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Reportage
Bistronomie basca
Iñaki e Delphine – Petit Grill Basque e Chez Maya

 Due progetti in uno per un comune pensiero di vita

Da Cook_inc N. 39
Iñaki e Delphine – Petit Grill Basque e Chez Maya
21 minuti

Tredici anni fa nasceva Cook_inc. Le prime due storie di vita raccontavano due spaccati unici della Francia allora in pieno subbuglio. L’incipit della rivista che tenete in mano onorava Le Chateaubriand di Iñaki Aizpitarte et Frédéric Peneau. L’altro focus, qualche pagina più in là, era su Alexandre Gauthier nella sua nuova Grenouillère immaginata dall’architetto Patrick Bouchain, inaugurata appena qualche giorno prima. Tanta acqua è passata sotto i ponti. Le Chateaubriand a Parigi, since 2006, ha stravolto i canoni i della ristorazione mondiale, dando un senso al neologismo della bistronomia, dietro al quale si calarono orde e orde di “copisti” non sequitur, senza mai uguagliare, per creatività e botta di vita, il modello originale. Tanto per metterlo a disagio, ogni volta che incontriamo chef Iñaki, gli ricordiamo che storicamente è “il cuoco francese più importante apparso sulla scena internazionale dalla morte del compianto Alain Chapel il 10 luglio 1990 in una stanza d’hotel ad Avignone”. Lui scuote la testa, fa l’incredulo, lo gnorri, con la testa sempre altrove. Come adesso, questo 24 settembre 2024 pomeriggio alle 18.00 in punto, quando viene a prenderci all’aeroporto di Biarritz, capitale dei Paesi Baschi francesi, la sua regione natale, dove è rientrato con la sua compagna di sempre, Delphine, cuoca pure lei, e mamma di Diego – come passa il tempo – oramai diciottenne (“è partito a far la vendemmia, rientra la settimana prossima”). 

Allora: “metti un tigre nel motore”!

– Che faccio Inaki, la metto la cintura?

– Sarebbe meglio…


Sa di cosa parla. Nella primavera scorsa, il sogno dell’homecoming era a portata di mano. Dopo un’annata di lavori nell’acquisita storica taverna del Petit Grill Basque, in pieno cuore della cittadina di Saint-Jean-de-Luz, Iñaki e Delphine si accingevano alla fluida ripartizione dei ruoli. A destra tutta della rue Saint-Jacques, al numero 2, Chez Maya, la gastronomia indie di lei, col suo take away, gettonata dagli aficionados del quartiere. A sinistra, al numero 4, il nuovo antro di Iñaki, lontano dai clamori parigini. Ed era un bel pezzo che ci pensava. “I lavori furono un disastro, si sono eternizzati per mesi. Alla fine, Delphine ha aperto al pubblico prima di me”. Quando, una settimana o poco più, dopo la pubblica prima del Petit Grill Basque, esattamente la notte tra il 31 marzo e il primo aprile (mai pesce d’aprile fu più scherzo del cazzo!) scendendo in macchina verso la casa di amici – Iñaki, con un vecchio compagno di gioventù alla guida e un fidato chef sceso da Le Chateaubriand per il varo del locale – l’utilitaria lanciata a tutta birra sulla strada montana improvvisamente devia dalla corsia. E si catapulta, per un salto d’angelo nel vuoto, come nelle cinematografiche pellicole. Senza stuntman al volante.

A destra tutta della rue Saint-Jacques, al numero 2, Chez Maya, la gastronomia indie di lei, col suo take away, gettonata dagli aficionados del quartiere. A sinistra, al numero 4, il nuovo antro di Iñaki, lontano dai clamori parigini.

