Mini-storia
hype burrosa
A Seoul la colazione sta diventando il pasto più importante
Nella capitale sudcoreana, ma un po’ in tutto il Paese, si moltiplicano caffetterie specialty e bakery internazionali
A Seoul la colazione sta diventando il pasto più importante
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Sono seduto a un tavolo sociale di cemento armato, in un edificio che sarebbe la perfetta scenografia per un film post-apocalittico: i muri scalcinati, gli ambienti posizionati in un reticolo asimmetrico, gli infissi di ghisa e ferro. Fuori piove a dirotto. Se fosse un film sugli zombie, sarei nel bel mezzo della scena madre. Quella che ti tiene sul filo dell’ansia finché il montaggio non ti catapulta in un’altra sequenza; davanti a me ci sarebbe una pistola con un solo colpo e, intorno, la città sempre più crepuscolare e invasa da non-morti.

Però, davanti a me c’è un mini-pandoro con una cupola piramidale di zucchero a velo che lo fa sembrare la silhouette della testa di un piccolo gnomo e un bicchierone di choco-latte freddo. Sono al Cafe Onion di Seoul, quello del quartiere Seongsu, una delle zone di più recente hipsterizzazione della capitale sudcoreana: un dedalo di vecchi capannoni industriali in mattoni che un tempo erano sede di piccole fabbriche siderurgiche, magazzini e tipografie, poi di calzolai e artigiani, e oggi di enoteche, centri culturali, negozi di moda, caffè e bakery. I muri scalcinati di Onion non sono il degrado dalla noncuranza e dal tempo che passa, ma la scientifica celebrazione della decadenza post-industriale che negli anni, in tutto il mondo, ha costruito un affascinante (e pratico) immaginario in grado di sposarsi di volta in volta con i trend del momento. Un’estetica egemonica, qui a Seongsu, dove i brand di moda allestiscono pop-up store che sono installazioni artistiche e le gallerie d’arte hanno il piglio trendy di una sfilata.

Questo infatti è solo uno degli store di Onion, che a Seoul ha messo in atto una sofisticata operazione di camouflage per adattarsi all’estetica urbana dei diversi quartieri in cui ha aperto, riuscendo ad affermare con ancora più forza il suo brand: si trasforma in un’antica casa coreana con le sedute a terra nel tradizionale villaggio hanok di Bukchon o diventa un piccolo chiosco che occupa l’angolo di un palazzo per il take-away, accanto al mercato di Gwangjang, uno dei più grandi e frequentati della città, famoso soprattutto per lo street-food.

Se a Seoul esiste un caso come quello di Onion è perché, oggi, la capitale sudcoreana è invasa da caffetterie specialty, roastery e bakery.

In alcuni quartieri è impossibile non notare questi locali che puntellano le strade commerciali come le piccole viuzze con grandi vetrate da cui si scorge un arredo minimal. Qui, fare colazione diventa quasi una sfida con se stessi nel provare a stilare una classifica del salt bread più fluffy, una brioche al burro salato chiamata “shio pan” che da Onion ricoprono di cioccolato e sale Maldon, o del pain au chocolat più flaky.

Alloggio nel quartiere Euljiro. Quando ho prenotato l’albergo non immaginavo che tra le basse tipografiche in cui rotative e rilegatrici sono in funzione h24, si nascondesse un tentacolare sistema di bar, locali e café alla moda. Di certo, non me ne sono accorto la sera appena arrivato, quando l’unica insegna colorata che spezzava le luci fredde delle stamperie ancora aperte, era quella verde e arancio di un 7 Eleven. L’ho notato la mattina dopo, quando, cercando un posto in cui fare colazione, ho visto un piccolo locale all’angolo: Asor Coffee. Una torrefazione di pochi metri-quadri con una piccola e curata scelta di dolci e la proposta di diverse miscele di caffè. Oltre alla tostatura e al servizio del bar, già dal 2017 (quattro anni prima dell’apertura) curano corsi di formazione per “imparare a fare il caffè”, dalla conoscenza dei macchinari fino alla gestione operativa di una caffetteria. 

