Mini-storia
trattoria fuori porta
La saggezza de Li Somari
A Tivoli il marchio inimitabile di Adriano Baldassare e un microcosmo territoriale in fermento
Testo di
Lorenzo Sandano
Foto di
Cultivar Studio
La saggezza de Li Somari
6 minuti

Dopo aver apprezzato la recente apertura di Al Madrigale, esploriamo a fondo il centro storico di Tivoli provando l’ormai rodata Trattoria Li Somari: indirizzo che, tra l’altro, aveva sede proprio nello spazio che oggi ospita il locale gestito da Bianchi e Lippi in cucina. Primo progetto messo in campo nel 2022 da Andrea La Caita – quale tassello della sua riqualificazione gastronomica “fuori porta” – questo locale ci concede l’atteso ritorno di un Adriano Baldassarre in grandissima forma. Cuciniere di indubbia levatura, ancora impegnato in parentesi professionali tra Asia e Stati Uniti, che avevamo già raccontato sia su Cook_inc. 25 che su queste pagine digitali. Il tandem composto da La Caita e Baldassare è in realtà la consacrazione di un sodalizio ritrovato, visto che insieme sperimentarono in passato audaci formati ristorativi proprio sul suolo di Tivoli. Nonostante il livello raggiunto, la piazza locale non si mostrò pronta alla comprensione, ma è una prerogativa dei nostri protagonisti quella di non demordere sino al conseguimento di una simbolica rinascita. In tal senso, l’insegna de Li Somari, sintetizza un sonoro successo fatto di credo, personalità e lettura imprenditoriale.

Tradizione (ri)vestita in progressione

Il ristoro sorge in un complesso con incantevole dehors sulla piazzetta dell’isola pedonale, regalando una vista elitaria sul Tempo di Vesta sia durante il servizio diurno che in quello serale, magari godendo degli scorci invidiabili dalle salette interne. Uno spazio dislocato su più livelli (con tanto di antica cantina in grotta) che in tempi remoti fu una stalla in cui si riuniva il bestiame da soma, fornendo il puntuale assist per la genesi del nome. L’aspetto che spicca immediato (grazie al minuzioso lavoro di Andrea e Adriano in background) è come l’appellativo “trattoria” risulti solo un riferimento culturale per l’impronta culinaria: ambientazione, cura del luogo, nonché registro di sala e dei piatti esibiscono un tenore ben più elevato del canone stereotipato a cui si pensa. Un ulteriore score ideologico per la coppia, visto che in un momento confuso sull’interpretazione degli indirizzi neo-tradizionali, seduti qui si può saggiare la dimensione contemporanea più calzante di questo genere ristorativo.

Una proposta ampia, democratica e appetitosa che si legge con immediatezza, ma si assapora con estrema profondità. Sapiente alternanza di ricette classiche; digressioni ittiche; assoli vegetali; paste fatte in casa; ma anche un intero capitolo dedito al quinto quarto e alle carni alla brace. Si scorre agilmente il menu con l’impulso genuino di voler ordinar tutto, sorretti da una fiducia mistica di non poter cadere in tranello: impressione che, come di rado capita, non verrà smentita all’assaggio. La linea impostata da Baldassarre ci fa prendere atto di un suo stato di grazia più che mai risolto, saggio e consapevole. Una maturità identitaria non condizionata solo dalla folta e curata barba che oggi porta in viso, ma che emerge tangibile da una padronanza esemplare delle proprie conoscenze. Il suo approccio in questo habitat appare infatti rifocillato da un sentito piglio agricolo e dall’avvalorato rapporto con la materia prima autoctona. Saprà enunciarvi con fierezza l’origine di ogni ingrediente: le cultivar degli oli esposti a tavola e usati ai fornelli; il pesce lacustre certificato da fidati allevamenti limitrofi; le erbe acquaponiche della cooperativa The Circle; pregiati polli ruspanti, frattaglie e ovini procacciati nel suo caro Abruzzo; o ancora ortaggi d’ogni sorta che in parte si autoproduce in loco.