– Per un frammento di secondo, bruciato il baratro, il tempo come sospeso a mezz’aria, mentre stavamo per precipitare cinquanta metri più sotto, mi son detto: mah, basta poco, alla fine è così semplice morire…

In un batter d’occhio tutto il film d’una vita scorre via. Ma – spoiler! – sto giro, Iñaki non ci lasciò le penne. Questo non è un panegirico post mortem. Un paio d’operazioni più tardi per multiple costole fratturate, ossa della mano intagliate e con la barbuta baby face oramai sale e pepe da aitante cinquantenne, per giorni e giorni si temette sotto le bende di ritrovarlo sfigurato, ma ne uscì honoris causa da neo-miracolato. Che faccia un fioretto alla Madonna di Lourdes che lontana non è (sono appena 177 chilometri passando dall’autostrada A64). Gaudete, gaudete: è un uomo nuovo quello che, passati due mesi di dolorosa degenza, compreso un domestico compleanno meno laudo del solito – chef Iñaki è del 12 aprile, classe 1972, ricordatevelo – ritrova all’inizio dell’estate 2024, la sua postazione in cucina.

“Passata la paura, la cosa più dolorosa fu di restarmene allettato, con la rieducazione e tutto il medico corollario mentre a dieci minuti da casa, il ristorante carburava senza di me, non potevo tenerlo chiuso”. 

“È chiaro che incidenti del genere ti cambiano un uomo, ti fan vedere il mondo attraverso un’altra prospettiva” spiega col senno del poi Delphine Zampetti, perno essenziale del loro comune progetto di vita. “Iñaki è originario di Hendaye, ci ha passato tutta la sua adolescenza. Da tempo non faceva mistero che gli sarebbe piaciuto rientrare un giorno nella sua regione natale. Siamo due provinciali tutti e due, Parigi ci ha dato tanto. Ma col passare degli anni, scemata l’eccitazione degli esordi, avevamo la sensazione d’aver fatto il giro della giostra. Un bisogno di ritrovarci, lontano dai clamori – con poi nostro figlio Diego che avrebbe rapidamente raggiunto l’età della maturità – sul quale l’avvento della pandemia contribuì spingendo a fondo l’acceleratore” racconta Delphine che ha sempre osservato il microcosmo della ristorazione, e il centripeto successo del suo uomo, con l’occhio dell’outsider. 

Dei Paesi Baschi del Nord lei non è, viene dal grande Sud Ovest francese. Nativa di Bordeaux dove frequentò le Belle Arti gemellandosi con tutta l’irredentista banda delle teste di punta della metà degli anni 90: Pierre Huyghe, Philippe Parreno, Dominique Gonzalez-Foerster e pure Maurizio Cattelan, indimenticato amore di gioventù sia detto en passant. Sbarcata in gastronomia per la backdoor all’epoca in cui era proprio l’assistente di Dominique Gonzalez-Foerster, si ricorda delle lunghe sedute in studio ritmate dalle infami pause pasto “con dei dozzinali take away, cinesi o italiani che avevano tutti lo stesso sapore”. Quando un suo amico le chiese se voleva prestarsi all’esercizio della cucina per uno studio fotografico – all’epoca lei lavorava ancora in decorazione – finì, che da cosa nasce cosa, sotto tacito contratto con la gallerista Chantal Crousel. Il culo, come si dice, tra due sedie: tra l’arte e la cucina, proprio negli anni, circa 2003/2004, in cui bazzicando a Montmartre a La Famille, il trampolino di lancio del suo uomo, per le performances domenicali dei piatti “miniature” ordite a braccetto col comune amico Laurent Chareau, Delphine intuisce che l’equilibrio instabile tra le due discipline – ben più del solito “impara l’arte e mettila da parte” – avrebbe potuto funzionare. Ma a modo suo, seguendo in cucina tempi e ritmi suoi. 

