È arrivato il momento di concentrarci su una cosa, di darle un nome e di ridarle un valore: la cucina rurale. Quella gastronomia che nasce, cresce, evolve nei villaggi, sulle coste, nell’entroterra, lontano dalle luci delle città. È il presente a cui non prestiamo attenzione, ed è una delle maggiori risorse culturali che abbiamo a disposizione. Per troppo tempo l’abbiamo relegata a immagine da cartolina: una vecchia nonna che impasta il pane in una casa di pietra. Ma la cucina rurale non è nostalgia. È resistenza. È economia locale. È, soprattutto, dignità.
Cosa intendiamo davvero per cucina rurale?
Non è un insieme di tecniche. Non è una lista di ricette tramandate da generazioni. Non si lascia facilmente incasellare, né definire. La cucina rurale è un’attitudine. Un sentimento. È la scelta – tutt’altro che comoda – di fare ristorazione dove tutto è più difficile, dove spesso mancano i servizi, le infrastrutture, i riflettori. È decidere di essere una destinazione, oltre che un ristorante. Di mettere sulla mappa luoghi che prima non esistevano per il mondo della gastronomia. Di essere fari nella notte, generatori di vita e di ricchezza in contesti dove la cucina è ancora uno strumento di sopravvivenza e di coesione.
Perché va controcorrente: invece di accumulare, sottrae. Invece di impressionare, nutre. Invece di omologarsi, racconta un territorio. Se oggi c’è qualcosa di realmente interessante che sta accadendo in cucina, è proprio nelle aree rurali. Non solo per il valore nutrizionale del cibo, ma per quello sociale, ambientale e culturale. È lì che si sperimenta un nuovo modo di pensare alla gastronomia: più sostenibile, più umano, più vero.


Non è un caso che uno dei movimenti più forti su questo tema stia nascendo proprio in Spagna, da sempre terra di fermento gastronomico e patria di grandissimi cuochi. Oggi, però, l’attenzione si sta spostando dalle metropoli ai villaggi, alle cucine d’autore indissolubilmente legate al territorio in cui si trovano. Dal 23 al 25 marzo 2025, a Gran Canaria, si è tenuta la terza edizione di Terrae: Encuentro Internacional de Gastronomía Rural – organizzato da Vocento Gastronomia – un incontro che ha riunito una cinquantina di cuochi provenienti da Spagna, Portogallo, Colombia e Italia. L’obiettivo era chiaro: riflettere, scambiarsi esperienze e idee per immaginare azioni concrete a supporto della cucina rurale. Perché se è vero che la gastronomia può cambiare un territorio, allora la cucina rurale è una delle leve più forti che abbiamo a disposizione. Una cultura viva, un linguaggio di sapori. Come è stato sottolineato da Benjamin Lana (direttore di Vocento Gastronomia) durante il congresso:
“La cucina rurale è molto più di un modo di mangiare: è un’espressione viva di cultura, un linguaggio di sapori, ricordi e territorio. Collega la conoscenza dell’ambiente naturale con modi di vita sostenibili e profondamente umani”.
Cosa è successo a Terrae 2025
Gran Canaria è la terra di elezione per questo unione di intenti (non a caso ha già ospitato la seconda edizione di Terrae e sicuramente ospiterà anche la quarta). Un’isola che racchiude un continente con il suo mix unico di paesaggi, di condizioni climatiche, di ecosistemi. Qui, la gastronomia rurale non è un concetto astratto, ma una realtà tangibile: piccoli produttori, ristoratori e agricoltori che lavorano all’unisono in favore del luogo. E visto che Terrae è un congresso internazionale ad ampio respiro, alle riflessioni e agli incontri si sono aggiunte la conoscenza del territorio ospitante, Gran Canaria – focalizzandosi sui municipi di Agüimes, Ingenio e Santa Lucia, nella parte sud-est dell’isola – e il convivio: il modo migliore per digerire e metabolizzare le riflessioni è farlo anche a tavola.
