A Milano c’è un bistrot che suona come un pezzo dei Queens of the Stone Age. Da Mater non si “mangia bene”, ma si viene finalmente spinti giù da un burrone di sapori interessanti, come un Gyoza col ragù bolognese, salsa ricotta scanta e olio ‘nduja, Pan brioche, salsiccia cruda e cozze alla scapece, e altre piacevoli collisioni che non credevamo possibili, come il Ceviche di alalunga, un sapore latino che graffia con habanero e mosto di fichi. Mater Bistrot mette radici a Milano, in zona Cinque Giornate, nel 2018, grazie ad Alex Leone, chef resident, e al duo formato da Giuseppe Pillone e Salvatore Giannone, che dopo aver passato anni a lavorare in tandem su progetti creativi in campo pubblicitario, hanno deciso di dare ascolto alla passione gastronomica e a quella enologica.


La cucina di Mater è un cortocircuito calcolato, una collisione frontale tra idee che nessuno avrebbe avuto il coraggio di mettere insieme. Ma qui sì, e funziona. In un locale essenziale, senza troppi fronzoli, regna il caos ordinato della cucina di ricerca che non cerca di piacere a tutti, plasmata dalle mani di chef Alex Leone e del suo team.
Serve un esempio pratico per dare giustizia a queste idee. Prendiamo il Ceviche di alalunga. Al centro del piatto c’è il tonno crudo, lucido come un vinile appena scartato, circondato da una leche de tigre bastardizzata: brodo di pesce, zenzero, aglio, cipolla, salsa rosa, e una carezza pungente dell’habanero fermentato. Poi arriva la salsa al mosto di fichi, dolcezza vischiosa che ti illude prima dell’ennesima rasoiata piccante. Non è un ceviche, è un animale da palcoscenico. Ma è ancora più wild, lo Spiedino di lingua: prima brasata, poi passata sulla brace. La carne, tenera e succulenta, si veste di un chimichurri ruvido e pungente, mentre l’aglio nero porta quella nota funky che vorrebbe suonare ancora, ancora e ancora. Ma Mater non si ferma al singolo acuto.
È un concept che ragiona per scontri e contaminazioni continue.
Anche il Tacos con foglia di shiso è un altro colpo basso: dentro c’è una giardiniera homemade che crocca sotto i denti, poi la mayo orientale, sferzata da sake, mirin e tosatzu, che avvolge tutto con la sua untuosità elegante. È uno street food che ha preso la laurea a Tokyo e il master in Messico, per uscire con un bel 30 e lode.





Piatti taglienti e intenzioni nette, Mater è un manifesto gastronomico che prende per il bavero l’ossessione contemporanea per il politically correct del gusto. Qui si osa, si mescola, si rompe, si frigge, si brucia. Ogni piatto è un’ipotesi gastronomica che sfida l’ortodossia e balla sulla linea sottile tra intuizione e follia. E quando pensi che sia finita, il dolce ti prende alle spalle. La Burned basque cheesecake arriva nuda, senza base, come la tradizione basca vuole. Ma poi ci pensa l’aceto di banane e la verbena a spalancarti altre porte sensoriali. Dolce, acido, floreale, acidulo. Sembra un finale, ma è solo l’ennesima traccia bonus in coda al disco.
In un panorama gastronomico sempre più instagrammabile e omologato, Mater è quel club fumoso dove il rock’n’roll è ancora sporco, sudato e senza compromessi. Non per tutti, ma chi ci entra difficilmente ne esce illeso.