Fu quindi il successo istantaneo di Chez Aline, autentica macelleria cavallina in una stradina dietro la Bastille trasformata in dispensario di sandwiches e piccoli piatti da rosticceria secondo tradizione. Una “gastronomia” a portata di tutti, con insalate, tortillas, terrine di maiale e uova mimosa, aperta ai quattro venti, la coda sul marciapiede sempre intasato, dal primo mattino sino al pre-merenda, per recuperare Diego all’uscita dalle elementari. Tutta roba squisitissima, da primo premio per qualità e quotidiana creatività, cucina famigliare a prezzi basici plebiscitata da passanti, studenti affamati, pensionati del quartiere e hipsters in pellegrinaggio sin dall’altro capo della città. 

“Per me Delphine è una cuoca fantastica, diretta nel suo approccio al prodotto in tutta semplicità” concede, sempre ammirativo, chef Iñaki. Ben a suo agio nel suo Petit Grill Basque che un corridoio interno, svincolando per il sottoscala (“al primo piano del palazzo ci sono degli appartamenti”) collega all’esercizio della coinquilina Delphine. Dalle 10.00 alle 14.30, eccetto per il santo riposo della domenica e del lunedì, Chez Maya è un altare delle meraviglie da asporto o da spiluccare sullo sgabello al rettilineo tavolino incollato alla finestra: Zucche arrostite con le nocciole, Polpo con mais e peperoni rossi, Insalata di bollito di pollo alle carote, Alalunga all’escabèche, divini Porri in vinaigrette, Cavolfiori in forno alle erbette, Terrina di maiale basco alle bietole, Sauté di vitellino alla Marengo nonché il proverbiale Ragù di seppie ai peperoni per ricordare che siamo nei Paesi Baschi del Nord, nel caso ce lo fossimo dimenticato. 

Posto
Europa/Francia/Saint-Jean-de-Luz
Chez Maya

Delphine ha una memoria di ferro, non si scorda niente e non getta niente: “Se mi resta dell’insalata di pollo della vigilia, è ovvio che lo sfilaccio e lo condisco con erbe e mayo per il sandwich dell’indomani”. Tra due clienti, lei si spara un ennesimo caffè – la macchinetta dell’espresso è in comune, passato il sottoscala che conduce al ristorante – magari pure una sigaretta all’esterno seduta sul muretto dirimpetto con Iñaki che ha già lanciato il prepping per il servizio della sera. “Siamo ancora in rodaggio. Ma ovvio che vorremmo col tempo una maggiore fluidità tra i due locali” fa lui, più inclusivo che mai. E Delphine che, di solito di poche parole, subito rincalza: “Magari dalla primavera in poi aprirei anche la sera il week-end, per dar qualcosa da sgranocchiare all’aperitivo e ai clienti che aspettano il loro turno per accedere al ristorante. E magari, già da questo inverno, organizzare una serie di serate con dei vignaioli amici e veder come la cosa procede”.

Anche se non glielo chiedete, chef Iñaki ha un’idea che gli trotta per la testa: “So già che Delphine non è contro, anzi… A me piacerebbe che, almeno una volta al mese, idealmente un week-end, lei prendesse le redini della cucina per una personale dei piatti suoi. Lei ai fornelli e io in sala a fare il servizio”. Mai dichiarazione d’amore fu più bella e commovente: palesemente votiamo pure noi la mozione per la coppia più fluida e double face che ci sia.

Ma attenzione, non sarà mica che la Delphine cominci ad annoiarsi a Saint-Jean-de-Luz? 

“Sono scesa da Parigi due anni fa, alla fine del 2022. Qui la vita è bellissima, a misura umana, la campagna, il mare a due passi, le montagne vicine, i prodotti… una favola. Di Parigi mi manca semmai la mixità, i colori, le differenti etnie. Qui a Saint-Jean vedi solo dei pallidoni, siamo tutti bianchi bianchi, non c’è un black, non c’è un asiatico, a parte magari qualche turista giunto da lontano. Delle volte avresti voglia, dopo il lavoro, di andare a mangiare da un cinese, da un africano, da un giapponese, da un marocchino. Al massimo trovi un ristorante italiano. Il cordone ombelicale con la capitale è reciso da tempo. Viverci non potrei più. Però dopo due anni che non mi son mai mossa da qui non vedo l’ora di tornare a Parigi, qualche giorno prima di partire in vacanza in Messico con Iñaki, per l’uscita il 5 novembre del suo libro”.