La prima giornata, la Jornada Popular, ha avuto luogo nell’adorabile Plaza del Rosario di Agüimes con una grande festa di paese con stand dedicati alla cucina tradizionale con un’infinità di tapas e piattini, tra cui il jabalí con mais portoghese, il sancocho canario, musica e balli conditi con vino e formaggi dell’isola. Poi, ancora Gran Canaria protagonista nella cena inaugurale al Faro de Arinaga, un punto panoramico pazzesco tra rocce, sabbia e azzurro intenso. Il secondo giorno Terrae 2025 ha acceso il fuoco sacro della gastronomia rurale ad Agüimes, trasformando il Teatro Municipale in un’arena di idee, sapori e “battaglie culturali”.





Il clou della giornata è stata la consegna del Premio Terrae alla chef colombiana Leonor Espinosa (LEO, Bogotá), pioniera dell’uso sostenibile della biodiversità, con il suo lavoro ha trasceso i confini della cucina, diventando un modello di rigenerazione degli ecosistemi e di rafforzamento della comunità. “La ricchezza di risorse in questi territori è inimmaginabile, ma c’è una migrazione enorme. Dobbiamo capire come stabilire una popolazione stabile senza una rivoluzione agricola, perché la cucina è sostenuta dall’anima di questi fornitori, che sono il futuro del paese”. È una “guerriera” della cucina indigena che unisce i territori colombiani attraverso la biocultura (biodiversità + patrimonio intangibile umano). Ha lanciato il suo messaggio potentissimo: l’anima della cucina è nei villaggi. Nessun fronzolo, nessuna retorica: la cucina rurale è storia, orgoglio, identità. E guai a chi pensa di scappare nelle metropoli a fare il sous-chef trendy. Espinosa ha avvertito i giovani: il futuro è nel passato, nei ricordi della gente, nei sapori che resistono ai secoli. Ed è necessario differenziarsi, non migrare. Ha ancora aggiunto Leonor:
“La narrativa è la grande differenza tra cucina rurale (che ha storie) e quella urbana”.
E a Terrae, questo, lo sanno bene. Tra gli oltre 50 chef c’era anche Ignacio Echapresto (Venta de Moncalvillo, Daroca de Rioja), che ha raccontato la sua scommessa folle: restare nel suo paese, farlo rivivere con la cucina, trasformarlo in un punto di riferimento. E oggi, eccolo lì, a parlare di “rigenerazione, che va oltre la sostenibilità”, e del lusso autentico di cucinare con quello che la terra offre, senza compromessi. Dall’altra parte della barricata, i portoghesi Octávio Freitas e Filipe Ramalho, armati delle loro ricette ereditate, hanno ribaltato il concetto stesso di ristorante: non si vende più solo cibo, si vende esperienza, si vende territorio, si vende storia. Il cliente non vuole solo mangiare, vuole capire, annusare, toccare. E loro glielo servono su un piatto d’argento.
Nel frattempo, Benjamín Lana, direttore del congresso, ha lanciato il suo mantra: “Terrae è uno spazio per condividere idee che ci aiutano a crescere.” Mentre Minerva Alonso, Assessore allo Sviluppo Economico, ha messo i puntini sulle “i”: la cucina rurale è una dichiarazione d’amore alla diversità del paesaggio e della cultura. Rimanendo a Gran Canaria, è salito sul palco il caso esemplare di Casa Romántica, dove gli chef Aridani Alonso e Víctor Lugo hanno trasformato una valle di Agaete in un tempio della gastronomia canaria. Un ristorante? No, di più. Un centro di interpretazione del prodotto, un’esperienza totale, una bandiera piantata nel cuore della tradizione. Ma Terrae non si è fermata ai fornelli. In una tavola rotonda infuocata, mostri sacri come José Ignacio Jauregui, José Gordón e Vicent Guimerà hanno parlato chiaro: il futuro della gastronomia rurale non si misura in stelle Michelin, ma in qualità, conoscenza del territorio e capacità di raccontarlo. Guimerà ha lanciato un messaggio ai giovani: la cucina rurale non è un’utopia nostalgica, è il futuro. Basta crederci.
