Saggio
Gorizia e Nova Gorica
Go!Borderless
Andare oltre i confini della storia
Da Cook_inc N. 40
Go!Borderless
11 minuti

A pochi metri di distanza l’una dall’altra, separate da mutevoli confini, Gorizia e Nova Gorica si affacciano sull’abisso della Storia da cigli opposti. Speculari avamposti di universi paralleli hanno osservato mille volte il mondo precedente morire per la nascita di uno nuovo, ora con violenza inaudita ora con un respiro indolore; hanno custodito i segreti contrabbandati di generazioni transfrontaliere divise da uno spazio minimo ma invincibile teso tra due visioni del mondo potenti e conflittuali. In questi luoghi la corazza insensibile delle vicende storiche, documentate da milioni di libri, si è lacerata scoprendo le pulsanti viscere umane che nutrono di fatti il corso del tempo. Il 2025 segna un momento molto importante per le due città specchiate l’una nell’altra; l’Unione Europea ha decretato Gorizia – Nova Gorica Capitale Europea della Cultura; un riconoscimento che innerva il corpo unico delle due città, una italiana e l’altra slovena, di relazioni e prospettive nuove; Gorizia dal passato millenario e che pare vivere in un eterno dopoguerra e Nova Gorica, la giovane, piena di speranze e vivace come lo Stato a cui appartiene.

Due città in una o una città divisa in due?

Storia di un confine

Il nome Gorizia, di etimologia slava, compare per la prima volta in un documento del 1001 attribuito all’imperatore Ottone III; nel 1077 i Patriarchi di Aquileia ricevettero la gestione feudale del Friuli e affidarono la Contea di Gorizia a una serie di nobili dinastie famigliari. Intorno al XIV secolo la Contea conobbe un sensibile sviluppo geografico passando a controllare gran parte del Friuli orientale e anche parte del Veneto con le città di Padova e Treviso. La conformazione della città, visibile ancora oggi, era strutturata su due livelli; in quello superiore si trovava il castello, un borgo fortificato, centro amministrativo della città e la parte bassa con funzioni commerciali e produttive. Nel 1420, lo Stato patriarcale confluì nella Repubblica di Venezia e i conti collaborarono con la Serenissima. L’ultimo conte Leonardo morì nel 1501 senza eredi e il suo testamento fu, diremmo oggi, clamoroso. Leonardo lasciò la contea all’imperatore Massimiliano I d’Asburgo di fatto generando una tensione insanabile tra Venezia e il Sacro Romano Impero Germanico. Il conflitto che ne seguì consegnò Gorizia e il Goriziano agli Asburgo che, a parte la parentesi napoleonica tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, esercitarono la loro influenza per circa quattro secoli. Posta al crocevia tra Oriente e Occidente, Gorizia fin dall’inizio della dominazione imperiale fu soggetta a plurime forze culturali che da una parte portavano a una germanizzazione della città, dall’altra davano conto della natura primordiale scaturito dall’unione di culture slave e italiche.

L’età asburgica portò Gorizia a un sensibile sviluppo economico e sociale. Nel corso del XVIII secolo, i sovrani illuminati Maria Teresa e Giuseppe II introdussero una serie di riforme, tra cui l’istruzione elementare obbligatoria, che migliorarono le condizioni di vita della città e condussero a un notevole incremento demografico. La parentesi napoleonica e la Restaurazione successiva portarono a un notevole accentramento dell’amministrazione che, di contrasto, fece emergere i primi problemi nazionalistici alimentati dalla ventata di patriottismo che stava soffiando anche in Italia in seguito all’Unità nazionale (1861) e l’annessione del Veneto e del Friuli che spostò il confine sempre più a oriente. Nonostante ciò per Gorizia la fine dell’Ottocento fu un periodo dorato: considerata la Nizza austriaca per la mitezza del clima e gli splendidi edifici barocchi, la città era una ambita destinazione turistica e l’inaugurazione nel 1908 della linea ferroviaria Vienna – Trieste sembrava assicurare a Gorizia un luminoso ruolo di tramite tra l’Europa centrale e il Mediterraneo; in realtà da lì a pochi anni i fragili confini che costituivano la placida bellezza asburgica di Gorizia, diaframma tra Occidente e Oriente, diventarono il teatro di sanguinosi conflitti che hanno segnato per sempre la storia dell’umanità: i sordi tuoni della Prima Guerra Mondiale stavano balenando nella vicina Penisola balcanica.

Le due guerre

[…] Quando trovo
in questo mio silenzio una parola
scavata è nella mia vita come un abisso.