Ah, dimenticavamo, il libro! Ma bando agli equivoci: non aspettatevi l’Omnibus del “più grande chef francese apparso sulla scena internazionale… etc… etc…” Non il tanto atteso Libro di Cucina di Iñaki Aizpitarte che il mondo aspetta invano da venti anni. In nessun caso un compendio, un Reader’s Digest dei suoi piatti, che tanto non ci sono ricette, e neanche le foto dei suoi intemporali signature (a fare un libro con lui ci provò invano una decina d’anni fa pure Phaidon). Le Château volume rivelatorio che non svela affatto la storia segreta di Iñaki, bensì ripercorre quella de Le Chateaubriand. Non raccontata da lui, ma da tutti quelli che l’hanno vissuta, avventori e compagni di strada, voci amiche (e magari anche nemiche) e critici, tutti professionisti della professione che per la fucina d’idee e di vita all’avenue Parmentier ci lasciarono, come altri a San Francisco, un pezzo del loro cuore.

Un’opera di riferimento per futuri filologi e studiosi del mondo intero che chef Aizpitarte giura di non aver progettato. E neanche, alla vigilia dell’invio in stampa, lunedì 30 settembre, aver né letto o rapidamente sbirciato. “Lo scoprirò come tutti il 5 novembre per la festa che Entorse Éditions organizza da noi a Le Château. ”Se vi recapitano l’invito, non mancate all’appuntamento. Rare sono oramai le visite al HQ parigino. “Col team ci sentiamo spessissimo, discutiamo di tutto. Ogni paio di mesi faccio un salto, ma lo chef in cucina, Leonardo Righini, un ventiseienne italiano originario di Imola che è con me da un lustro, è un primo della classe. Te lo presento domani, è qui à Saint-Jean-de-Luz per una settimana per vedere come ce la caviamo col nostro servizio alla carta”. 


Avete letto bene: alla carta. Only. Il mondo alla rovescia: proprio Iñaki che volgarizzò il menu degustazione a prezzi stracciati giura ora sul libero arbitrio per tutti. “Perché i tempi son cambiati, dappertutto vedi le stesse cose. Io stesso, pensa allora i clienti, non ho più voglia di passare tre ore a tavola, magari stasera mi basta un piatto, domani invece ho tempo e festiva fame e di piatti ne ordino pure sette. E poi il sourcing qui nei Paesi Baschi permette cose impossibili a Parigi dove tutto è programmato, telefonicamente ordinato giorni e giorni prima. Qui dipendi in diretta dalle meraviglie di freschezza dei pescatori di rientro dal largo, guarda questi calamari che capolavori. Sono ancora vivi, sfiorali con le dita, reagiscono al contatto: vedi come la pelle, biancolatte all’esterno, appena la tocchi cambia di colore?

Roba così a Parigi te la sogni. Come pure i carabineros giganti, costano un botto, quando li trovo li preparo con un Arroz seco, che è una variante ben croccante della paella. La servo direttamente al tavolo nella sua padella, due bestione a persona, ovviamente da condividere in due”.

È il piatto faro, il più ricercato, il più caro pure (90¤ a coppia) di una carta altrimenti per tutti, con prezzi di gran lunga sotto il livello dell’inflazione. Iñaki torna al paesello, cucina per gli oriundi, i locali (“non ci sono solo i parigini nella vita”) condividendo con loro un repertorio diffuso, lascito comune che passa per un differente approccio della tradizione. “Ti devi mettere in sintonia cucinando lo spirito del luogo. Sennò tanto valeva restare a Parigi. Ho dei clienti che vengono perché qui al Petit Grill Basque si erano sposati i nonni e i genitori”.