Sapori materni con linfa agricola & finezza espressiva

Fattori che non suonano come vacue filastrocche, ma si ritrovano in bocca riassunte in portate dal candore materno e riconoscibile, pronte a donare un’encomiabile eleganza esecutiva. Grado di romanticismo ancor più prezioso di questi tempi, in quanto ridimensionato dalle sue razionali parole: “Qui non si gioca mica a far ristorazione, perché maciniamo coperti con ritmi che noi stessi non ci aspettavamo”. In sala, un celere e appassionato Manuel Mingoni potrà scortarvi nella consecutio del pasto suggerendo piacevoli dritte in ambito enologico. Al tavolo, giungono in successione pietanze vivide di sapori cristallini dall’immaginario popolare, ricollocate lungo frequenze evolutive: ammirevole Pane homemade con hummus di lupini o Focaccia con polpa di pomodoro e prosciutto di nicchia in chiosa ispanica; Alici fritte dalle formosità domestiche rilanciate con stracciatella e pungente misticanza; un padellotto in rame ricolmo di Regaglie (ventricoli) di pollo dalla bontà disarmante o un Supplì al ragù che sa di casa nel suo miglior significato. La devozione vegetale si sublima nella persistente Cipolla gratinata con funghi di pioppo e tartufo o nella maestosa umiltà della Patata marsicana cotta sotto la cenere con zafferano, lardo e cotenna di maiale soffiata. Levità imprevedibile per il Cervello d’agnello al burro e limone, in combo alla sferzata emolliente della Concia di zucchine; seguito dal colpo d’ala della Lingua in picchiapò: straordinaria nella rilettura fedele (e progressive) di consistenze del tipico lesso ripassato in intingolo di pomodoro e cipolla. Semplicità restaurata con classe stellare anche nelle conturbanti Tagliatelle al burro, parmigiano, limone e maggiorana; nel focoso Trittico di agnello con carciofi, costina fritta, coscio brodettato e coratella; o negli iperbolici Gnocchi ripieni di pollo alla cacciatora lucidati dal loro elettrico e prodigioso fondo di cottura. Tecnica dal lustro inaspettato nell’arte pasticciera in chiusura, capace di confezionare un terzetto baldanzoso di dessert: Brioche laminata a mestiere con burro montato alla vaniglia, gelato alla crema e confettura maison (upgrade evocativo del “pane, burro & marmellata”); Millefoglie caramellato con lingue di gatto in virtù della sfoglia e una Tarte au citron con frolla alle mandorle e meringa flambata “comme il faut”.

Per spalleggiare l’esperienza al ristorante, dall’aperitivo serale in poi, La Caita ha eretto anche un cocktail bar adiacente alle stufe de Li Somari: Il Donkeys, ove le ingegnose creazioni miscelate del barman Mauro Capotorto dialogano fuori e dentro il tumbler con il repertorio culinario della Trattoria. Ennesimo bersaglio messo a segno da Andrea nel suo microcosmo di valorizzazione territoriale. Un ecosistema rampante che non pare voglia arenarsi qui: “Prossimamente inaugureremo la nuova sede della nostra paninoteca La Mangiatoia, che si trasformerà in una gastronomia/rosticceria d’accezione moderna mantenendo i panini signature con le farciture di Adriano. Più metto mano al progetto, più l’entusiasmo mi coinvolge e non riesco a darmi pace, così pare che replicheremo il format de Li Somari anche a Milano preservando la nostra filosofia. Tornando qui su Tivoli, vorrei pure lanciarmi nella realizzazione di un micro-resort con camere dedite all’accoglienza e alle colazioni. Sono vittima dei miei sogni forse, ma arrivati a questo punto non c’è nulla che possa alimentare la passione nel lavoro come il poter continuare a sognare”.

Posto
Europa/Italia/Lazio/Roma/Tivoli
Li Somari

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