Mini-storia
fermentazioni
Kimchi Pop: quando la tradizione coreana incontra l’artigianalità italiana
La start-up di Erin Eun-Young Kim e Mark Blackwell
Testo di
Elisa Venco
Foto cortesia
Kimchi Pop: quando la tradizione coreana incontra l’artigianalità italiana
5 minuti

New York, 2019. Erin Eun-Young Kim, americana di origini coreane, cresciuta negli Stati Uniti e attiva nel mondo dell’arte, incontra Mark Blackwell, agente immobiliare, originario della Virginia. È l’inizio di una storia d’amore che li porterà dall’altra parte dell’Oceano, fino alle sponde del Lago di Como, per dare vita a un progetto imprenditoriale che unisce tradizione coreana e artigianalità italiana. Se infatti l’amore sboccia rapidamente, è il Covid a cambiare tutto. Erin aveva già fatto richiesta di ammissione alla Bocconi, e dopo la pandemia nessuno dei due voleva rimanere a New York. “Potevo rifare domanda nel 2021”, racconta Erin, e nell’ammissione i due vedono l’occasione per trasferirsi in Italia. Il 17 agosto dello stesso anno si sposano e il giorno dopo lasciano gli USA e sono già in volo: “È stato un bel saluto alla città”, ricorda Mark.

Mentre Erin studia luxury management alla Bocconi, Mark per nove mesi fa la spola tra Stati Uniti e Italia per continuare a lavorare nel mercato dell’immobiliare. Ma è proprio in quel periodo che nasce l’idea che cambierà le loro vite. “A New York era molto comune comprare kimchi fresco, perfino nei piccolo grocery stores, perché le persone erano molto consapevoli degli aspetti benefici legati alla salute”, spiega Mark. “Ma, una volta arrivati qui, Erin trovava solo quello confezionato, pieno di conservanti. Così ha detto: dovremmo farcelo a casa”.  

Da un’esigenza personale nasce presto un progetto più ampio: la coppia inizia a condividere il kimchi fatto in casa con gli amici, che ne rimangono entusiasti. E alla fine nasce Kimchi Pop, una società di produzione di kimchi che segue la tradizione coreana, ma con materie prime italiane (a eccezione di una varietà di pepe). L’aggettivo “pop” non è scelto a caso: “è il suono che fa il barattolo quando viene aperto, ma richiama anche per assonanza il K-pop, il genere musicale coreano che ha conquistato il mondo” chiarisce Erin. Un nome che racchiude tradizione e modernità, proprio come il loro prodotto.

L’arte della fermentazione

Nel loro micro-laboratorio a Valmadrera, sulle sponde del Lago di Como, Erin e Mark realizzano tutto a mano. “Il kimchi dipende dalla verdura scelta”, spiega Erin. “Il cavolo ci mette circa una settimana a fermentare al punto giusto, il cetriolo un’ora, il ravanello due giorni”. Il prodotto nel barattolo dura fino a 6 mesi e attualmente l’offerta prevede kimchi classico e vegano. La differenza tra le due versioni? “Una ha la salsa di pesce, l’altra no. Stiamo pensando di lanciare nuovi prodotti in base ai consigli dei clienti e ai nostri gusti”, raccontano.

“Il prossimo ingrediente protagonista del kimchi sarà il daikon. Ma stiamo anche valutando la produzione di una salsa di fagioli fermentata e speziata che si chiama gochujang”. A questo punto, davanti a tanta iniziativa e inventiva, viene da chiedersi: chi sono i loro clienti? “Pensavamo fossero viaggiatori abituati a mangiare kimchi, ma gli ordini che arrivano ci stupiscono”, ammette Erin. “Sostanzialmente abbiamo due pubblici: i millennials interessati al cibo esotico (che conoscono il cinema e l’arte coreana e sono viaggiatori) e una fascia trasversale di salutisti attenti a quello che mangiano e disposti a pagare un prezzo premium per un prodotto di qualità”.

“Siamo in una nicchia dove tutto è fatto a mano, cosa che abbiamo preso dall’Italia, dove le cose migliori sono fatte manualmente e con grande cura”, sottolinea Mark che annuncia un imminente accordo con un contadino per rifornirsi di verdura biologica. Non a caso sulle etichette è scritto: “tradizione coreana, fermentata in Italia”, perché noi “facciamo tutto da soli nel nostro laboratorio e vogliamo condividere questo valore aggiunto” sottolinea.

La strategia di distribuzione comprende la vendita online e quella porta a porta, recandosi personalmente nei negozi e nei ristoranti. Erin e Mark hanno anche iniziato a collaborare con locali incentrati sui vini naturali, “perché secondo noi abbiamo in comune l’attenzione all’aspetto salutistico”. Alcuni locali hanno creato appositi menu, abbinando per esempio, il prosecco alle patate con kimchi e sono nate collaborazioni interessanti. A Milano hanno lavorato con il Bar Quadronno per una collezione di panini in occasione della scorsa Design week, e con SideWalk Kitchen, dove uno chef americano serve hamburger con il loro kimchi. Sono stati contattati anche da ristoranti di poke ed Erin e Mark pensano che “anche la pizza, (che prevede già la cipolla caramellata, a volte), possa adattarsi bene. In generale, il kimchi si abbina bene ai carboidrati, quindi anche al toast o al formaggio”.

Se le idee e le prospettive non mancano, a confermare la bontà dell’idea (oltre che del loro prodotto) è stato l’esame più temuto: il verdetto della madre di Erin. “È una persona adorabile, ma molto diretta” premette Mark. “Temevamo il suo giudizio, essendo un piatto tradizionale. Lei l’ha assaggiato e ci ha detto: “Forza, facciamone un business. Lì abbiamo capito che eravamo sulla buona strada”. Nel laboratorio di Valmadrera, il futuro di Kimchi Pop passa attraverso nuovi ingredienti, collaborazioni inedite e la continua ricerca dell’equilibrio perfetto tra rispetto della tradizione e apertura al cambiamento. E così il “pop” di ogni barattolo che si apre è anche il suono di due mondi che si incontrano, fermentano e insieme creano sapori inaspettati.


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