Di certe notti si fa fatica a parlare al passato. Non perché non siano finite, ma perché continuano a fermentare dentro, come certi vini che riposano lunghi mesi in botte, in anfora, in bottiglia prima di rivelarsi. La quinta edizione de La Notte degli Osti è stata così: un vino vivo, vivace, emozionante. Un rito collettivo che ha superato la forma dell’evento per diventare gesto culturale. Si è celebrata il 24 e 25 giugno nel centro storico di Eboli, tra piazza Porta Dogana, il Chiostro di San Francesco e gli angoli segreti del Giardino Vacca de Dominicis. Non c’era un palco centrale, né un pubblico che guarda e applaude: La Notte degli Osti è immersiva, circolare, orizzontale. Tutti protagonisti.
Prima di tutto: cos’è La Notte degli Osti. L’abbiamo spiegato un po’ qui raccontando l’edizione passata: “è un tradizionale appuntamento di inizio estate tra un gruppo di amici Osti sparsi qua e là per l’Italia, che ormai hanno preso la bella abitudine di ritrovarsi nel centro storico di Eboli”. È stato creato e pensato da Giovanni Sparano, l’Oste del suo Alberto/Ritrovo nel cuore del centro cilentano che è anche l’epicentro de La Notte degli Osti. Tornati a Eboli dopo vent’anni a Parma, hanno portato con sé una visione poetica dell’essere osti: ascoltare, accogliere, proteggere. E lo fa creando rete con gli altri Osti come lui, tra cui Diego Sorba a cui Il tocco di Giovanni (e della moglie Laura Fantastico, cuoca dell’Alberto/Ritrovo) presente ma mai invadente, è il filo rosso che tiene insieme tutte le edizioni della Notte degli Osti. Il suo sguardo è quello che accoglie, predispone, armonizza.
Torniamo all’edizione 2025, la quinta, con un programma articolato che ha unito osti, vino, cucina e musica. La parola Incontri, il tema scelto, ha fatto da filo conduttore nella definizione degli intenti che poi si sono rivelati fatti.
Incontri tra chi cucina e chi serve, chi versa e chi ascolta.
Incontri tra osti visionari, gente di vigna e cuochi arrivati da ogni angolo d’Italia per cucinare, non per stupire, ma per condividere. Incontri tra un paese, Eboli, che ha accolto una comunità enogastronomica che vi si è immersa con rispetto.



Non sono mancate le storie di osteria dell’Oste Diego Sorba – con l’oste Simone Fanton a leggere “The book of None”, di “Viaggetti in Emilia” con Paolo Merlini e di “Osti Imbattibili” con Anna Morelli (approfondire qui) – il pranzo bucolico nel Giardino di Vacca De Dominicis a cura di Paolo Parisi, il brunch indimenticabile nel Giardino del ristorante Il Papavero con un parterre di fuoriclasse, il mercato dei vignaioli con street food nel Chiostro San Francesco seguito dal concertone dei Casino Royale. Tutto decisamente bello, ricco, godurioso che ha caricato gli animi per la notte da leoni, cioè la vera Notte degli Osti.
Sei osterie del centro storico libero per sei incontri tra cuochi, osti e vignaioli. Unica missione: collaborare tra realtà che parlano d’identità italiane, diverse e affini.
Quindi: Agata Felluga della sua Trattoria Cacciaconti ha incontrato Giovanni Sparano e Laura Fantastico di Alberto/Ritrovo; Andrea Poli di Gustificio si è unito a Il Papavero di Maurizio e Benedetta Somma; Pietro Bonacorsi e Matteo Tarozzi – i BBQ Geeks – hanno lavorato con Morena Donnantuoni della Dogana; Filippo Bonamici e Lorenzo Stefanini di Bonny Pizza e Gigliola hanno gestito il forno di Dino Marchetta e Francesca Perretta di Piazzetta Santa Sofia; Valeria Ghignone e Giovanni Della Monica di Generi di Conforto ha collaborato con Andrea Nanna di Cantina Segreta; mentre Chiara Malavasi e Claudio Lepore de L’Articiocca si sono mescolati a Gustavo Sparano e Paola Fulgione de Il Panigaccio. Il risultato? Un esercizio di relazione e non di stile, di cucine non fusion, ma di fusione umana. Che non racconteremo piatto by piatto, ma vi rimandiamo a questo video per capire il mood.