Nei giorni successivi, mi sposto per le stradine del quartiere e continuo a finire in locali simili. Non capisco se sono io a trovarli o loro ad avere uno strano magnetismo. Il Caffee on the Plan sembra la fusione tra un laboratorio per la ricerca batteriologica e l’ingresso di un museo razionalista. Una mattina ci vado due volte nel giro di tre ore, per fare una doppia colazione.

Mi sembra chiaro che lo scrunch del pain au chocolat sotto i denti rilasci un quantitativo di dopamina superiore alla media.

Sempre a Euljiro, nascosta in piena vista in un palazzo di tre piani che un tempo era un’officina o una ditta di piastrelle, c’è Susanna’s Apron: una bakery con vibes più francesi che minimal, e che ospita anche piccole esposizioni. Ad Hongdae, il quartiere della movida per antonomasia, Cafe Comma, con libri e pubblicazioni alle pareti, ricorda i “nostri” caffè letterari; ma anche lontano dalle zone in cui si nota di più un inesorabile processo di gentrificazione, ci si può imbattere in questo genere di bakery: Artist Bakery sembra un forno provenzale tra gli antichi palazzi Gyeongbokgung e Changdeokgung.

L’offerta in questi locali non si ferma ai dolci: tutti propongono anche delle soluzioni salate inaspettate, come delle imprevedibili focacce che non si fatica ad associare a quelle “baresi”.

Anche le modalità del servizio sono per tutti le stesse. Il cibo è lontano dalla cassa e dallo spazio in cui si preparano le bevande: tutto è in bella mostra come su un palco. Ogni cliente mette il suo croissant o il suo salt-bread su un vassoio da self-service e passa in cassa. Qui ordina la bevanda. Quando ordini un te, ti chiedono se lo vuoi hot or ice. La scelta tra le varianti di miscele di caffè e bibite fredde è sempre molto ampia, ma non sfocia mai nel labirintico. Poi si paga e si riceve una di quelle rondelle nere che suonano, si illuminano e vibrano quando l’ordine è pronto. Ci si siede ad aspettare il suono-luce-vibrazione e si torna a prendere il vassoio con cibo e bevanda.

Non è il rituale caotico italiano, dove la colazione al bar diventa una mattina alla borsa-contrattazioni, con i baristi che si chiamano i caffè da fare – c’ho due espressi, uno in vetro, un lungo, un deca, il lungo a portar via – e i cornetti si pescano dalle vetrine con i fazzoletti di carta-plastica o ti vengono consegnati direttamente in mano dal banchista.

In Corea del Sud, la colazione “al bar” non è il rito caciarone con cui in Italia iniziamo le nostre giornate, ma una procedura misurata.

E forse non è un caso se, spinto anche da una piccola rivoluzione interna, l’approccio al caffè di (una minuscola parte) di italiani all’estero è indubbiamente cambiato negli ultimi 15 anni. Se prima si andava alla ricerca del nostro espresso, stra-corto e maledettamente bruciacchiato, lamentandoci anche di non trovarlo, oggi veniamo catturati come con la carta moschicida da caffetterie con linee minimali e nordeuropee, il menu del giorno disegnato con il pennarello bianco sul vetro all’ingresso e i cinnamon roll esposti al bancone. Locali che incentrano la loro proposta su una profonda ricerca della materia prima e della sua lavorazione, caffè in primis.

A Seoul, e in generale in Corea del Sud, si sta affermando anche questo aspetto della gastronomia – i caffè specialty e le bakery internazionali – che, come tutti i trend gastronomici, racconta di un posto molto di più di quello che viene solo servito a un tavolo. In questo Paese poi, incarna il piacevole trasformismo che flette la cultura locale ai gusti e alle tendenze di tutto il mondo. Altrimenti sarebbe difficile spiegare come si possa passare dalla colazione tradizionale – sostanzialmente un pasto come gli altri, a base di riso, zuppe e kimchi – a dei mini pandori serviti in un locale post-industriale.


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