È il nuovo corso regionale dell’Aizpitarte, figliol prodigo di rientro al paese. Conosce sulla punta delle dita la geopolitica del triangolo d’oro basco: Saint-Jean-de-Luz (“un villaggio ancora preservato”), Bayonne (“una cittadella popolare, giovane, studentesca, culturalmente di sinistra”) e Biarritz (“l’antro balneare della borghesia, ci vò raramente”). Rispetto dunque per la realtà, come pure per l’habitat mentale del locale. Cotanta attenzione alla decorazione, al bancone, alle ceramiche che punteggiano i muri, ai kantha ovvero delle tende collegate a delle corde che servono per ventilare o celebrare dei momenti festivi. È roba d’eccezione. Ci fosse pure il coro dei Cantatori Baschi ingaggiato live sul marciapiede a Iñaki non dispiacerebbe affatto, tanto si sente pesce a suo agio nel suo nuovo elemento. Con la bella clientela che ha: al primo servizio delle 19, la migliore, quella della mezza età, poi con l’avvio della serata la media scende, arrivano i quarantenni e infine la gioventù debosciata con i nullafacenti dell’indomani.

Quando lunedì 7 ottobre Iñaki ci trilla sul telefonino alle 18.26 perché apprende, con una settimana di ritardo, che Mathieu Rostaing-Tayard, uno dei cuochi di punta dell’attuale generazione francese, dopo quattro anni ha gettato la spugna e venduto il suo Sillon – il miglior ristorante di Biarritz e ben oltre (ne abbiamo parlato su Cook_inc. 32) – è dispiaciuto assai. Ma sorpreso non più di tanto. “Forse è il modello della cucina d’autore, col menu degustazione e dai labili legami con la basca tradizione che non ha retto lo shock”. 

Morale dell’avversa favola: chef Iñaki oggidì giura proprio su quello. Essere in sintonia col luogo, col suo nuovo scrigno di vita – col suo space in time. Da lui, la carta è fissa, quasi una foto dai toni seppia dell’accoglienza culinaria del tempo che fu. “C’è anche uno Steak au poivre di cui vado fiero”. Fiero può esserlo per tutto: alla carta i grandi classici, sulla lavagna invece scritti i piatti quotidianamente elaborati lì per lì con i prodotti del dì. L’Aizpitarte di oggi ci rammenta il Ducasse degli albori, allora pischello, quello che dal suo osservatorio monegasco, rivendicava una cucina delle Riviera, fusione delle culture del Mediterraneo: Francia, Spagna e Italia tutte assieme. È proprio l’utopia fatta corpo del Petit Grill Basque: una cucina di territorio mentale, ma di materia, senza ciance né salamelecchi. Anche se è Iñaki stesso, una volta sì e magari l’altra pure, che porta i piatti a tavola.

Serviti in padelle e casseruole (“il 2025 sarà il ritorno del rame!”) dove attingere per condivisione immediata. E bando allo storytelling! Tanto lo sappiamo già che le Gilda, gli stuzzicadenti con le Acciughe, pickles di pimentos e procaci olive verdi dalle forme rotonde sono stati inventati a San Sebastián per meglio evocare, al festival internazionale del cinema, la suggestiva linea d’anca di Rita Hayworth. La freschissima Terrina di tonno bianco confit nel grasso di maiale, con guindillas e peperoni è un capolavoro assoluto del “terra e mare” che più implicito, e understated, non si può (15€). Le Cozze spagnole XXL alla crema di pepe verde (12€) con cubetti di zucchine crude e qualche fogliolina di crescione fresco per aggiungere dell’acidità alla suntuosa, speziata salinità, sono da scarpettosa antologia (“Garçon! Dell’altro pane, per cortesia!”). Per non tacere dei Calamari alla plancha (26€), talmente fondenti di primigenia freschezza che si tagliano con una minima pressione del coltello, qualche goccia del nero, cipolle rosse crude e tocchettini di grasso del pregiatissimo Kintoa, eccelsa razza di maiale locale: “Son dei magnifici norcini, riconoscibili per le loro orecchie sproporzionate, li sgameresti anche tu”. 

