In una società in cui la capacità di percepire l’interconnessione con il tutto e di vedere il cibo come un elemento trasversale, sono più che mai una sfida, la creazione di un Master in Filosofia, Culture ed Ecologie del Cibo all’Università San Raffaele di Milano diviene un’azione potente e fondamentale per dare una direzione virtuosa al nostro futuro. L’obiettivo? Formare esperti ed esperte, manager, comunicatori e comunicatrici del vino e del cibo “artigiano”. “Il cibo costituisce l’elemento principale del vivente e conoscere la sua portata simbolica e le sue espressioni culturali significa poter costruire un rapporto nuovo anzitutto con la vita – afferma Massimo Donà, direttore del Master – un’ecologia del cibo in grado di ripensare le forme, le pratiche e le tradizioni con cui viene prodotto e consumato, per immaginare un nuovo rapporto tra noi e la terra, più consapevole e rispettoso”. Tra i docenti ci saranno figure del mondo culturale ed enogastronomico italiano tra cui Davide Longoni che porterà la sua esperienza come maestro di panificazione e co-ideatore di diversi progetti di valorizzazione del pane. A meno di un mese dal suo inizio che avverrà il 27 marzo, con iscrizioni aperte fino al 28 febbraio, lo abbiamo incontrato per scoprire qualche anticipazione.
In occasione della presentazione di questo Master hai affermato: “È quanto mai urgente e necessario prendere consapevolezza che il pane e ogni alimento coltivato e trasformato dall’uomo sono espressione della cultura di un preciso momento temporale e storico; viviamo questo mondo e attraverso le nostre azioni e scelte lo determiniamo”. Qual è il tuo modo di fare il pane?
Nel corso degli anni ho sempre assecondato le mie passioni e questo mi ha permesso di recuperare un’idea, un pensiero di fare il pane come in passato quindi legato alla tradizione e alla semplicità del “cibo”, che genera nutrimento ed è frutto di una filiera corta e virtuosa, ma agganciandolo alla contemporaneità. Credo che sia questo il pane del futuro. Non potremo mai farlo esattamente come una volta perché i grani antichi stessi, che noi utilizziamo, sono a oggi geneticamente diversi. In questo senso il pane è così strettamente connesso al periodo storico.




Che ruolo assume quindi?
Il pane può essere declinato in tante occasioni e contesti, ma quello che ho compreso in questi anni è che dal punto di vista sociale è uno strumento per indagare il mondo. Si può comprendere la geopolitica, la biologia e l’ecologia. Il pane è di fatto frutto del pensiero esclusivo dell’uomo che ha sottratto dei semi selvatici all’incolto e ha trattato il suolo disboscato adattandolo alla coltivazione. Sottrarre dal selvatico i semi è un’operazione culturale e quindi il pane stesso diviene elemento culturale in grado di raccontare e di plasmare il mondo. In questa chiave può essere considerato anche catalizzatore di incontri. Donà, ad esempio, non l’ho conosciuto in ambito accademico ma perché è venuto come cliente. Può accadere che le persone vengano a comprare il pane con l’idea di comprendere.
Tu hai già tanta esperienza come formatore, ad esempio con Madre Project. Cosa pensi di poter offrire ai tuoi studenti/esse?
Con Madre Project abbiamo messo a punto un sistema formativo innovativo, che unisce l’atto pratico di imparare a fare il pane con lo sviluppo di un pensiero critico e consapevole, fondamentali per diventare panificatori moderni in grado di dialogare con il territorio e avere un impatto positivo sulla società. Io non sono un docente professionista, il “metodo Longoni” è essenzialmente relazionale, si apprende dal confronto con l’altro, mettendo continuamente in discussione certezze e metodologie. Ogni studente ha esigenze specifiche, ma penso che studenti e studentesse che si iscrivono a un Master in Filosofia del cibo si aspettano di apprendere un metodo per analizzare filiere, prodotti e negozi dal punto di vista del pensiero, e questo sarà il mio focus nelle lezioni al Circolino del Pane: partendo dal fare il pane concretamente, per comprendere l’atto artigiano di creazione, e collegandolo al pensiero, mettendo in luce tutte le connessioni che il pane può creare, e come queste possano impattare agricoltura, società, scelte di consumo.
