Reportage
fine dining trasteverino
La cometa – Zia di Antonio Ziantoni
La forza del ristorante di Antonio Ziantoni e Ida Proietti, una stella a Trastevere.
Testo e Foto di
Gabriele Stabile
Artwork di
Paola Pax Paloscia
Da Cook_inc N. 27
La cometa – Zia di Antonio Ziantoni
9 minuti

Come in tutte le storie che val la pena raccontare ci vorrebbe un antieroe. Un cattivone di quelli bad to the bone, un bandito vero, un uomo nero di turno, per cominciare. Ma cerca cerca, personaggi così nella storia di Zia (che è pur sempre storia recente) non ce ne sono ancora e allora il cattivo lo facciamo fare alla pandemia. Sarà un tiranno invisibile ma poderoso: dalla sua comparsa sulla Terra ha detronizzato re e regine, comandato fracassi e imposto misere uscite di scena, mostrato a tutti la vera faccia della luna di formaggio, cambiato le nostre abitudini e le nostre vite. Inutile negarlo stare chiusi ci ha cambiati. Ai più equilibrati, ai più ottimisti, che poi sono anche i più saggi la quarantena ha regalato possibilità introspettive, tanto tempo in più per leggere e classi di zumba online. Ma altri ne sono usciti induriti, inspessiti, intransigenti. Sarà per questo che la chiamano cattività. 

Ma più la notte è buia, più brillano le stelle, verrebbe da dire dopo aver conosciuto i ragazzi di Zia, questo relativamente nuovo hang di fine dining trasteverino: e gli sia per augurio di toccarle veramente con mano le stelle, loro che lo meritano davvero. 

E così oggi non siamo più post-Moderni e neanche post-Redzepiani, ma post-Coviddi. Quelli rimasti con ancora piume sulle ali, si vola a vista, ma si vola, ci si prova, almeno a innalzarsi. Con qualche ammaccatura in più, qualche riga sull’anima, ma forse più forti, più consapevoli. Tra questi che sono stati investiti dalla tempesta giovani (Zia aveva un anno e mezzo quando è scattato il lockdown) e ne sono riemersi per raccontarla c’è anche lo chef e patron Antonio Ziantoni e la sua brigata di trasteverini d’adozione: Ida Proietti (la co-owner), Christian Marasca (pastry chef), Andrea Mele (chef de partie), Marco Pagliaroli (direttore di sala) coadiuvato da Stefano Herrera Balgos e Valentina Bivona (sommelier). Ho già scritto che siamo a Trastevere? Mi scuso se mi ripeto, il fatto è che mi lascia incredulo. Il tenore medio dei locali qui è calato da tempo, e cosi Zia è un po’ un angolo pulito di una Trastevere che ce l’ha fatta: finalmente sublimando la sua eredità pesante (il centro di Roma) in una proposta gastronomica seria, di respiro internazionale, che non si appoggia gigiona ai facioli co’ le cotiche, che diciamolo pure, tante volte ‘sta menata della tradizione agricola serve a coprire pigrizia e scarsi mezzi. Qui invece i mezzi abbondano, perché gli Ziantoni in cucina sono creativi e virtuosi e insomma come dire, non fanno prigionieri.

Se ti capita di passare per il mio quartiere e hai voglia di un’esperienza di alta gastronomia (ma non proibitiva, diciamo finanziariamente sostenibile), una sosta ristoro da Zia è obbligatoria. Arredato con gusto, minimal ma comfy, ti accoglie Ida che sorride, che ti riconosce al volo se sei già stato. E trovo ancora più importante che il sorriso e in generale la professionalità e l’accoglienza dello staff siano sul versante caldo senza sconfinare. C’è una parola non molto in voga: ospitalità. Qui la fanno bene. Inglese impeccabile e si riflette sulla clientela che conta molti expats. Una sera, di recente accanto al mio tavolo c’era una tavolata che sembrava uscire fuori da un racconto di Bolaño: due genitori sulla sessantina con due figlie molto belle corteggiate entrambe da un tipo con i baffetti e un libro di poesie di Nicanor Parra. Fine dining nella Roma che vorremmo, ma certo non è roba da politicanti con pareo e ciabatta con le iniziali, qui ci viene per lo più gente carina.

Vengono soprattutto per la cucina di Zia, che nelle parole di Antonio è

una cucina concreta, con i piedi per terra

e la terra in questione è l’Italia e l’abnorme ricchezza di materie prime di gran qualità che vantiamo. Tecnica francofona con influenze internazionali, evidenti a chi ha viaggiato un po’, ma è un arricchimento e anche un obbligo tout court: Antonio ha lavorato in tre continenti diversi e si vede. Prima da cliente, da giornalista, poi da collaboratore e infine da amico di famiglia ho frequentato Zia parecchio negli ultimi 3 mesi, sempre pagando religiosamente il conto (non fate gli hipster). Complice anche il fatto che si trova a un isolato di distanza dalla magione di mia suocera che da 7 anni ci troviamo abusivamente a occupare. 

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