Barbacoa e il Taco vegetariano. Il primo è servito con coscia di maiale brasata, cioè cotta molto lentamente e sfilacciata, salsa roja, arancia, coriandolo, ravanelli e jalapeños sott’aceto. Il secondo è fatto invece con carne di agnello, cotta in marinatura messicana, con salsa verde borracha, coriandolo, crema
e cipolla rossa sott’aceto.
Marinature, cotture lente e il sapiente mix di ingredienti fan sì che ogni morso riempia di gusto tutto il palato, capace di decifrare il dolce, il piccante, il grasso e il salato. La versione veg, che si chiama Campesino (contadino), non è affatto una seconda scelta, una proposta banale fatta per chi non mangia carne: l’insieme di chile poblano, nopales (cactus), cavolo nero, funghi misti di campo, crema di patate al lime, pesto di Epazote (un’erba parente degli spinaci) e noci è stellare.
Completano il menu a base di tortillas anche Quesadillas (tortillas più grandi chiuse come un sofficino, ripiene di formaggio e altri ingredienti), Tacos dorados (ovvero croccanti) e un dulce final, con una straordinaria riproposizione del Winner Taco, gelato icona degli anni Novanta. In tavola arriva una Tortilla di mais fritta con gelato alla crema, crosta di cioccolato fondente, granella di nocciole e dulce de leche al lime. Anche in questo caso, non ci si può che sporcare.
Le tortillas arrivano tutte da un unico fornitore: è La Morenita, laboratorio artigiano avviato a Bastia Umbra (PG) dalla famiglia Becker, emigrata dal Messico una decina di anni fa. Hanno iniziato a produrre tortillas per il consumo quotidiano in casa e oggi servono molte cucine, tra cui quella di Karime Lopez – una delle protagoniste dell’ultimo Gelinaz lucchese alla Tenuta di Valgiano – al Gucci Garden di Firenze. “Trasformano solo mais italiano di qualità, preferibilmente biologico. Ci siamo incontrati e riconosciuti e abbiamo creduto nel loro progetto di continuità e qualità aziendale” dice Longhin. Ogni settimana le cucine dei due Chihuahua Tacos ordinano tra i 100 e i 150 chilogrammi di tortillas e tra i 50 di totopos, i triangoli di mais fritti che si accompagnano al guacamole, la salsa di avocado.
Sul tavolo, però, Longhin ha fatto portare anche le patate fritte, una delle entradas, gli antipasti, che sono gli unici piatti del menu che non prevedono necessariamente l’uso delle tortillas. “Sono un furto – spiega, le ha copiate dalla taqueria Orinoco – patate novelle schiacciate e fritte servite con mayonese di chile Morita e lime”. La mente corre alle Ricette Rubate (per artigiani, sognatori e startupper) di Forno Brisa, e non ci siamo lontani: “I nostri locali sono plastic free, prestiamo attenzione alla risorse umane, limitando i turni spezzati, garantendo un orario reale di 40 ore con al massimo sei ore di straordinario e due giorni off per tutti ogni settimana” continua Alessandro Longhin. Anche gli ortaggi sono biologici, locali e stagionali. “Non lo raccontiamo, no. Forse diamo per scontato che le cose siano così”.
Una sfida culturale, a cui forse l’Italia è pronta: “Il tacos è un piatto accessibile, la nostra sfida, che condividiamo con la nuova comunità cinese, è raccontare l’autenticità di questo piatto in chiave contemporanea e milanese, usando materie prime autentiche” sottolinea Longhin. “Dobbiamo superare un retaggio, che ha portato gli italiani a credere che la cucina messicana fosse quella tex-mex” conclude. Al prossimo appuntamento, serale, proveremo anche i cocktail, studiati per accompagnare i piatti. A pranzo si può optare intanto per una birra, artigianale o messicana o per un calice di vino naturale. In carta ci sono tre etichette, una per ogni colore dell’immagine coordinata: bianco, arancio, rosso.
Chiuhuaha Tacos
Viale Col di Lana 1
20136 Milano (MI)
Via Paolo Sarpi 60
Tel: 02 36742528
www.chihuahuatacos.com