C’è un gesto che più di altri racconta chi siamo: sedersi a tavola. Non solo per mangiare – quello lo fanno tutti – ma per scegliere come farlo, con chi, con cosa. Pasteggiare, verbo antico, quasi dimenticato, è una sorta di contrario di consumare. È un atto di fedeltà al tempo. E se c’è un vino che oggi restituisce dignità al tempo e al gusto, quello è la Vernaccia di San Gimignano.
Non è un bianco qualsiasi, è la Regina Bianca toscana: minerale, territoriale, ribelle. Una regina che è rimasta fedele a sé stessa mentre il mondo intorno inseguiva bollicine frivole, macerazioni ossidative o dolcezze ammiccanti. Lei no. Lei, la Vernaccia, è rimasta lì: ruvida e precisa, sapida e austera con la struttura di una roccia. Al di fuori di ogni moda. E oggi, proprio per questo, è sulla cresta dell’onda.
A celebrarla, nella sua terra, è stato il Regina Ribelle Wine Fest 2025, organizzato dal Consorzio del Vino Vernaccia di San Gimignano, che ha riunito appassionati e curiosi in Piazza Duomo per un week end ricchissimo di appuntamenti con tanto di musica e arte a incorniciare gli eventi. Ma ha riunito anche giornalisti ed esperti per due giorni esperienziali immersi nella bellezza verticale della Vernaccia per conoscerne le sfumature, i terroir e le persone… e per incontrare per la prima volta l’annata 2024. Per capire la Vernaccia bisogna partire dal suolo. Anzi, dai depositi pliocenici marini. Siamo davanti a un raro caso di vino che porta dentro di sé un fossile liquido del tempo. I suoli di San Gimignano — sabbie gialle, argille marine, conchiglie frantumate dal tempo — raccontano di un mare antico che si è ritirato lasciando dietro di sé una geografia gustativa inimitabile. La Vernaccia di San Gimignano è l’unico bianco toscano a DOCG. E non per caso. La sua origine geologica, la sua posizione tra Tirreno e Appennino, il suo microclima costante e ventoso la rendono diversa da qualsiasi altra espressione enologica italiana. È un vino che non ha bisogno di trucchi e lifting modaioli. Solo Vernaccia di San Gimignano, per almeno l’85% (il restante 15%, eventualmente, può essere composto da vitigni a bacca bianca non aromatici, idonei alla coltivazione per la Regione Toscana), e massimo rigore.


Il 2024 ci ha regalato un’annata complessa, ma tutt’altro che banale. L’inverno è passato senza scosse, mentre la primavera – fresca e piovosa al punto giusto – ha dato respiro ai vigneti. Poi, da luglio, l’estate ha acceso i motori: caldo intenso, notti tropicali e grappoli che hanno imparato a difendersi all’ombra delle foglie. A fine agosto, il cielo ha cambiato umore: piogge frequenti, vendemmia rallentata e selezione accurata, grappolo per grappolo. La Vernaccia ha tenuto testa con eleganza: meno alcol, più freschezza, profumi netti e una struttura agile. La produzione è tornata su livelli regolari dopo il crollo del 2023. Tecnica, pazienza e prontezza sono state le vere protagoniste. Il risultato? Vini più o meno pronti – a seconda dei casi – in generale equilibrati e con una buona prospettiva per il futuro, figli di un’annata che non si è lasciata domare facilmente. L’obiettivo della terza edizione del wine fest era, più che mai, fondere in modo magistrale cultura del vino e gastronomia d’autore, narrazione del paesaggio e consapevolezza.
Perché la Vernaccia non è un vino che si beve e basta.



La prima serata del festival ha voluto accendere i riflettori sull’abbinamento tra lievitazione contemporanea e mineralità da bere, andando oltre l’ormai mito-sfatato di pizza e bollicine. Perché se è vero che la pizza sta bene con tutto, è altrettanto vero che la Vernaccia di San Gimignano sta bene con tutto, ma l’accoppiata lascia ampio spazio per la creatività tra le parti, per fare di un semplice abbinamento un qualcosa che lascia il segno. Al timone di questa impresa, tre maestri della pizza d’autore toscana: Tommaso Vatti (La Pergola, Radicondoli), Giovanni Santarpia (Santarpia, Firenze) e Massimo Giovannini (Apogeo, Pietrasanta). Ognuno con il proprio stile, ognuno con una personale idea di cosa significhi fare pizza oggi, hanno creato un menu. Combo di montanarine per Santarpia, mago della frittura soave con la Montanarina con pomodoro e ricolta salata e Montanarina con pomodoro stracciatella e prosciutto crudo. Veracità chiantigiana per Tommaso Vatti con la Pizza con cipolla arrosto, girello di Maremmana, insalata e crumble di pane Evolutivo all’olio extravergine d’oliva IGP Toscano con quel giro d’olio a crudo che lo rende ingrediente. Intenso sapore di mare per Massimo Giovannini con una Trabaccolara con sugo di pesce povero del Tirreno, sedano croccante, olio all’aglio orsino. E la Vernaccia giovane (con le annate 2024 e 2023 in libero assaggio) si è rivelata partner perfetta, con sorsi: ha sgrassato, ha tagliato la dolcezza, ha amplificato la complessità di marina, ha raffinato con sferzate di eleganza. Ogni sorso un colpo di scena, ogni boccone un contrappunto.