L’educazione genera conoscenza e consapevolezza, il punto di partenza per ridisegnare nuovi scenari. Come ti senti per questo nuovo inizio?
È molto stimolante perché il confronto con l’altro ti porta sempre a conoscerti meglio. Anche dal punto di vista antropologico il confronto con l’altro ti aiuta a metterti in discussione. Sicuramente avere un confronto con gli studenti e le studentesse del Master, così come con gli altri colleghi e colleghe docenti, sarà un modo per scoprire una nuova lettura della realtà e dialogare su quello che rispettivamente facciamo. Un insegnante deve essere sempre disposto ad apprendere. Siamo dentro a degli ingranaggi del tempo. È la bellezza di chi insegna e si rinnova continuamente. Non invecchia mai.
Nella descrizione del Master si parla di portare uno sguardo immersivo nell’ambiente e nelle relazioni tra cibo e paesaggio, vino e territorio, essere umano e natura, e da una preparazione capace di riconoscere la storia e l’arte, ma anche le caratteristiche sensoriali, di cui ogni prodotto è espressione. Pensi che sia possibile assorbire tutto questo attraverso la didattica?
Sì. Il tema del pensiero è il punto più importante del Master. Vedremo cosa significa fare il pane da pensatore poiché anche il panificatore esercita il pensiero. Con gli studenti e le studentesse faremo il pane, lo impasteremo e vedremo come questo elemento richieda cura e connessione con quello che stiamo facendo. “Noi siamo quello che mangiamo e mangiamo come siamo” dice il professor Donà quindi la nostra rappresentazione del mondo si rispecchia in come cuciniamo il cibo.
Cosa pensi sia importante sviluppare nella nostra epoca?
Una visione critica, non accomodante con le visioni ufficiali e convenzionali. Quando c’è un grande accesso all’informazione bisogna sviluppare un pensiero libero che sappia valutare le fonti e in grado di confrontarsi con il pensiero del passato anche aristotelico, comprendere come hanno funzionato nell’antica Grecia e come si sono evoluti nel corso dei tempi. È quel tipo di pensiero, ad esempio, che ha messo in discussione l’ancien régime.


E i giovani di oggi come sono secondo te?
Cercano di esprimere loro stessi. Parlo dei professionisti e delle professioniste con cui ho lavorato, non dei filosofi. Almeno una decina hanno aperto panifici e nessuno voleva fare pane come lavoro ma per esprimere loro stessi, il loro pensiero del mondo. La nuova generazione di panificatori a livello occidentale è così.
Come pensi che gli studenti e le studentesse del Master potranno ridisegnare il mondo del pane?
Il pensiero filosofico si avvicina molto al mio modo di vedere il pane: quello che impasto oggi è sempre per domani, ogni volta è diverso, unico e irripetibile, nuovo, è un pane sempre volto al futuro. Per me è un simbolo oltre che un alimento, e panificare è un atto di amore, cura e fiducia. Implica un collegamento diretto con l’agricoltura rigenerativa, con l’ecologia e porta con sé un modo sano di intendere i rapporti tra le persone. Il pane del futuro sarà ecologico, ospitale e inclusivo: con la sensibilità e consapevolezza che il pensiero filosofico svilupperà nelle menti degli studenti e delle studentesse di questa disciplina, sono sicuro che ci saranno implicazioni molto positive nel ripensare il mondo del pane.
Il Circolino del pane, luogo di incontro simbolico del panificio e per voi un vero e proprio centro di ospitalità e divulgazione del linguaggio del pane moderno, diverrà l’aula didattica del Master. Come vi state preparando?
È uno spazio da definire, ma questa è un’occasione per poterlo fare. Una parte era dedicata al magazzino, ad oggi svuotato per fare spazio. Mi piacerebbe liberare la parte degli uffici per creare delle residenze artistiche di pensiero. Milano è costosa, affitti compresi, e vorrei dare l’opportunità agli artisti e alle artiste di avere un luogo dove portare avanti la loro ricerca. Farlo divenire più un laboratorio di pensiero che di cucina.