Commiato, Locvizza il 2 ottobre 1916 Giuseppe Ungaretti, Il Porto Sepolto

Guerra e poesia, non pare esistere antitesi più stridente e paradossale di questa; eppure, sul fronte della Prima Guerra Mondiale un soldato italiano affida a un giovane ufficiale venti frammenti poetici scritti in trincea su supporti cartacei di fortuna come scatole di munizioni o pezzi di carta recuperati chissà dove. Ettore Serra, il nome dell’ufficiale, stampa a Udine in 80 copie copie di quello che sarà Il Porto Sepolto, la prima raccolta di poesie firmata da Giuseppe Ungaretti, uno dei più grandi poeti della storia della letteratura. Impegnato sul fronte del Carso, Ungaretti trascrive in forma di poesia un diario di guerra nel quale ogni parola si fa essenziale e preziosa perché elaborata attraverso la sublimazione della sofferenza umana e personale; “la parola è impotente – ebbe a dire Ungaretti in una celebre intervento televisivo in RAI negli anni Sessanta – la parola si staglia sul fondo dell’io frantumato”.

Nell’ambito delle celebrazioni del 2025, Gorizia ha dedicato una mostra a Giuseppe Ungaretti, Ungaretti poeta e soldato a cura di Marco Goldin presso il Museo Santa Chiara. La mostra ripercorre il periodo che il poeta trascorse nelle trincee del Monte San Michele e di San Martino del Carso nella prima linea italiana contro gli austriaci. Il Porto Sepolto rappresenta una testimonianza straordinaria non solo di poesia, ma una visione insieme lucida, tenera e fantasmagorica dell’animo umano posto davanti all’indicibile orrore bellico. La presa di Gorizia da parte del Regno d’Italia, schierato contro gli imperi centrali a fianco della Triplice Intesa (Francia, Gran Bretagna e Russia), avvenne il 9 agosto 1916 a seguito di terribili e insensate offensive, note come battaglie sull’Isonzo, comandate dal generale Luigi Cadorna che costarono enormi sacrifici umani. Nonostante la disfatta di Caporetto e la rioccupazione austriaca della città, l’esito della Grande Guerra condusse all’annessione di una Gorizia rasa al suolo e deserta al Regno d’ Italia, insieme al resto della Venezia Giulia, con il Trattato di Rapallo (1920). Tra le due guerre, l’ascesa del fascismo intrise di odio etnico la propaganda del partito; era necessario, infatti, presidiare Gorizia come ultima città italiana affacciata verso il nemico slavo. Mussolini e la sua retorica furono assidui frequentatori del limite orientale della nazione. Non è assolutamente un caso che le leggi razziali del 1938 furono pronunciate da Benito Mussolini proprio da Trieste. Oltre alla ricostruzione della città, il ventennio fascista si caratterizzò per una decisa campagna di eliminazione della cultura slava da sempre parte integrante della vita goriziana: l’italianizzazione dei cognomi e il divieto dell’insegnamento in sloveno in tutti gli istituti scolastici furono alcuni dei provvedimenti del regime. In pochi anni i ceti borghesi e gli intellettuali di origine slava preferirono emigrare a est data la minaccia razziale dei fascisti, la stessa sorte con le tragiche e note conseguenze toccò alla comunità ebraica della città una delle più ricche e famose comunità di tutta l’Italia nord-orientale.

Ancora in lutto per la quantità immane di morti della Prima Guerra Mondiale, la città dovette sopportare da macabra protagonista lo scoppio e le vicende della Seconda Guerra Mondiale. Il peso del comunismo e l’onda nera nazifascista entravano in contatto proprio in questo lembo di terra e Gorizia ne era uno dei centri principali. La vittoria degli Alleati però non si risolse con la fine delle tensioni. Il martirio di innumerevoli esseri umani continuò anche in seguito alla sconfitta di Hitler e Mussolini; nel delirio postbellico l’etnia, la nazione di appartenenza, la filosofia politica erano ormai dettagli quasi insignificanti e a determinare la vita o la morte era piuttosto la casualità delle ritorsioni da una parte o dall’altra, la ridda delle faide e delle vendette personali oppure semplicemente la fortuna o la disgrazia di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Gorizia fu liberata dall’esercito di liberazione jugoslavo comandato dal generale Tito, futuro presidente della federazione jugoslava, ma in seguito agli accordi tra il governo di Belgrado e il generale britannico Harold Alexander che stabilirono l’istituzione di due zone d’occupazione nella Venezia Giulia, la presenza titina terminò. Gorizia, rimasta a occidente della linea Morgan, che separava le due zone, venne così amministrata dagli anglo-americani che s’incaricarono di tracciare nell’area il futuro confine italo-jugoslavo.

Fu l’inizio della cosiddetta Guerra Fredda tra due visioni del mondo inconciliabili: quella occidentale filoatlantico e quella orientale filosovietica. Gorizia si trovò divisa all’interno da un confine che separava nuclei famigliari e unità abitative, mentre un’altra sé stessa stava nascendo un poco più in là, a est: Nova Gorica. Divise da un confine quanto mai flebile ma invalicabile – che aveva in piazza Transalpina, sede della stazione ferroviaria, il suo centro simbolico – le due città crescevano uguali e contrarie.

