La storia ormai la conosciamo tutti. Tutto è iniziato quando, nel 2004, dodici chef hanno firmato un manifesto chiamato Nuova Cucina Nordica e hanno promesso di creare un nuovo modo di lavorare incentrato su purezza, stagionalità, etica, salute, sostenibilità e qualità. Queste parole chiave dicono tutto e sottolineano il fatto che non si trattava solo di cucinare con ingredienti locali e di focalizzarsi solo su ciò che avveniva a porte chiuse in cucina. Si guardava invece all’intero sistema alimentare e alla catena del valore alimentare, come vediamo chiaramente indicato nel decimo e ultimo punto del manifesto, che recita:
“Unire le forze con i rappresentanti dei consumatori, gli altri artigiani della cucina, l’agricoltura, la pesca, le industrie al dettaglio e all’ingrosso, i ricercatori, gli insegnanti, i politici e le autorità di questo progetto per il beneficio e il vantaggio di tutti nei Paesi nordici“.
Sono convinta che le parole “unire le forze” siano un elemento chiave di questo movimento che è riuscito a far conoscere la cucina nordica all’estero e, in particolare, a rendere la Danimarca una destinazione gastronomica di prim’ordine. Nonostante le critiche sulla realizzazione del manifesto, in cui alcune donne chef e consulenti che avevano contribuito al processo sono state escluse dalla firma finale del documento (al loro posto sono stati privilegiati chef uomini di spicco), ha dato il via a un significativo cambiamento trasformativo.
Un cambiamento trasformativo significa fare le cose in modo completamente diverso, non solo fare un po’ di più o un po’ di meno di quello che già avviene.
Significa spazzare via un vecchio sistema e ricominciare con nuove regole, nuovi modi di lavorare e nuove norme sociali. Si tratta di rimodellare la cosiddetta “normalità” e coinvolgere diversi settori e strati della società. E quindi – come ha fatto la Danimarca? La forte influenza politica dei principali portavoce del manifesto, insieme a una chiara visione dei potenziali benefici (economici) di un settore turistico in crescita e all’appoggio di grandi aziende multinazionali sono alcuni dei fattori principali che hanno probabilmente contribuito a ottenere l’approvazione politica (e di nuovo, economica) necessaria per trasformare questo progetto in realtà. Nel 2005 il Nordic Council – un forum di cooperazione tra i Paesi nordici – ha inserito il New Nordic Food nell’agenda politica. Da allora, il sostegno ai processi bottom-up e all’innovazione nel settore dei servizi alimentari è stato una priorità per la cooperazione nordica.
In Danimarca, questo boom ha avuto un impatto su più livelli, il più evidente quello dell’enorme crescita del turismo legato alla vibrante scena gastronomica. L’aumento del numero di nuovi ristoranti e di menu raffinati, insieme al clamore suscitato dalle stelle Michelin e dai 50Best Restaurants, ha fatto sì che i locali di alto livello, in precedenza riservati agli ultraricchi, siano diventati luoghi di riferimento anche per i giovani viaggiatori buongustai. Parallelamente, Copenaghen ha attratto molti talenti internazionali ed è diventata un vivace polo di innovazione e sede di startup nell’ambito FoodTech. Il Kitchen Collective, ad esempio – situato nel dinamico Meatpacking District – è una casa di innovazione alimentare inclusiva, democratica ideata da Mia Maja Hansson. Gestisce un programma di incubazione e crea il terreno di prova perfetto per nuovi aspiranti imprenditori del settore alimentare, alcuni dei quali vengono dall’estero per sviluppare e testare i loro prodotti proprio nella capitale danese.


A un livello più sottile e profondo, il movimento nordico ha creato una nuova identità alimentare nazionale basata sulla sostenibilità e sulla buona salute, che continua a crescere e a rinascere.
Claus Meyer – uno dei leader e creatori del manifesto, in modo nordico (diametralmente opposto alla gloria che il movimento d’avanguardia spagnolo di elBulli continua a cercare) – ha dichiarato che dobbiamo andare avanti e parlare meno della Nuova Cucina Nordica. Deve essere vista come la nuova normalità, non come una sorta di marchio di successo da conservare per 200-300 anni; è un veicolo che ha permesso di raggiungere un nuovo livello di coscienza.
Oggi il Nordic Council continua a plasmare il futuro dell’alimentazione attraverso un approccio olistico alla Food Policy. In tempi floridi è facile dimenticare l’importanza dell’alimentazione e delle politiche alimentari, ma guardando indietro al corso della storia umana, diventa evidente che le pratiche adottate in passato abbiano plasmato drammaticamente la civiltà umana. Oggi più che mai, il modo in cui produciamo e consumiamo cibo si intreccia con le complesse questioni del degrado ambientale, del cambiamento climatico, del benessere e della salute degli animali. È quindi l’ora per una seconda ondata di cambiamenti trasformativi.

In questo contesto, il governo danese ha recentemente pubblicato il primo piano d’azione nazionale in assoluto, basato sull’alimentazione vegetale, che include una strategia per aumentare il consumo di alimenti vegetali e incrementare la produzione di proteine vegetali nei prossimi anni, con la costituzione di un Fondo di oltre 90 milioni di euro. La concessione sosterrà progetti che aumenteranno l’interesse degli agricoltori e delle aziende a produrre più alimenti a base vegetale, non solo a beneficio dei danesi, ma anche all’estero (l’agricoltura danese rappresenta fino a un quinto delle esportazioni totali della Danimarca). Tuttavia, a differenza della prima rivoluzione del settore alimentare, nel contesto agricolo esistono importanti lobby, interessi e leggi che devono cambiare. Organizzazioni come Foodprint Nordic (un’associazione no-profit con sede a Copenaghen) si concentrano sulla promozione di questo cambiamento, costruendo nuove infrastrutture per cambiare il modo in cui il cibo viene coltivato e per garantire un suolo sano e alimenti rigenerativi in futuro. “Questa seconda trasformazione è più difficile della prima – spiega la sua fondatrice, Cindie Christiansen – la Danimarca è in gran parte agricola e sia la cultura che le strutture politiche degli agricoltori risalgono a molto tempo fa”. La cooperazione – il famoso “unire le forze” di cui si parlava già all’inizio degli anni Duemila – sarà la chiave di questo cambiamento. “Se la Danimarca vuole essere protagonista in questo settore, dobbiamo garantire il coordinamento, la collaborazione, l’apprendimento reciproco e le politiche alimentari integrate”, afferma Marin Lysák, coordinatrice di CLEVERFOOD, un’azione di sostegno al coordinamento finanziata dall’UE. “Per trasformare il sistema alimentare, è necessario un sostegno che vada oltre il periodo di finanziamento di ciascun progetto, in modo da garantire che non si estinguano al termine del finanziamento, arrestando la trasformazione tanto necessaria del nostro sistema alimentare”.
Ritengo che Cindie Christiansen e Marin Lysák parlino a nome del settore in generale quando affermano che è giunto il momento di aggiornare il Manifesto per creare nuove linee guida per la gastronomia del futuro. Dopo quasi vent’anni, è ora di affrontare i temi dell’ambiente di lavoro, della parità di genere e della sostenibilità sociale nel mondo del cibo. Seguiremo con curiosità come la Danimarca assumerà la guida nel plasmare i prossimi decenni dei nostri sistemi alimentari europei, verso un futuro più sostenibile, resiliente, sano e paritario.