Per la seconda serata la musica è cambiata: a dirigere la cena di gala, lo chef Gaetano Trovato, due stelle Michelin al suo Arnolfo a Colle Val d’Elsa, e le sue portentose brigate di sala e di cucina. Quella dell’Arnolfo è cucina che non cerca la spettacolarità, ma l’equilibrio; che non rincorre il gusto facile, ma costruisce architetture emotive. È una cucina che nel suo modo di essere così pacata e al contempo potente, così schietta ed evoluta, ha davvero molto a che vedere con la Vernaccia di San Gimignano. Ogni elemento al posto giusto, ogni ingrediente è stato trattato come un verso di poesia. E la Vernaccia è stata la voce narrante perfetta di una serata che a partire dalla scelta della location – per la prima volta Piazza Duomo sotto le stelle – aveva tutte le carte in regola per rimanere impressa.
Agli ospiti la possibilità di scegliere tra 35 versioni DOCG e DOCG Riserva di Vernaccia di San Gimignano, con annate dalla 2024 alla 2014, una per ciascuno dei 35 produttori del Consorzio che hanno aderito all’evento. È qui, nella scelta del vino, nello scambio di bicchieri, bottiglie, chiacchiere la Vernaccia ha espresso il suo incredibile potenziale seduta a tavola, ad accompagnare e a fare compagnia, con le sue doti speciali nell’evoluzione, l’allure signorile e quel vigore tutto toscano che la rendono “la più rossa tra i bianchi della Regione”, che fanno sì che sia uno dei pochissimi vini bianchi prodotti anche nella tipologia riserva. I piatti dell’Arnolfo? Un gioco facile per la Vernaccia: Riso Riserva San Massimo, zafferano di San Gimignano, ossobuco, zucchina in fiore; Cinta Senese, asparago, cipollotto primaverile; Fragola, caramello, vaniglia; e per finire una tavola imbandita di piccola pasticceria e Sergio Dondoli con il suo carretto di Crema di Santa Fina. La Regina Ribelle – seppur regina e ribelle per definizione – non ha preteso il centro della scena. Non ha imposto toni, ma ha accompagnato ogni momento come un racconto sussurrato. È stato un dialogo a tavola, non un monologo. Un esempio raro di coesistenza tra intensità e discrezione.
La Vernaccia non è nata per piacere a tutti e questo è il suo punto di forza. In un momento storico in cui tutto sembra dover essere immediatamente godibile, lei pretende tempo, ascolto, intimità. È un vino che invecchia, e lo fa con la fierezza di chi ha molto da dire. Le Riserve possono vivere 10, 15 anni, sviluppando tutta una sorprendente verticalità fatta di profumi che non avresti mai immaginato con quella pietra focaia salmastra che ne fa da filo conduttore.
Ed è anche un vino che tiene il confronto con la complessità, che si muove tra i sapori con la stessa precisione di un rosso di razza, ma resta bianco. Fiero della sua natura.

Come San Gimignano, del resto. La città delle torri, che svettano come dita medievali puntate verso il cielo. Un luogo che unisce l’eredità monastica alla sensualità del paesaggio toscano. 13.800 ettari, 2.000 a vigneto, di cui 750 dedicati alla Vernaccia. Un microcosmo agricolo e spirituale dove si fa vino da secoli con rigore e visione. Dietro ogni bottiglia di Vernaccia, c’è un volto. O meglio, una costellazione di volti. Alcuni giovani, altri segnati dal sole e dalle vendemmie. Che conoscono ogni metro del loro vigneto, ogni sbalzo di temperatura, ogni curva della fermentazione. E portano alta con orgoglio la storia secolare del vitigno, senza dimenticare l’importanza della contemporaneità.
Pasteggiare con la Vernaccia è un bel modo di stare a tavola: predispone rispetto, intenzione, bellezza. Ogni sorso è un gesto, ma può anche essere pensiero, oppure solo – e giustamente – gran gusto. Alla fine di tutto, resta un’immagine: quella di un calice dorato sollevato sulle colline di San Gimignano, tra una degustazione e l’altra, a cercare di racchiudere le sue torri in un bicchiere. E a godersi tutta la sua potenza poi, sorso dopo sorso.