Nova Gorica fu sviluppata per dare ai territori annessi alla Jugoslavia un centro amministrativo di riferimento dato che Gorizia era “rimasta” in Italia. La città crebbe velocemente attraverso un’architettura severa e razionale poco incline al bello ispirata al modernismo socialista e dedicata soprattutto alla costruzione di edifici popolari. L’unico sito storico della città era la stazione ferroviaria affacciata sulla piazza Transalpina, dal nome della linea ferroviaria costruita dagli austriaci all’inizio del XX secolo, divisa tra Italia e Jugoslavia. Gli anni di tensione tra i Paesi orientati al comunismo e l’Occidente passavano sulla pelle dei cittadini goriziani, la cui esistenza era condizionata da una sorta di muro di gomma rappresentato dal confine.

Il contrabbando e gli espedienti per comunicare al di là della linea hanno contraddistinto almeno tre generazioni e oggi nutrono una narrazione, a tratti quasi nostalgica, che non ha eguali in nessun altro luogo del mondo. La fine del comunismo portò al collasso etnico-politico la regione balcanica; la Slovenia si dichiarò indipendente, nel 1991, prima che il conflitto balcanico si estendesse in tutta la regione e mettesse in discussione l’equilibrio geopolitico internazionale.

L’intervento dell’esercito della federazione jugoslava nel tentativo di riprendersi le frontiere causò un conflitto di circa dieci giorni che, grazie al sostegno europeo per l’indipendenza slovena, si risolse con la formazione di una nuova e giovane piccola Repubblica nel cuore dell’Europa. Nova Gorica da avamposto frontaliero di una federazione socialista, diventava una vivace e cruciale, per importanza storica, città di uno stato democratico. Con gli anni duemila si concluse il processo di integrazione della Slovenia nell’Unione Europea; tra il 2004 e il 2007, la Repubblica entrò anche nella NATO e adottò l’euro. Gorizia e Nova Gorica guardarono per la prima volta il futuro nella stessa direzione.

Essere un fiume

[…] Questo è l’Isonzo e qui meglio

mi sono riconosciuto una docile fibra.

I fiumi, Cotici il 16 agosto 1916 Giuseppe Ungaretti, Il Porto Sepolto

Go! Borderless è l’idea ispiratrice degli eventi che nel corso del 2025 celebrano Gorizia e Nova Gorica quali Capitale europea della cultura. Guardando le città (o la città) dall’altura dove sorge il Monastero di Castagnevizza, – che si trova a Nova Gorica, a 300 metri dal confine italiano e all’interno del quale sono custodite le reliquie dell’ultimo Re Borbone Carlo X – lo sguardo riesce ad abbracciare le culture materiali opposte che hanno costruito luoghi così diversi; la bellezza antica, austera e silenziosa di Gorizia, la razionalità essenziale e brutale della vivace Nova Gorica. La Storia ha modellato queste città, ne ha forgiato la solidità dei caratteri, ha definito i quartieri e radicato le diversità. Cercare di abbattere le distanze implica il coraggio dell’astrazione materialistica proprio di ogni forma artistica. Il programma degli eventi è un invito a lasciare i confini individuali nei quali un malinteso senso di identità ci conforta per abbandonarsi nella contaminazione creativa. La mostra dedicata all’artista americano Andy Warhol, presso Palazzo Attems Petzenstein a Gorizia e intitolata Beyond Borders, è uno sconfinamento esemplare. Attraverso la sua opera e la sua vita, l’artista americano riuscì ad abbattere i limiti che separavano le diverse forme di espressioni e gerarchie artistiche; pittura, fotografia, grafica pubblicitaria moda e musica si fusero generando quel movimento destinato a segnare una rivoluzione nel campo dell’arte definito Pop Art.

Dal piazzale del monastero, lo sguardo ora lascia la pianura per ammirare le colline vitate, la campagna e i boschi che circondano la vita delle città; là dietro scorrono le acque smeraldine dell’Isonzo. Nel 1916, in un bagno di fortuna nelle acque del fiume, Ungaretti trovò l’ispirazione che mosse una delle sue più celebri poesie: I fiumi. Ripercorrendo i fiumi della sua vita, il poeta annulla il tragico presente della guerra per immergersi in un universo spirituale in cui il suo corpo langue al suolo, ma la sua anima ne compone una “docile fibra”.

L’Isonzo, in sloveno Soča, nasce in Slovenia e sfocia in Italia. Il suo spettacolare percorso attraversa da secoli paesaggi maestosi, colline erbose e lussureggianti pianure. Gli uomini hanno costruito e distrutto ponti che collegavano le sponde, ma il corso del fiume ha tessuto relazioni ancestrali con i paesaggi circostanti cullando generazioni contadine che hanno ripetuto gesti comuni, incuranti a quale Stato appartenessero. Essere fiume vuol dire oltrepassare i limiti imposti dall’uomo per sentirsi nella natura e come opera d’arte trascendere la gretta visione secolare per aprirsi all’immensità della trascendenza.


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