Se non conoscete tutti questi cuochi che vi abbiamo nominato, te li raccontiamo velocemente ma sono a loro modo rappresentativi di quelle cucine dirette, consapevoli e sincere che ci auguriamo di trovare nelle osterie, ma con quell’ingrediente in più dato dalla tecnica, dalla mano e dai gesti che capace di lasciarci a bocca aperta, incantati. Hanno tutti percorsi diversi alle spalle e davanti, ma hanno una visione comune: cucinare come atto di relazione.
In breve: la squadra Giglio, Bonny Pizza e Gigliola a Lucca ha scelto la via della gastronomia libera e pop per portare una cucina disinvolta, precisa e conviviale, capace di unire tecnica e spirito inclusivo. I BBQ Geeks, ovvero Pietro Bonacorsi e Matteo Tarozzi, sono maestri della brace che hanno fatto del fumo una lingua viva con cui raccontano un’idea di cucina che unisce barbecue americano e materia prima italiana. Andrea Poli del Gustificio è portavoce della multifunzionalità con un progetto multiforme dove ogni momento della giornata è celebrato con cura e consapevolezza. Chiara Malavasi e Claudio Lepore, de L’Articiocca di Sestri Levante, con una cucina che sa essere insieme tradizionale ed eccentrica, tutta fatta a mano e pensata con intelligenza e rispetto della materia prima. Valeria Ghignone e Giovanni Della Monica hanno un progetto agricolo/ristorativo che si chiama Generi di Conforto, in provincia di Salerno, improntata allo stare benissimo (come anticipa il nome) con una è una cucina di prodotto, di stagione, di senso, in un’agricoltura che diventa ospitalità. Infine, Agata Felluga della Trattoria Cacciaconti, la Dame en Blanc di Cook_inc. 37 con una cucina che nasce dall’esperienza dell’alta ristorazione parigina ma trova le sue radici più profonde in piatti essenziali, intensi, liberi.









Attorno a loro, i cuochi e i ristoranti, una galassia di osti e vignaioli da tutta Italia si è stretta per due giorni come si fa tra vecchi amici. Si sono scambiati bottiglie, ricette, abbracci e sudore (impossibile tenere gli osti fermi a tavola così come impossibile dire a un vignaiolo che la sete è finita). E hanno reso al vino una dimensione tutt’altro che estetica, piuttosto pedagogica, sociale, vera e decisamente umana. Il bello di questa Notte sta nel fatto che nulla viene “apparecchiato” per stupire: è il luogo stesso che si fa teatro e i protagonisti che si fanno attori di una messa in scena alla Niccolò Paganini, che va in scena one shot, che non si ripete mai uguale.
E così, alla fine, La Notte degli Osti si è chiusa senza chiudersi davvero. Come tutte le esperienze sincere e continua a vivere nei racconti, nei ritorni, nelle bottiglie portate via per essere condivise altrove. Una l’ho già bevuta anche io con i ragazzi de L’Articiocca a casa loro, a Sestri Levante; era della selezione di Gaetano Guacci, l’oste del RitroVino a Noto. Eboli è tornata al suo passo, ma qualcosa è cambiato. Perché chi c’era lo sa: per due giorni abbiamo vissuto il piccolo miracolo di un’Italia gastronomica che si incontra attorno a un tavolo, per condividere e raccontarsi. E che ha voglia di fare cose insieme.
Ma cosa resta ora, a distanza di un mese? Resta moltissimo.
Resta l’idea che un altro modo di fare le cose è possibile. Che la cura, la scelta, la bellezza lenta, la convivialità pensata e non svenduta, hanno ancora un senso. Che non tutto deve essere grande per essere importante. Che si può fare cultura con un bicchiere, una sedia di plastica e qualche sorriso, se il gesto è onesto.
Resta una rete sempre più grande: tra osti, vignaioli, artigiani, cuochi. Una sorta di intelligenza collettiva fatta di mani e storie. Resta un modo di stare al mondo: più collaborativo. E soprattutto resta la voglia di rifarlo. Perché una volta l’anno, a Eboli, il centro si accende, si apre, si supera. E allora non resta che attendere, come si fa con un vino in cantina, la prossima Notte degli Osti che sta già fermentando.