Una cena non basterebbe a schiumare tutta l’offerta, dalla lavagna alla carta, per un inclusive tour express. Meglio offrirsi un crash test d’eccezione. Mettendo l’indomani, pari pari a confronto, ancora commossi dalla Fricassée di seppie alle erbe e peperoncino d’Espelette della vigilia, le Trippette di baccalà che se la giocano a nascondino con dei minuscoli borlotti a chi fonde meglio in bocca e, servite assieme in contemporaneo campo/controcampo le carnute Trippe di tonno rosso, cosa rara e prelibata che per tutti abbastanza mai c’è. 

Chef Iñaki turbina da giravoltante maître d’hôtel che va al sodo (“Bon, ti spiego come fare con sti carabineros, prima col coltello ci amputi la testa che schiacci a fondo varie volte con la forchetta, mettiti il tovagliolo, che schizzerà come un geyser sull’arroz seco, e poi raschia in padella il socarrat, il riso bruciacchiato sul fondo, mischiandolo per ben umidificarlo con le cervelle del crostaceo, capito?”) anche se il vero maître della sala è ben un altro.

Trattatelo bene, Felix Schiffman. A lui ci teniamo perché è un ragazzo davvero a modo. Senza orecchini né tatuaggi a vista. Non lo diciamo solo per via dei suoi natali, è il ventottenne nipote un tempo tanto amato di Suzanne Schiffman, la storica collaboratrice alla sceneggiatura di François Truffaut, Jacques Rivette e Jean-Luc Godard. Scusate del poco. Felix ha il compito immenso di prendere il polso della sala, di proporre i vini idonei per una cucina più che franca: affrancata dalle pudibonde schizzinosità. Compito arduo che alla lettura del livre de cave avresti voglia, attirati da tariffe da puro, irresistibile magnetico adescamento (“le nostre tante appellazioni sono un buon 30% meno care che sulle carte parigine”) di scolarti tutta la cantina. Privilegiate i vini locali, il Sidro basco, l’Exteco Bob’s Beer, une bionda ebbra d’agrumi e di luppolo, fermentata a Hasparren, a due passi dal confine con la Spagna. E poi ovviamente gli Irouleguy (“certi bianchi sono davvero fantastici, i rossi tendono ancora a una corpulenza che non a tutti addice” fa Felix che, ambasciatore non porta pena, anche se noi con lui, dissentiamo) da spiluccare in una carta che abbraccia tutti i vigneti di Francia e di Navarra, spaziando in lungo e in largo per il Sud-Ovest. Noi siamo andati pazzi per la Canopée 2023 (uva Gros Manseng e Colombard) di Arthur Fèvre in Francia. E per la rosea Clarete Negro IV di Manin y Sus Muchachos (un modo, un po’ macho, per dire tutta la famiglia) dalla Sonsierra Navarra.

Sarà pure all’estremo altro capo dell’esagono, però in qualche mese oltre a noi, son già passati in tanti. Da Mauro Colagreco (“ero di passaggio a Biarritz, ma ti pare che non andavo a trovare l’amico Iñaki”) a René Redzepi.

– Ah! Lui mi ha fatto uno scherzo della malora.

– Che vuoi dire?