E poi, il formaggio, protagonista assoluto di una discussione che ha fatto venire l’acquolina in bocca. Michele Buster, importatrice di formaggi spagnoli negli USA, ha sentenziato: la burocrazia uccide i piccoli produttori. Pepe Solla ha aggiunto: il mercato è saturo di mediocrità, ma non di eccellenza ed è lì che bisogna puntare. E Lucía Torres, fiera ambasciatrice della tradizione casearia canaria, ha fatto un appello accorato: senza passione, senza trasmissione del sapere, la cultura del formaggio rischia di scomparire.



Dopo un pranzo totalmente canario a El Guachinche (locale super caratteristico che merita uno stop), la giornata è proseguita in un luogo poetico: le Saline di Tenefé, dove gli chef si sono riuniti per tracciare il manifesto del futuro della cucina rurale. Il risultato? La Dichiarazione di Agüimes, un documento che traccia le linee guida per una gastronomia rurale valorizzata. Si parla di salari dignitosi e condizioni di lavoro attrattive, perché senza un futuro economico sostenibile, la cucina rurale rischia di svuotarsi di talento. Si chiede di promuovere ambienti equi e partecipativi, dove i giovani possano costruire il proprio progetto di vita senza dover migrare verso le grandi città. Uno dei punti chiave è quello di rafforzare i legami con le comunità locali. Coinvolgere gli abitanti nei progetti gastronomici, dare spazio ai talenti locali, far brillare i produttori autentici. Serve una rete più solida tra piccoli produttori e ristoranti rurali, abbattendo barriere burocratiche e salvaguardando prodotti autoctoni, molti dei quali rischiano l’estinzione. Gli chef che sottoscrivono questa dichiarazione si impegnano a sviluppare un’identità rurale forte, a celebrare la diversità delle culture gastronomiche e a spingere le istituzioni a riconoscere l’importanza di tutelare la cucina rurale. Non è solo una questione di cibo: è cultura, è economia, è sopravvivenza. Il marchio Terrae diventa così un sigillo di qualità, distintivo per ristoranti e produttori che sposano questa filosofia. Una rivoluzione pacifica, ma decisa, che vuole cambiare il modo in cui il mondo guarda alla cucina rurale.
Ma Terrae non è solo teoria.
La seconda cena è stata curata da alcune giovanissime eccellenze della cucina rurale: Xune Andrade del Restaurante Monte** (San Feliz, Asturias), Juan Carlos Garcia del Restaurante Vandelvira* (Baeza, Jaén), Alejandro Hernández del Restaurante Versátil* (Zarza de Granadilla, Cáceres) e Iris Jordán del Restaurante Ansils* (Anciles, Huesca). Nomi nuovi per noi, grandi scoperte di cui sentiremo molto parlare. Cuochi di testa e di cuore, che hanno ben in mente la propria direzione. L’ultima giornata è stata dedicata agli artigiani del cibo. Prima tappa: Queseria La Gloria, dove José Miguel Ortega e sua moglie Paqui Pérez allevano 1.500 capre autoctone. Il loro caseificio produce 270 kg di formaggio artigianale (pluripremiato) al giorno. Il segreto sta tutto nel latte eccellente, reso speciale dai pascoli liberi sulle colline rocciose dell’Amurga. Dal caseificio al mare: la delegazione Terrae ha raggiunto gli allevamenti di Gran Branzino Atlantico di Aquanaria, un’eccellenza che alleva pesci in mare aperto, con densità bassissime – 98% acqua, 2% pesce – e grande attenzione all’alimentazione e alla crescita equilibrata degli animali. Il risultato? Branzini di eccezionale qualità dalla carne compatta e saporita, cresciuti in acque cristalline, nell’Oceano Atlantico. E quale miglior modo di testarne le proprietà se non con un pranzo direttamente in barca, a base di branzino chiaramente, preparato dagli chef canari: Nelson Pérez, Marina Tudanca e Alejandro Sosa. Per il gran finale Terrae ha organizzato una cena da carnivori senza paura. José Gordón, leggenda della carne con la sua Bodega El Capricho, ha portato i suoi tagli pregiati al ristorante La Pasadilla. Istanti memorabili di pura gola che fanno solo venir voglia di prender un aereo in direzione Jiménez de Jamuz per passare del tempo per carpire i segreti del suo virtuosissimo allevamento estensivo.