– Un giorno mi arriva una telefonata: “Oh, Iñaki mi tieni tre coperti per venerdì prossimo? Come no e con piacere!” Io ero a Parigi a Le Chateaubriand, metto al volo tutti al corrente in cucina. Immaginati te la pressione, per noi al Chateau che incominciamo a riflettere a un menu su misura per loro, ma anche per Agathe e Gaëlle e tutta la squadra del Petit Grill. Poi il venerdì all’ora di pranzo vibra il telefonino: era René che mi mandava un selfie da Saint-Jean-de-Luz. Si vedeva lui in primo piano che sghignazzava con due occhi da pesce morto mentre dietro, di schiena, s’intravvedeva la silhouette con la criniera bianca di Alain Ducasse che mangiava pure lui lì, assorto a un tavolino per due. Alain, non si era neanche accorto che c’era pure René all’altro lato della sala. Io a Le Chateaubriand e loro al Petit Grill. Che tortura! Non immagini neanche quanto li abbia maledetti, maledetti, maledetti…

Fra un po’ vedrete, a Saint-Jean ci capiteranno pure, i Cedroni, che Iñaki l’hanno visto nascere a La Famille di Montmartre già dal 2003. Insomma, tutti lo cercano, tutti lo vogliono e partono a trovarlo. Ma da un solo lato della frontiera. “È strano, se ci pensi” riflette a voce alta Delphine. “Per Iñaki, adolescente a Hendaye, il paese basco del sud, El Sur, come lo chiamano loro, era il paese della cuccagna, delle nottate tra amici, dove si andava a far la fiesta. Dove tutto, per dei giovani, era meno caro. Poi, più tardi, arrivò il richiamo della cucina, dei grandi cuochi baschi, le tapas a Bilbao e a San Sebastián, e oggi i prodotti marini che miracolosamente trovi solo lì”. 

Ahinoi, ahilui, per il momento il viaggio è a senso unico, il rinvio dell’ascensore non va di moda, la Spagna mostra poco interesse e poca attenzione all’altro da sé. Ce lo conferma Michel di Chez Mattin, l’istituzione della cucina basca a Ciboure, quindici minuti a piedi cronometro in mano, il villaggio natale dove Maurice Ravel compose, così pare, il suo Boléro…

“Gli spagnoli sono sanguigni, orgogliosi. Tendono a far gruppo, a star tra loro. Passano raramente la frontiera e, ancora al giorno d’oggi, esistono pochi punti di contatto, o convergenza d’interessi, tra i cuochi dei Paesi Baschi del Nord – in Francia – e quelli del Sud, in Spagna”.

Ceci explique cela. E ne sa qualcosa anche il povero Mathieu Rostaing-Tayard. Ma tutto ciò Iñaki non lo dirà. Che nessuno dei suoi colleghi famosi – gli Andoni, Arzak, Berasategui, Atxa o Alija – sia già venuto a incoraggiarlo. Idem l’ispanica stampa, campionessa dell’astensionismo con zero effettivi sul contatore delle presenze al ristorante. Pare strano ma è ancora più vero: la Spagna, paese che da trenta anni si gargarizza di essere all’avanguardia della cucina, fa invece prova d’un campanilismo e d’un grezzo provincialismo. Basta spulciare il programma del festival Gastronomika da un decennio a questa parte snobba palesemente i cugini franco-baschi, come se non esistessero neanche sul mappamondo della cucina. Come se tra la Francia e la Spagna, ognuno per sé, vigesse ancora un’insormontabile frontiera. Cortina di ferro e Muro di Berlino tuttora eretti dall’iberico Komintern per separare due spaccati di vita, due ceppi della stessa arborescenza linguistica e culturale. Lo si sa, il ripiego su di sé, il negazionismo dell’altro non è che l’anticamera della xenofobia, che tanto il vento in poppa ha in giro per il mondo.

Allora sì, il nuovo indirizzo di Iñaki e Delphine, è lo stendardo della Nuova Libertà Basca. Due progetti in uno per un comune pensiero di vita. Un epicentro d’indipendenza e di collettiva reazione al conformismo imperante. Gli esami (di coscienza) è meglio che non finiscano mai. La Resistenza all’isolazionismo anche.

Hasta Siempre!

Posto
Europa/Francia/Saint-Jean-de-Luz
Petit Grill Basque


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