E ora?
Il messaggio di Terrae è chiaro: oggi, scegliere la cucina rurale non è un passo indietro. È un salto avanti verso un futuro più consapevole. È un modo per restituire valore alle persone, ai paesaggi, alle storie che hanno fatto della gastronomia un ponte tra terra e identità. La cucina rurale rappresenta un’opportunità concreta, ma la sua affermazione dipende dalla capacità di superare ostacoli economici e culturali. Senza un vero sostegno, rischia di restare una nicchia più che un modello alternativo. Perché questa visione diventi realtà, serve un equilibrio tra valorizzazione e sostenibilità, senza eccessiva burocratizzazione. L’Italia, con il suo ricco patrimonio agricolo e gastronomico, può giocare un ruolo chiave, ma è necessario un impegno collettivo.
Perché forse, proprio lì dove il mondo sembra dimenticato, sta nascendo la cucina più contemporanea che abbiamo.
Ecco qui la traduzione della Dichiarazione di Agüimes per il futuro della cucina rurale, documento che non è solo carta, ma un grido. La cucina rurale è cultura, è memoria, è vita. Come il cinema o la musica, merita attenzione istituzionale, fondi e normative che la tutelino.
La gastronomia è un’espressione viva della cultura dei popoli, un linguaggio fatto di sapori, memoria e territorio. Attraverso i ricettari locali e le conoscenze trasmesse di generazione in generazione, collega la comprensione dell’ambiente naturale con modi di vita radicati, sostenibili e profondamente umani. È un modo di abitare il mondo, di comprendere il contesto e di condividere identità, affetto e senso di comunità.
Chiediamo il riconoscimento della gastronomia rurale come ambito culturale meritevole di protezione e supporto pubblico, al pari di altre espressioni culturali come il cinema o la musica, poiché preserva beni immateriali di grandissimo valore per ogni società.
Sosteniamo la difesa di salari dignitosi, condizioni lavorative attrattive e opportunità di sviluppo e partecipazione a lungo termine nei progetti, per attrarre e trattenere il talento nei contesti rurali.
Promuoveremo ambienti di lavoro stimolanti, partecipativi e paritari e favoriremo il radicamento delle persone con cui collaboriamo affinché possano costruire i loro progetti di vita nei territori rurali.
Cercheremo di rafforzare i legami e la comprensione dei nostri progetti con la popolazione dei nostri villaggi, radicandoci il più possibile nelle nostre comunità. Apriremo loro le porte delle nostre case e cercheremo di generare empatia e fiducia.
Daremo priorità al talento locale ogni volta che sarà possibile e coinvolgeremo i produttori locali nei nostri progetti, per garantire loro la visibilità che meritano.
Richiediamo una normativa specifica che semplifichi e favorisca gli scambi commerciali tra piccoli produttori e ristoranti rurali, rendendo possibile la conservazione di prodotti unici o a rischio di scomparsa, contribuendo al contempo al miglioramento dei redditi degli agricoltori.
Ci impegniamo a sviluppare un’identità rurale, a promuovere la diversità delle culture culinarie, a lavorare insieme e a difendere i valori e il contributo della gastronomia delle nostre comunità, oltre a sensibilizzare le istituzioni sull’importanza del loro coinvolgimento.
Studieremo il potenziale del marchio Terrae per distinguere i ristoranti rurali e i produttori impegnati nella difesa di una cucina responsabile e radicata nei territori rurali, nonché per sviluppare iniziative che rafforzino il movimento della cucina rurale.
E non è solo un discorso di qualità. È identità. È storia. Ogni piatto rurale è un codice genetico commestibile, una memoria collettiva fatta di stagioni e intuizioni. Eppure, in un mondo dove tutto deve essere sterilizzato, impacchettato e pronto per il consumo di massa, il cibo che nasce nei nostri villaggi rischia di diventare un relitto archeologico, da esporre in qualche mostra sulle “tradizioni perdute” mentre fuori dalla sala il mondo ingurgita cibo senza radici.